30/11/2021 – Individuazione del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa. Pronuncia del Consiglio di Stato.

Uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa – di per sé sufficiente a giustificare l’emanazione di una interdittiva antimafia – è identificabile nella instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale, in ragione della valenza sintomatica attribuibile a cointeressenze economiche particolarmente pregnanti; queste, infatti, giustificano il convincimento, seppur in termini prognostici e probabilistici, che l’impresa controindicata trasmetta alla seconda il suo corredo di controindicazioni antimafia, potendosi presumere che la prima scelga come partner un soggetto già colluso o, comunque, permeabile agli interessi criminali a cui essa resta assoggettata (o che, addirittura, interpreta e persegue).

Ad avviso della Sezione soltanto là dove l’esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d’impresa deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia.

Ha ancora ricordato la Sezione che anche dalla Corte costituzionale n. 57 del 26 marzo 2020 – di fatto confermando la giurisprudenza della Sezione – a supportare il provvedimento interdittivo sono sufficienti anche situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale. Tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. n. 159 del 2011; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità. Vale ancora ricordare che ai fini della legittima adozione del provvedimenti interdittivo è sufficiente la contiguità soggiacente agli ambienti della criminalità organizzata, non richiedendosi necessariamente la ben più forte contiguità compiacente, essendo anche la prima insidiosa per la propria capacità pervasiva all’interno dell’economia, stigmatizzando la particolare insidiosità di quest’ultima, Ha sottolineato la Sezione (31 gennaio 2019, n. 758) il mutamento intervenuto nel fenomeno mafioso, che è passato dalle “tragiche stagioni di sangue degli attacchi frontali allo Stato” alla quotidiana occupazione di settori economici penetrando nell’economia legale. Il fenomeno è particolarmente evidente nel caso di contiguità compiacente, in cui si rinvengono condotte ambigue di operatori che, benché siano formalmente estranei ad associazioni mafiose, si pongono su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. 

 Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 25 novembre 2021, n. 7890

 

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