04/10/2021 – Controlli preventivi di legittimità avrebbero evitato a Lucano la condanna?

Prima di tutto, la speranza e la convinzione che l’ex sindaco di Riace, da considerare comunque ancora non colpevole finchè non giunga all’ultimo grado di giudizio, possa veder confermata la propria innocenza nei futuri gradi di giudizio.

La sentenza, anzi, la vicenda, comunque, meritano alcune considerazioni non specificamente sul merito della vicenda giudiziaria, ma sul perchè essa sia venuta in luce.

Nei confronti di Lucano sono stati espressi 16 capi di imputazione. La gran parte riguarda delitti contro la pubblica amministrazione: falso in atto pubblico, peculato, truffa aggravata ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, concussione.

I reati contestati derivano da una gestione certamente caotica del comune. Sono, infatti, connessi a rendicontazioni dei fondi mancanti di pezze giustificative, di appalti affidati senza gara a soggetti privi delle qualificazioni imposte dalla legge, dall’utilizzo di documenti erronei o incompleti ed altre diffuse attività amministrative svolte con leggerezza e confusione.

Se da un lato ci si augura che si riconosca l’assenza della commissione di reati, dall’altro non si può non constatare come la gestione del comune di Riace sia stata caratterizzata da una mala amministrazione sul piano puramente amministrativo.

Un sistema realmente funzionante dovrebbe fornire ad un sindaco strumenti e modi per affidare gli appalti nel rispetto delle regole, rendicontare regolarmente i finanziamenti fino all’ultimo centesimo, tenere in ordine la documentazione, adottare provvedimenti ed atti corretti, destinare le spese alle finalità previste.

 

Si è molto diffuso uno strano modo di pensare, secondo il quale l’attenzione al “risultato”, sicuramente fondamentale nella gestione dell’interesse pubblico, possa permettere modalità operative anche ellittiche a quelle stabilite dalla legge, considerata un peso; il “risultato” è proprio dell’orientamento manageriale, il rispetto delle norme di grigi legulei che sanno solo porre ostacoli.

La vicenda di Riace dimostra che questo modo di intendere l’organizzazione e l’amministrazione è totalmente sbagliato e privo di qualsiasi utilità finale. Nell’amministrazione pubblica la “managerialità” non può prescindere dalle regole. Il manager privato può scegliere come meglio crede, se funzionale al valore aziendale, un partner commerciale; la pubblica amministrazione no: deve garantire la concorrenza tra gli operatori economici e sceglierli tra coloro che dispongano di specifici requisiti. Il manager privato deve rispettare a sua volta regole di gestione delle risorse aziendali; ma la contabilità pubblica risulta molto più rigida, complessa e pervasiva. Tanto da rendere le regole sulla rendicontazione delle risorse ricevute da Ue, Stato e altri soggetti un dedalo inderogabile.

La managerialità nel pubblico non può creare regole e percorsi ellittici; deve saper conciliare l’applicazione corretta della fittissima, sicuramente troppo fitta, serie di norme, comunque disposte e imposte dal Legislatore, con la capacità di programmare e gestire cogliendo l’indirizzo politico ed il fine pubblico di volta in volta scelto dal rappresentante del corpo elettorale.

Le scorciatoie sono molto pericolose. Da un lato, spesso portano al crollo anche dei migliori modelli; dall’altro aprono la stura a contenziosi non solo civili, non solo amministrativi, non solo contabili, ma perfino penali.

La vicenda di Riace dovrebbe servire da monito per ripensare totalmente 30 anni quasi di riforme e di formazione di pensieri, attività formative e filoni dottrinali che hanno dato la sensazione dell’esistenza di un mondo parallelo, nel quale la PA dispone di quell’autonomia operativa, finanziaria, gestionale, di diritto privato e normativa, che invece non esistono, se non nei rigorosi limiti disposti dalle norme.

Malissimo ha fatto il Legislatore, affascinato in quegli anni da questo pensiero (un Legislatore bipolare, che mentre in alcuni filoni normativi vellicava la managerialità, contestualmente infittiva regole procedurali ed operative impossibili, basti pensare al codice degli appalti) ad abolire i controlli preventivi di legittimità e minare totalmente le funzioni dei soggetti competenti a garantire l’attuazione dell’indirizzo politico e ad un tempo la correttezza dell’azione amministrativa.

I comuni e gli enti locali sono le vittime sacrificali maggiori di questa follia normativa. Tutti i controlli preventivi di legittimità svolti da organi esterni e terzi sono stati eliminati: non c’è nessun filtro, nessuna rete di protezione che possa scongiurare il compimento di atti illegittimi sul piano amministrativo ed a rischio di illecito penale (oltre che contabile). Le riforme degli anni ’90 hanno ridotto al silenzio la figura del segretario comunale, un tempo primo garante della legittimità e della funzionalità dell’azione amministrativa, sottoponendolo ad uno spoil system spinto all’estrema potenza, privandolo, dunque, di autorevolezza e sottoposto al continuo giogo della precarietà dell’incarico fiduciario, purtroppo lasciato passare come legittimo dalla Consulta con la sciagurata sentenza 23/2019, nonostante l’evidentissimo vulnus alla Costituzione.

E’ lecito chiedersi se quella rete di controlli stracciata, se l’esercizio delle funzioni di soggetti esperti nel conciliare efficienza e legalità, avrebbe potuto evitare un caso come quello di Riace. Che non è, purtroppo, isolato. Casi eclatanti di pessima gestione da parte dei comuni, non di rado sfociati anche nelle aule giudiziarie penali, ve ne sono stati un’enormità, basta cercare nei motori di ricerca con le chiavi opportune (comune, sindaco, scandalo, arresti, assessori, peculato, corruzione, etc…).

Ed è lecito chiedersi, proprio anche per rispetto ad un personaggio come Lucano, che ha meritoriamente provato a trasformare il suo paese e a dare opportunità di integrazione agli immigrati, se non sia il caso di ripensare in maniera fortemente critica questi 30 anni di riforme fallimentari e tornare indietro su alcune scelte deleterie. Deleterie per l’interesse pubblico, per l’efficienza e per la vita stessa delle persone, che da amministratori rischiano di finire in un vortice giudiziario semplicemente assurdo.

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