07/10/2021 – Obblighi dichiarativi concernenti le penali ed esclusione dalla procedura.

L’applicazione di penali contrattuali non può ritenersi sintomo inconfutabile di errore grave nell’esercizio dell’attività professionale o comunque “grave negligenza”, ed infatti le disposizioni normative vigenti non impongono ai concorrenti delle procedure di appalto di dichiarare specificamente tutte le penali irrogate nei loro confronti; tuttavia un tale obbligo può sorgere  in presenza di particolari circostanze caratterizzanti (come ad esempio l’importo delle penali) o di specifiche disposizioni della lex specialis.

Di conseguenza, in mancanza di ulteriori elementi qualificanti, l’omessa dichiarazione della irrogazione di penali contrattuali non giustifica l’esclusione del concorrente dalla procedura, poiché non integra di per sé la violazione dei doveri professionali, e non costituisce prova di grave negligenza idonea a giustificare l’esclusione dalla procedura (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2794 del 30 aprile 2019, e n. 1346 del 2018 Adunanza Plenaria). In ragione di ciò deve ritenersi illegittimo il provvedimento espulsivo “che menzioni l’applicazione delle penali senza specificarne l’ammontare minimo ed indicando quale presupposto asserite “manchevolezze” (…) senza alcun effettiva motivazione al riguardo anche con riferimento alla loro eventuale gravità”.

Lo ha rilevato il Consiglio di Stato, con la sentenza 8236/2020, sull’assunto che la natura della penale contrattuale, le caratteristiche della procedura attraverso cui viene irrogata e la pregnanza degli elementi che ne determinano l’irrogazione non conferiscono a questa categoria di sanzione una rilevanza equivalente alla risoluzione per inadempimento o alla condanna al risarcimento del danno, motivo per cui l’applicazione di una penale non costituisce da sola indizio di una inadempienza espressiva di una “significativa o persistente carenza” nell’esecuzione di un precedente contratto.

Le disposizioni di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) e c-ter) del Codice degli appalti, infatti, subordinano l’esclusione dalla procedura all’accertamento di  “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, da valutarsi tenendo in considerazione il tempo trascorso dalla violazione e la gravità della stessa, e alla dimostrazione “con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.

L’irrogazione di penali contrattuali di per sé non integra tali presupposti, perché non fornisce alcun elemento per considerare che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento, cui le stesse esse si ricollegano, costituiscano errori gravi nell’esercizio dell’attività professionale.

In considerazione dell’imprescindibile esigenza di tutela dei principi di ragionevolezza, concorrenza ed imparzialità dell’esercizio dei pubblici poteri la disciplina codicistica delinea fattispecie escludenti ad applicazione non automatica, la cui sussistenza in relazione alla fattispecie concreta deve essere accertata dalle stazioni appaltanti, attraverso “mezzi adeguati” ed apposite valutazioni, estese anche “al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”.

In sostanza l’equilibrio tra l’esigenza di selezionare la migliore offerta ed il contrante più affidabile e quella di garantire la massima partecipazione alla gara è stato individuato nella indicazione di caratteristiche generali di capacità tecnica ed economica, integrità  ed affidabilità nonché di circostanze e fattispecie che ne escludono la sussistenza (carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto, gravi illeciti professionali ecc), la cui valutazione è rimessa alla stazione appaltante.

Ciò sull’assunto che caratteristiche come la competenza, l’affidabilità e l’integrità costituiscono il prodotto di un articolato complesso di qualità e capacità, condizionato, peraltro, da una vasta gamma di fattori, circostanze e condizioni, motivo per cui la semplice rilevazione di un episodio negativo, di per sé, non può escluderne la ricorrenza. È per questo che alla semplice rilevazione di “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto” o di gravi illeciti professionali, tali da rendere in astratto dubbia l’affidabilità del concorrente deve far seguito la valutazione della stazione appaltante in merito alla loro effettiva rilevanza e alla idoneità ad escluderne o pregiudicarne l’affidabilità e l’integrità.

Sotto questo profilo “le penali non sono significative né comparabili, sul piano della gravità, ai provvedimenti di risoluzione per inadempimento e alle gravi carenze nell’esecuzione di un contratto”, e non forniscono equivalenti garanzie di tutela delle prerogative di difesa degli operatori economici. Al riguardo basti pensare che la risoluzione del contratto, “anche quando promana dall’Amministrazione e non gode quindi delle garanzie proprie della pronuncia giurisdizionale”, richiede l’accertamento di un “grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte dell’appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni” e scaturisce dal contraddittorio con l’appaltatore (art. 103, comma 3, cod. app.), e quindi da un procedimento che consente una valutazione articolata delle caratteristiche delle prestazioni da eseguirsi, dell’inadempimento contestato all’operatore economico, delle giustificazioni e dei chiarimenti addotti dallo stesso, il che conferisce alla sanzione un peculiare grado di attendibilità. Le penali, invece, assolvono normalmente alla funzione di sanzionare le fattispecie di inadempimento di carattere “residuale”, meno gravi di quelle che giustificano la risoluzione del contratto dell’appaltatore, e scaturiscono da una valutazione meno articolata delle circostanze della fattispecie.

