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TAR Napoli, 22.09.2021 n. 5971

Nel dettaglio, il formante giurisprudenziale appare ampliamente assestato sul canone interpretativo univoco nell’affermare che “le preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti impongono di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un’obiettiva incertezza del loro significato letterale”; per cui “secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell’affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale” (cfr.: Consiglio di Stato, sez. V, 25/06/2021, n. 4863; Cons. Stato, V, 31 marzo 2021, n. 2710; 26 marzo 2020, n. 2130; 29 novembre 2019, n. 8167; 12 settembre 2017, n. 4307).

Il canone ermeneutico letterale riveste, dunque, il primato nell’interpretazione delle prescrizioni connotanti la disciplina di gara, le quali vincolano non solo i concorrenti ma anche la stessa Amministrazione, che non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione, dovendosi garantire, unitamente alle esigenze di certezza, l’imparzialità dell’azione amministrativa e la parità di condizioni tra i concorrenti. Da ciò scaturisce il corollario secondo cui, solo in presenza di un’equivoca formulazione della lettera di invito o del bando di gara, può ammettersi un’interpretazione diversa da quella letterale (cfr.: Consiglio di Stato, sez. V, 25 giugno 2014, n. 3220, 18 dicembre 2017, n. 5944 e 31 maggio 2018, n. 3267).

Non risulta, quindi, possibile addivenire in via interpretativa ad una integrazione delle regole di gara, aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione letterale.

In ogni caso, a fronte di una clausola cui si riconnette una portata escludente ed a fronte del carattere non univoco della disposizione in essa racchiusa, l’interprete deve conformare la propria attività interpretativa al criterio del favor partecipationis, favorendo l’applicazione della disposizione che consenta la massima partecipazione possibile alla procedura (cfr.: T.A.R. Lazio – Roma, sez. II, 03/12/2020, n.12968; Cons. St., sez. V, 14 aprile 2020 n. 2400).

[…]

In tal modo disponendo, l’azienda resistente è incorsa in un’illegittima esegesi, e quindi applicazione, della portata precettiva del summenzionato art. 8.2., violando peraltro il consolidato principio secondo cui l’interpretazione dei requisiti di capacità tecnico / economica di partecipazione alla gara deve essere condotta con criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in maniera da escludere soluzioni interpretative contrarie alla lettera della lex specialis nonché eccessivamente restrittive e con un effetto quindi sostanzialmente anticoncorrenziale; ciò in omaggio al pacifico indirizzo della giurisprudenza che impone di adottare la soluzione interpretativa che consenta la massima partecipazione alla gara (cfr.: Cons. St., sez. V, 12 maggio 2017, n. 2227; Cons. St., sez. V, 12 settembre 2017, n. 4307).

Le esposte argomentazioni inducono a ritenere che l’interpretazione restrittiva operata dalla stazione appaltante è contraria sia alla lettera del citato art. 8.2., sia alla logica funzionale ad esso sottesa, così da porsi in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le norme che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche vanno interpretate nel rispetto dei principi di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 settembre 2012 n. 4986, Sez. V, 3 agosto 2011, n. 4629 e 9 novembre 2010, n. 7967).

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