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Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria le questioni se: a) sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno, formulata dall’avente causa del destinatario di una variante urbanistica, quando entrambi siano risultati soccombenti in un giudizio amministrativo, proposto dal vicino, all’esito del quale sia stata annullata per vizi propri la medesima variante e siano stati annullati per illegittimità derivata i conseguenti permessi di costruire – e, più in generale, se sussista sempre la giurisdizione amministrativa quando – su domanda del ricorrente vittorioso o su domanda del controinteressato soccombente (che proponga un ricorso incidentale condizionato o un ricorso autonomo) – si debba verificare se il vizio di un provvedimento autoritativo, oltre a comportare il suo annullamento, abbia conseguenze sul piano risarcitorio); b) qualora sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda sub a) del controinteressato soccombente, quando sia giuridicamente configurabile un affidamento ‘incolpevole’ che possa essere posto a base di una domanda risarcitoria, anche in relazione al fattore ‘tempo’; c) qualora sussista la giurisdizione amministrativa e quand’anche si sia in presenza di un affidamento ‘incolpevole’ del controinteressato soccombente, quando si possa escludere la rimproverabilità dell’Amministrazione.

 

La Sezione ha dato atto che sulla questione è insorto un contrasto di giurisprudenza sia tra i giudici ordinari che tra quelli amministrativi.

 

Le tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato la giurisdizione del giudice civile nelle controversie avente per oggetto le domande risarcitorie formulate: – dal beneficiario di una concessione edilizia poi legittimamente annullata in sede di autotutela, il quale lamentava la lesione di un suo affidamento (si tratta della ordinanza n. 6594 del 2011); – da chi aveva ottenuto dapprima una attestazione sull’edificabilità di un’area (utile per valutare la convenienza di un acquisto, rivelatasi insussistente) e poi una concessione edilizia legittimamente annullata in sede giurisdizionale, il quale anche in tal caso lamentava la lesione di un suo affidamento (si tratta della ordinanza n. 6595 del 2011); – da chi aveva ottenuto una aggiudicazione di una gara d’appalto di un pubblico servizio, annullata in sede giurisdizionale, il quale anche in tal caso lamentava la lesione di un suo affidamento (si tratta della ordinanza n. 6596 del 2011). 

 

Le Sezioni Unite hanno superato il proprio precedente orientamento (la sentenza n. 8511 del 2009), per il quale – per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativa – rileva la riconducibilità della controversia ad una delle materie indicate dalla legge, rientrandovi anche tutte le controversie di natura risarcitoria; hanno evidenziato che chi aveva proposto le domande risarcitorie non poneva in discussione la legittimità degli atti di annullamento (in via amministrativa o giurisdizionale) di quelli ampliativi della loro sfera giuridica (questione ovviamente esaminabile dal giudice avente giurisdizione sugli atti autoritativi, e cioè dal giudice amministrativo, che peraltro in almeno due dei casi sopra indicati aveva annullato gli atti impugnati), ma lamentava la ‘lesione dell’affidamento’ riposto nella legittimità degli atti annullati e chiedeva il risarcimento dei danni subiti per aver orientato sulla base di questi le proprie scelte negoziali o imprenditoriali; hanno ritenuto che sarebbe ravvisabile un ‘diritto all’integrità del patrimonio’, la cui lesione, cagionata con la ‘lesione dell’affidamento’, determinerebbe la sussistenza della giurisdizione del giudice civile. 

 

Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno poi affermato principi anche divergenti da quelli posti a base delle citate ordinanze del 2011. 

 

Alcune pronunce (nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 19171/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019, 6885/2019 e 12635/2019) si sono poste in linea di continuità con le ordinanze del 2011 ed hanno affermato che: a) la controversia sulla domanda risarcitoria formulata da chi abbia fatto ‘incolpevole affidamento’ su di un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica, successivamente annullato, rientrerebbe nella giurisdizione del giudice civile, perché avrebbe ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo, bensì di un diritto soggettivo; b) tale diritto sarebbe quello alla ‘conservazione dell’integrità del patrimonio’, leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo poi annullato. 

 

Altre pronunce delle Sezioni Unite, invece, hanno affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa: – per Sez. Un., n. 8057 del 2016, “l’azione amministrativa illegittima – composta da una sequela di atti intrinsecamente connessi – non può essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo controverso l’agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l’affidamento costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione”; – per Sez. Un., n. 13454 del 2017, “la giurisdizione esclusiva prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle controversie relative ad interessi legittimi della fase pubblicistica, sia delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla caducazione di provvedimenti della fase predetta, realizzandosi quella situazione d’interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti e comportamenti assunti prima dell’aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la mancata stipula del contratto”; – per Sez. Un., n. 13194 del 2018, i principi fissati nelle ordinanze del 2011 non sono applicabili quando non vi sia stato un provvedimento ampliativo della altrui sfera giuridica.

