07/04/2021 – Consiglio di Stato: I servizi web gratuiti che utilizzano dati personali sono da considerarsi servizi di natura commerciale

Consiglio di Stato (2631/2021)

Il Consiglio di Stato esamina un ricorso presentato, sia da Facebook, sia dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, per ragioni diverse, che scaturisce dalla sanzione comminata da quest’ultima autorità e dal ricorso parzialmente accolto dal TAR.

La questione di maggior rilievo, che il TAR ha accolto e il Consiglio di Stato ha confermato, riguarda la decisione in ordine al riconoscimento di “pratica commerciale”, anche quando si tratta della fornitura di un prodotto “apparentemente” gratuito, il cui corrispettivo sia, come nel caso di specie, la cessione di dati personali.

La società Facebook rileva il “difetto assoluto di attribuzione del potere di sanzionare da parte dell’Autorità per insussistenza di pratiche commerciali da porre in osservazione, attesa l’assenza di qualsiasi coinvolgimento di un corrispettivo patrimoniale e quindi della necessità di tutelare l’interesse economico dei consumatori. Nella vicenda che ha ritenuto l’Autorità di approfondire non ci si trova dinanzi ad una pratica commerciale scorretta, di talché neppure poteva dirsi sussistente il potere dell’Autorità di istruire la suddetta procedura e di sanzionare le due società. In particolare, nel caso di specie, non si assiste ad alcuna operazione di acquisto di un prodotto a fronte del pagamento di un prezzo da parte dell’utente di FB e quindi non si assiste a nessun coinvolgimento economico che possa ricondurre la questione nell’ambito del diritto consumeristico”.

Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza del Tar lazio, ha affermato che “a fronte della promessa gratuità del servizio l’utente era indotto ad accedere per ottenere i vantaggi “immateriali” costituiti dalla adesione e coinvolgimento in un social network in seguito all’iscrizione nella piattaforma mettendo a disposizione i propri dati personali, che venivano dunque coinvolti nella profilazione a fini commerciali senza che l’utente fosse stato reso edotto in modo efficace dell’esatta portata di tale utilizzo, che poteva essere interrotto, con revoca del consenso, solo in epoca successiva (difatti, pur potendo successivamente disattivare l’utilizzo dei dati, al momento della iscrizione in piattaforma l’utente non poteva esimersi dal cedere al professionista la mole di dati personali inseriti nel portale all’atto della registrazione e dall’autorizzarlo al loro trattamento) e a fronte di una capillare indicazione degli svantaggi che ne sarebbero conseguiti.Peraltro, i dati conferiti permettevano la profilazione dell’utente, arricchendo in questo modo la base dati dei clienti per finalità strettamente commerciali.

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