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Serve un grado maggiore di autonomia su personale, procedure e retribuzioni

Le difficoltà di funzionamento della Pa italiana sono evidenti e certificate dal fatto che ogni volta che si desidera accelerare adempimenti per poter ottenere risultati concreti è necessario ricorrere a procedure straordinarie, eccezionali, basate sull’accentramento di funzioni e poteri. Questo è stato il caso dell’Expo di Milano, del ponte Morandi a Genova, degli acquisti di emergenza durante la pandemia Covid… Attualmente la questione si ripropone per la gestione dei fondi del Next Generation Eu. In altri termini, la nostra Pa viene considerata, e in realtà risulta, inadeguata a svolgere la sua funzione istituzionale. La ragione di tutto ciò va ricercata altrove, nell’assetto istituzionale che è alla base del sistema.

Si tratta di un insieme organico e ipertrofico di norme, regolamenti, procedure, che sovraintendono al funzionamento delle pubbliche amministrazioni, norme primarie e secondarie, per lo più analitiche e di dettaglio piuttosto che di principio. Regole finalizzate al funzionamento degli apparati, ma prive di ogni relazione con la realtà oggetto dell’amministrazione e con le finalità concrete della stessa attività amministrativa. Frutto di una visione legalistica ed espressione di una coerenza interna che prescinde non solo dagli esiti concreti dell’attività amministrativa, ma anche dalla realtà.

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In altre parole, la Pubblica amministrazione italiana andrebbe ricostruita dalle fondamenta. Qualsiasi attività amministrativa per funzionare dovrebbe disporre di gradi rilevanti di autonomia nella organizzazione interna, nella gestione del personale, nelle procedure da seguire, e dovrebbe avere al suo interno non solo funzionari e dirigenti, ma anche esperti di settore con le loro carriere e retribuzioni non distanti da quelle di mercato. Infine le professionalità richieste dovrebbero essere non solo quelle giuridiche, ma anche, e forse soprattutto, quelle economiche, finanziarie e ingegneristiche. L’autonomia gestionale naturalmente comporta anche un certo grado di discrezionalità operativa, e la relativa assunzione di responsabilità, senza dover sottostare a rischi esorbitanti.

Il compito di riforma non è facile, innanzitutto perché la consapevolezza del problema logico che viene sollevato in questo articolo non è presente né nelle riflessioni degli esperti e degli operatori, né nel dibattito pubblico. Vi sono inoltre tradizioni culturali, interi sistemi normativi che andrebbero posti in discussione, nonché tradizionali posizioni di potere che potrebbero sentirsi indebolite. I cultori del diritto amministrativo svolgono abitualmente attività di consulenza ai ministri, anche nella formulazione delle numerose riforme della Pa inutilmente varate negli ultimi anni, sono i custodi della relativa giurisdizione, svolgono la funzione di capi di gabinetto dei ministeri, e monopolizzano gli uffici legislativi. In altre parole senza un loro impegno diretto, una loro attiva partecipazione al dibattito con spirito costruttivo e non conservativo, e la disponibilità a mettere in discussione certezze e credenze da tempo acquisite e consolidate, non si potranno fare progressi nella riforma della nostra Pa.

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