Dal delineato contesto normativo emerge con evidenza che “non è il mero accertamento del provvedimento sanzionatorio aliunde adottato (sotto forma di risoluzione per inadempimento, condanna risarcitoria o altra “sanzione comparabile”) a far scattare la sanzione espulsiva, in quanto, sebbene lo stesso sia astrattamente atto a veicolare “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto”, queste sono a loro volta autonomamente valutabili dall’Amministrazione ai fini dell’esercizio del potere escludente dalla specifica gara ed (né, per tale ragione, i relativi presupposti applicativi sono acclarabili autonomamente dal giudice)”.

In sostanza una “macchia” nella “fedina professionale” del concorrente non basta a comprometterne l’affidabilità e l’integrità, motivo per cui la circostanza che altra stazione appaltante abbia contestato all’operatore economico una infrazione alle obbligazioni contrattuali dall’appaltatore che non giustifica la risoluzione del contratto di appalto non legittima di per sé un giudizio di inidoneità per difetto dei requisiti prescritti, ma costituisce un elemento che l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a valutare secondo le modalità e con le garanzie previste dalla disciplina codicistica, unitamente agli altri fattori che incidono sulla valutazione di affidabilità dei concorrenti.

Considerato che gli obblighi dichiarativi posti a carico dei concorrenti dall’art. 80, comma 5, lett. f bis, del Codice appalti sono configurati quali adempimenti strumentali a porre la stazione appaltante in grado di conoscere e valutare l’esperienza pregressa dei partecipanti alla gara, ed in particolare i fatti rilevanti che possono incidere sull’affidabilità professionale dell’operatore economico, gli eventuali illeciti professionali e le altre carenze suscettibili di pregiudicarne l’affidabilità, la sentenza in commento rileva che “la ricostruzione dell’obbligo dichiarativo, al fine di verificare la completezza/parzialità del suo assolvimento, non può che rispecchiare la fattispecie sostanziale, in virtù del rapporto di simmetria ravvisabile tra fattispecie escludente sostanziale e fattispecie dichiarativa strumentale: sì che l’obbligo dichiarativo può sorgere solo quando la misura sanzionatoria sia rivelatrice, in potenza, di “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto” o della commissione di un “grave illecito professionale”.

Ciò comporta che l’omissione dichiarativa può legittimare l’esclusione dalla procedura quando concerne penali originate da inadempienze rilevanti ai sensi della disciplina codicistica, quali possibili gravi illeciti professionali o significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto: in tali circostanze la sanzione espulsiva deve ritenersi causata non già dall’illecito professionale in quanto tale, ma dall’avere l’operatore taciuto una circostanza astrattamente idonea ad integrare la causa di esclusione di cui all’art. 80 co. 5, lett. c) e c ter), la cui valutazione in termini di gravità è sottratta all’operatore economico ed è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante (TAR Veneto, II, 4.2.2020, n. 126).

Ne discende che la certificazione di integrità ed affidabilità del concorrente deriva dall’accertamento della sussistenza di parametri oggettivi di buona condotta e dalla valutazione soggettiva della stazione appaltante delle caratteristiche delle eventuali carenze, degli illeciti professionali ecc, e di conseguenza le penali non costituiscono di per sé indice affidabile di un deficit di affidabilità ed integrità del concorrente che ne giustifica l’esclusione, e di conseguenza la mera omissione dichiarativa concernente l’irrogazione di una penale non può legittimare l’irrogazione della sanzione espulsiva.

Tuttavia  “se, in linea generale, le pertinenti disposizioni di legge non consentono, da sole, di imputare al concorrente un obbligo dichiarativo avente ad oggetto le penali, a diversa conclusione deve pervenirsi in presenza di particolari circostanze caratterizzanti (come l’importo delle penali e l’inerenza a “gravi inadempimenti” o“significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione”) e/o di specifiche disposizioni della lex specialis”.

In tale prospettiva le linee guida dell’Anac n. 6/2017 impongono ai partecipanti alle gare di appalto di dichiarare “tutte le notizie astrattamente idonee a porre in dubbio la loro integrità o affidabilità” (art. 4.3.), comprese le cause ostative non inserite nel casellario informatico (art. 4.2, ultimo paragrafo), attribuendo così rilievo non soltanto alla pregressa risoluzione anticipata del contratto, ma anche l’applicazione di penali.

