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Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (07338/2021) ha accolto il ricorso presentato dai consiglieri comunali che hanno richiesto al Comune l’ostensione di alcuni documenti tra cui i possibili atti di accertamento effettuati dalla Polizia Municipale in ordine a violazioni edilizie, non rilevando il “segreto istruttorio” eccepito dall’ente cui sarebbero tenuti la polizia municipale e l’Ufficio urbanistica.

Il Tribunale dopo aver ricostruito la vicenda richiama la giurisprudenza consolidata sulla natura incondizionata e prevalente del diritto diritto di accesso dei consiglieri comunali rispetto anche all’eventuale diritto alla riservatezza dei terzi coinvolti dalle istanze ostensive, tenuto conto del segreto d’ufficio cui gli stessi sono tenuti e in quanto strettamente funzionale all’esercizio del munus pubblico di consigliere comunale.

L’attività di vigilanza espletata in questa circostanza dalla polizia municipale, non essendo qualificabile in termini di attività di indagine penale, tale dovendosi ritenere, a mente dell’art. 329 c.p.p., esclusivamente quella compiuta dal “pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria”, è doverosamente ostensibile nei confronti dei consiglieri comunali istanti.

A tale conclusione si dovrebbe giungere anche nel caso in cui, a valle della chiusura di siffatto procedimento amministrativo di vigilanza, l’ente dovesse determinarsi a trasmettere all’Autorità Giudiziaria Penale i relativi atti istruttori e provvedimentali, successivamente adottati.

Ed invero, l’eventuale migrazione di tali atti nel fascicolo del procedimento penale che dovesse essere, conseguentemente, avviato non sarebbe idonea a modificare la natura “amministrativa” degli accertamenti compiuti dall’ente i quali, non essendo stati realizzati né dal pubblico ministero né dalla polizia giudiziaria, continuerebbero a rimanere ostensibili dal Comune anche in pendenza di siffatto procedimento penale, giacché non “coperti” dal cd. segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p.

Quanto sopra trova riscontro in quel condivisibile orientamento secondo cui «L’esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.

Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall’obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell’art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell’ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l’inoltro di una denunzia all’autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell’amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell’A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l’accesso garantito all’interessato dall’art. 22, 1. 7 agosto 1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all’art. 24, 1. n. 241 del 1990.”

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