 

Anche la giurisprudenza del giudice amministrativo è divisa sul punto, atteso che in alcune pronunce si è aderito alla traiettoria argomentativa sostenuta dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con le ordinanze del 32 marzo 2011, numeri 6594, 6595 e 6596, e con altre ordinanze (4 settembre 2015, n. 17586, 22 maggio 2017, n. 12799; 22 giugno 2017, n. 15640, 2 agosto 2017, n. 19171, 23 gennaio 2018, n. 1654, 2 marzo 2018, n. 4996, 24 settembre 2018, n. 22435, 13 dicembre 2018, n. 32365, 19 febbraio 2019, n. 4889, 8 marzo 2019, n. 6885, 13 maggio 2019, n. 12635, e 28 aprile 2020, n. 8236) si è affermato che la domanda risarcitoria proposta nei confronti della pubblica amministrazione per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria (anche nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), non trattandosi di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione del diritto soggettivo alla sua integrità patrimoniale oppure (più recentemente) di una lesione all’affidamento incolpevole quale situazione giuridica soggettiva autonoma, dove l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento. 

 

Per contro, in altre pronunce (Cons. St., sez. V, 23 febbraio 2015, n. 857; Tar Pescara 20 giugno 2012, n. 312) si è affermato che, nelle materie di giurisdizione amministrativa esclusiva, le domande relative al risarcimento del danno da lesione dell’affidamento riposto sulla legittimità dei provvedimenti successivamente annullati rientrerebbero nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo; in tal senso si sono peraltro espresse le sezioni unite della Corte di cassazione con le ordinanze 21 aprile 2016, n. 8057 e 29 maggio 2017, n. 13454 (per l’ipotesi di annullamento in autotutela di provvedimento di affidamento di sevizio pubblico)”.

 

La Sezione – nel rimettere all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione di giurisdizione – ritiene che in linea di principio si dovrebbe affermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ai sensi degli artt. 7 e 133 c.p.a., potendo non risultare convincenti le considerazioni sostanziali e quelle processuali poste a base del ‘primo orientamento’.

 

L’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse sostanziale rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’, sia l’interesse procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato seguendo il procedimento previsto dalla legge. Non si tratta di un mero interesse ‘occasionalmente protetto’ (adoperando una espressione tipica degli albori della giustizia amministrativa), cioè protetto per il tramite della tutela primaria della legalità amministrativa, bensì di una situazione giuridica immediata, diretta, concreta e personale del privato. Può risultare dunque artificioso il sovrapporre a una tale posizione giuridica soggettiva – riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il richiedente e l’Amministrazione – una diversa situazione sostanziale (da richiamare per individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul principio del neminem laedere (il cui ambito di efficacia prescinde dalla esistenza di un preesistente rapporto tra danneggiante e danneggiato) o anche su un ‘contatto sociale’ (categoria che può giustificare nell’ambito della giurisdizione civile la soluzione secondo giustizia di determinate tipologie di controversie senza alterare i criteri di riparto della giurisdizione, ma che di per sé è incongruamente richiamata quando si tratti dell’esercizio o del mancato esercizio del pubblico potere, come ha chiaramente evidenziato anche la citata sentenza n. 7 del 2021 dell’Adunanza Plenaria).

 

Ha aggiunto la Sezione che allorquando sia stato annullato l’atto abilitativo e dunque non sia più configurabile il diritto ad esso conseguente, l’originario richiedente torna ad essere titolare di un interesse legittimo. In fondo, si tratta del ripristino della dinamica delle posizioni giuridiche, già segnalata dalla sez. II, con l’ordinanza n. 2013 del 2021:  il ricorrente ed il controinteressato, beneficiario in quanto tale dell’atto abilitativo impugnato, sono titolari di contrapposti interessi legittimi nel corso del procedimento, sicché – una volta che la sentenza amministrativa abbia annullato il titolo abilitativo – il controinteressato non risulta più titolare del diritto che era sorto con l’atto ormai annullato. In altri termini, il controinteressato soccombente va qualificato come titolare di una posizione soggettiva contrapposta e speculare a quella del ricorrente vittorioso, in un quadro nel quale tra di loro e nei confronti dell’Amministrazione non vi sono diritti soggettivi da fare valere. 

 

Qualora il controinteressato soccombente nel giudizio di legittimità intenda formulare una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione anch’essa soccombente, la relativa causa petendi riguarda proprio il come è stato in precedenza esercitato il potere amministrativo e si deve verificare se il vizio dell’atto – oltre ad aver comportato il suo annullamento – deve avere conseguenze sul piano risarcitorio.

 

Per un principio di simmetria, la lesione arrecata all’interesse legittimo è configurabile sia quando l’istanza non sia accolta e vi sia un diniego poi annullato su ricorso del richiedente, sia quando l’istanza sia accolta e il titolo abilitativo sia annullato su ricorso di chi vi abbia interesse. In entrambi i casi, non sono ravvisabili (ab origine o a seguito dell’atto o della sentenza di annullamento) diritti soggettivi e rileva l’art. 7, comma 1, c.p.a., per il quale ‘sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni’.