A ciò consegue che nelle ipotesi in cui l’irrogazione delle penali debba ritenersi indicativa della carenza di requisiti di moralità e professionalità degli operatori economici, causata da “gravi inadempimenti” o“significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione”, l’eventuale omessa comunicazione rileva quale violazione di un obbligo strumentale imputabile all’impresa concorrente.

Tale assunto risulta corroborato dalle citate Linee Guida ANAC (punto 4.1), che fanno carico alle stazioni appaltanti di “comunicare tempestivamente all’Autorità, ai fini dell’iscrizione nel Casellario Informatico di cui all’art. 213, comma 10, del codice: (…) c. i provvedimenti di applicazione delle penali di importo superiore, singolarmente o cumulativamente con riferimento al medesimo contratto, all’1% dell’importo del contratto”.

Tale adempimento non concerne direttamente gli obblighi dichiarativi dei concorrenti, poiché si riferisce esclusivamente alle stazioni appaltanti e si rivela strumentale a disciplinare il funzionamento del Casellario ed il materiale informativo destinato a confluirvi, tuttavia contribuisce individua specificamente l’importo della penale come uno dei requisiti idonei ad attribuire alle penali la valenza di indice rivelatore di “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione” rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) e c-ter) cod. app., che fanno sorgere, in capo al concorrente, un corrispondente obbligo dichiarativo).

Nelle ipotesi in cui la penale risulta immediatamente e direttamente riconducibile ad uno dei parametri rivelatori di un deficit di affidabilità e moralità del concorrente, peraltro, la semplice constatazione della omissione dichiarativa si rivela sufficiente a legittimare l’adozione della sanzione espulsiva, mentre non assumono rilievo  la qualificazione della dichiarazione omissiva e la natura della violazione dell’obbligo dichiarativo, né la definitività della penale.

Non rilevano, in particolare, la differenza tra “dichiarazione falsa – dichiarazione meramente omissiva”, né la circostanza che le penali siano state “contestate”, poiché la loro irrogazione deve ritenersi sufficiente a generare, in capo alla concorrente, un obbligo dichiarativo, ferme le valutazioni della stazione appaltante in ordine alla loro rilevanza.

Quanto alla soglia di rilevanza della penale la circostanza l’operatore economico abbia proseguito nell’esecuzione del servizio, nonostante l’irrogazione delle penali, non costituisce indice univoco della loro “non significatività”, ai fini dell’assolvimento del relativo obbligo dichiarativo, influendo sulle valutazioni rimesse al riguardo alla stazione appaltante elementi estranei al profilo della eventuale gravità dell’inadempimento (come l’opportunità di non interrompere il servizio ovvero il comportamento riparatore posto in essere dall’impresa, atto a garantire che gli inadempimenti all’origine della penale non avranno più a verificarsi).

Nelle ipotesi in cui l’irrogazione della penale debba ritenersi rivelatrice di “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione” non può addursi quale causa giustificativa dell’omissione dichiarativa, il fatto che la circostanza da dichiarare sia nota alla stazione appaltante, laddove, ad esempio, inerisca ad una vicenda contrattuale diversa da quella oggetto del procedimento di gara in corso di svolgimento.

In simili casi, infatti, “elementari principi di efficienza amministrativa e di lealtà impongono infatti alle imprese concorrenti di dichiarare i fatti rilevanti ai fini della partecipazione alla gara, non potendo addossarsi alla stazione appaltante specifici oneri istruttori, intesi a verificare se, nei rapporti eventualmente intrattenuti dalla stessa con ciascuna delle concorrenti, si siano realizzati eventi suscettibili di valutazione ai fini della loro ammissione allo specifico procedimento selettivo”.

Ciò posto la sentenza chiarisce che ai fini dell’esclusione del concorrente rilevano le informazioni false idonee ad incidere sull’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione e l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione che comportino la violazione di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara e quelle che incidono sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico.

Nei primi casi la valutazione in ordine all’incidenza dell’omissione dichiarativa sull’affidabilità del concorrente è stata operata a monte dalla legge o della stazione appaltante attraverso le clausole della lex specialis che hanno previsto in capo ai concorrenti, ed a pena di esclusione, l’obbligo di dichiarare le penali eventualmente riportate.

Al di fuori di tali ipotesi, invece, la constatazione dell’omissione non può giustificare l’espulsione automatica del concorrente dalla gara, ma la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo.

CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE TERZA, SENTENZA 22 dicembre 2020, n. 8236

 

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