18/10/2021 – Riforma degli enti locali: forse si fanno – finalmente – i conti con sciagurate riforme del passato

 Il disegno di legge di riforma dell’ordinamento degli enti locali, in parte in forma di legge delega, in parte norma di immediata riformulazione del d.lgs 267/2000, sembra in alcune sue parti un ripensamento profondo delle tante, troppe, norme erronee e fallimentari del passato.

Si assiste, forse, alla messa sotto accusa di due delle maggiori devastazioni apportate all’ordinamento locale:

  1. la legge Bassanini, la famigerata 127/1997;
  2. la legge Delrio, la sciagurata legge 56/2014.

Tra gli interventi che appaiono volti a correggere le insensatezze della legge Bassanini, appare l’ipotesi di una correzione forte al micidiale spoil system che affligge da anni la figura dei segretari comunali.

Infatti, la delega esprime il “fine di assicurare l’indipendenza funzionale a garanzia del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione dell’ente”. 

Parlare addirittura non di semplice autonomia operativa, ma di “indipendenza funzionale” appare totalmente incompatibile con la catastrofica sottomissione dei segretari comunali al ricatto dell’assegnazione e revoca degli incarichi, derivante dalla drammatica riforma del 1997.

Anche perchè, si riconnette l’indipendenza funzionale alla garanzia del buon andamento ed imparzialità. Insomma, si ritorna a tracciare la figura del segretario comunale secondo la tradizione di quel che è il segretario comunale. Abbandonando le lusinghe e fascinazioni dello scimmiottamento pseudomanageriale che durano da decenni, pervadendo in modo così forte le menti, da indurre la stessa Corte costituzionale all’assurda sentenza 23/2019, che confonde ruolo, competenze e funzioni dei segretari, in un fritto misto paragiuridico di funzioni di garanzia e gestionali.

Il ddl sembra abbandonare le fascinazioni del “dirigente apicale”, triste memoria del disegno di legge Madia, fortunatamente mai andato in porto ma in grado di segnare col dirigente apicale una stagione molto lunga della legislazione.

E si torna a comprendere che l’indipendenza va garantita con supporti al segretario comunale anche esterni. Non si è, ancora, purtroppo, al ripristino dei controlli preventivi esterni di legittimità, ma alla previsione di uffici di supporto del Ministero dell’interno. Potrebbero essere un buon presidio per mediare tra le bizze degli organi di governo e le regole giuridiche, non in sè, ma in quanto funzionali appunto al buon andamento.

Se l’impianto fosse davvero questo, se si avesse la capacità di eliminare le scorie inquinantissime della legge Bassanini, sarebbe un bel giorno. 

Si garantirà comunque la continuità della dipendenza dei segretari dal Ministero dell’interno e la loro selezione attraverso “peculiari percorsi selettivi e formativi in linea con l’elevata qualificazione giuridica ed economica, in ragione delle competenze attribuite dall’ordinamento agli enti locali”.

Il ddl, poi, interviene anche sull’altro, sotto certi aspetti anche maggiore, disastro normativo, quell’obbrobrio che si chiama legge Delrio. Una norma, da ricordare sempre, espressamente approvata nelle more di una riforma della Costituzione, poi mai riformata. Dunque, un’iniziativa normativa sciagurata e altamente illegittima, perchè ha inteso anticipare gli effetti della riforma della Carta mediante una legge ordinaria. Che ha causato danni incommensurabili, come ad esempio:

  1. due anni di blocchi totali delle assunzioni;
  2. un caos assoluto nel prepensionamento e nel trasferimento di 40.000 dipendenti;
  3. un buco di bilancio di miliardi, invece del “risparmio” che soprattutto qualche genio della stampa generalista evocava come risultato della riforma;
  4. problemi spaventosi nel riordino delle competenze;
  5. assenza totale di qualsiasi effetto benefico ed anzi: ponti che crollavano, scuole senza manutenzione, strade crivellate da buche, trasporti pubblici al caos.

 

Poi, l’assoluta follia istituzionale: l’eliminazione delle giunte provinciali, consigli formati da sindaci e consiglieri, di durata biennale, invece che quadriennale, una pletorica, pesante, inutile assemblea dei sindaci.

Un disastro sotto ogni aspetto, che si intravedeva senza nessuna difficoltà sin dalle prime righe di una legge mal concepita, pessima, scritta malissimo, attuata peggio.

Il ddl interviene, in primo luogo, sugli organi: ripristina le giunte e il mandato consiliare di durata quinquennale e rivede anche il dissennato sistema elettorale previsto 7 anni fa. E chiarisce meglio le residue competenze degli enti “di area vasta”.

Un bello smacco per il promotore di quella devastante legge e per la schiera di consulenti e chi ha collaborato nel produrre il disastro cui il nuovo ddl prova in parte a porre rimedio.

Altro ripensamento, riguarda il rapporto tra politica ed apparato amministrativo, che non concerne, quindi, solo la ridefinizione del ruolo del segretario comunale, ma parte proprio dall’organo monocratico di vertice, sindaco e presidente di provincia o città metropolitane.

L’ordinamento degli enti locali, pur essendo partito per primo con la legge 142/1990, ad introdurre il principio di separazione tra funzioni di governo e funzioni di gestione, era rimasto in alcuni passaggi a metà del guado.

In particolare, i sindaci erano definiti in modo da apparire ancora “legali rappresentanti” e sovrintendenti, come dire, di ultima istanza della gestione e dell’operatività.

Il che ha prodotto negli anni conseguenze incoerenti col principio di separazione. I sindaci, infatti, moltissime volte si sono ingeriti in modo improprio nelle funzioni gestionali. In ogni caso, sono stati coinvolti personalmente in giudizi penali e contabili, proprio per l’infelice formulazione delle loro funzioni e responsabilità, da ultimo definita nell’articolo 50 del Tuel.

Il ddl interviene proprio su questo nervo tesissimo e  modifica la definizione delle funzioni dei sindaci, evolvendola, finalmente, in modo coerente col principio di separazione tra le attribuzioni degli organi di governo, rispetto a quelle di pertinenza dell’apparato amministrativo. 

Il sindaco, quindi, dismette la veste di sovrintendente alla gestione, che lo sottopone all’assunzione di responsabilità operative oggettivamente non di sua pertinenza.

Si prevede, di conseguenza, la soppressione del comma 2 dell’articolo 50 del d.lgs 267/2000, che è ancora proprio la norma secondo la quale i sindaci sovrintendono alla gestione e all’esecuzione degli atti. 

Il ddl, ancora, modifica radicalmente il comma 1, dell’articolo 50. coordinando meglio la separazione delle funzioni di governo da quelle gestionali: “Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 107 e nel rispetto del principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e gestione amministrativa, il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili politicamente dell’amministrazione del comune e della provincia. Il sindaco e il presidente della provincia esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo loro attribuite, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti”.

Compito del sindaco e del presidente della provincia o città metropolitana, dunque, non è gestire, ma programmare e indirizzare.

I loro atti possono solo rientrare nell’esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo, salva, per i sindaci, la competenza ad adottare specifici atti, come le ordinanze.

In assenza dell’esercizio di poteri gestionali, i sindaci non risponderanno che politicamente della loro azione. La norma in qualche modo li metterà al riparo da responsabilità penale e contabili, ma, evidentemente, a condizione che i vertici politici sappiano rispettare i confini delle loro competenze. Approvato il ddl, l’ingerenza nelle funzioni gestionali apparirebbe ancor più manifesta ed illegittima di quanto non lo sia sempre stata.

La responsabilità diretta dei sindaci capaci di rispettare l’entroterra delle proprie competenze sarà circoscritta, sul piano contabile, al caso di esercizio o mancato esercizio del potere ordinanza e limitata ai soli casi di dolo.

Desta, invece, tenerezza la previsione di riforma dell’articolo 107, comma 1, del Tuel, disposta per coerenza con la revisione delle funzioni dei sindaci. L’attuale testo di tale comma 1 prevede: “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo“. Il ddl riformula il testo in modo più netto e tranciante: “I dirigenti sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”. Perchè la tenerezza? Perchè, per l’ennesima volta, chi scrive le norme dimostra di non conoscere l’ordinamento. Nell’articolo 107 esiste già il comma 6 ai sensi del quale “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione“.

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