 

La pretesa risarcitoria – quando si basa su quanto è accaduto in sede di esercizio del potere amministrativo ‘autoritativo’ o nel corso del procedimento amministrativo – non è riconducibile ad un comportamento o a una condotta di rilievo privatistico o svolta ‘in via di mero fatto’ e che potrebbe essere serbata da un quisque de populo in spregio al principio del neminem laedere, ma si duole dell’esercizio (o del mancato esercizio) del potere amministrativo, disciplinato dal diritto pubblico: a) sotto l’aspetto soggettivo, si tratta di provvedimenti e di attività della pubblica Amministrazione; b) sotto l’aspetto oggettivo, si tratta di poteri disciplinati dalla l. n. 241 del 1990 e dalle altre leggi amministrative; c) sotto l’aspetto funzionale, si tratta di verificare le conseguenze dell’illegittimo esercizio del potere. Sotto l’aspetto normativo, la domanda risarcitoria – nel caso in esame – si basa non sulla illiceità di un ‘comportamento’ (comunque riconducibile all’esercizio del potere), bensì sull’emanazione sia pure illegittima del provvedimento autoritativo, con la conseguente applicazione degli artt. 7, comma 1, e 133, comma 1, lettera f), c.p.a., per il quale sussiste la giurisdizione esclusiva sulla medesima domanda risarcitoria: è ben difficile sostenere che la domanda risarcitoria non abbia per ‘oggetto’ il ‘come’ sia stato esercitato il potere amministrativo con il provvedimento annullato (e nella materia urbanistica, nel caso in esame), per i chiari enunciati degli artt. 7 e 133 c.p.a..

 

A questo proposito, la menzionata ordinanza n. 2013 del 2021 della Sezione Seconda del Consiglio di Stato ha già osservato che è prioritario qualificare l’illecito in senso logico ed eziologico, anziché in senso meramente cronologico (“atteso che l’ordinamento attribuisce, in ossequio al principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale, alla cognizione del giudice amministrativo tutti gli strumenti processuali idonei a tutelare la posizione lesa dall’esercizio dei pubblici poteri di cui è titolare l’amministrazione e che la circostanza che il danno non sia direttamente cagionato dal provvedimento, ma derivi dal suo annullamento, attiene soltanto al piano cronologico e non, per contro, a quello logico ed eziologico, stante la riconducibilità diretta del pregiudizio al provvedimento amministrativo”). Il criterio di riparto della giurisdizione, che trascina con sé la cognizione sull’azione risarcitoria intesa come tecnica di tutela e non come autonoma materia a sua volta da ripartire, non si basa sulla satisfattività o meno della situazione soggettiva, ma sulla sua natura giuridica (“In sostanza, l’orientamento favorevole alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria si basa sul presupposto per cui vi sarebbe l’interesse legittimo soltanto a fronte della illegittima negazione di un bene della vita e non dinanzi all’illegittimo ‒ e, pertanto, necessariamente instabile ‒ riconoscimento di siffatto bene. Quest’impostazione, tuttavia, non appare in sintonia con il generale criterio di riparto sancito dalla Costituzione che non condiziona la natura delle situazioni soggettive (diritto soggettivo/interesse legittimo), rilevante per la concreta applicazione del criterio, al carattere satisfattivo o non satisfattivo del provvedimento amministrativo”).

 

Ragioni di coerenza sistematica – di per sé rilevanti anche per ravvisare la ragionevolezza delle soluzioni legislative (o delle loro esegesi), ponendosi altrimenti serie questioni di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3, 97 e 103 Cost. – sembrano imporre di ritenere che – una volta annullato un atto abilitativo – il giudice amministrativo ha giurisdizione su ogni domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’Amministrazione: – quella formulata da quel vicino che impugni il permesso di costruire (con il medesimo ricorso introduttivo o con una domanda proposta dopo la sentenza di annullamento); – quella formulata dal titolare del permesso di costruire, che sia la parte controinteressata nel giudizio di cognizione proposto contro tale provvedimento (con un ricorso incidentale condizionato all’accoglimento eventuale dalla domanda di annullamento o – come nel caso di specie – con un ricorso autonomo dopo l’annullamento del permesso). Affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice civile sembra dunque contrastare anche con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, per la quale il giudice amministrativo è il ‘giudice naturale dell’esercizio della funzione pubblica’: tale funzione si deve necessariamente sindacare quando si esamina la domanda risarcitoria, formulata dal controinteressato risultato soccombente nel giudizio amministrativo di legittimità.

 

D’altra parte, qualora fosse ravvisata la giurisdizione del giudice civile, risulterebbe sottratta al giudice amministrativo la cognizione di controversie di indubbia natura pubblicistica, anche con l’inconveniente per il quale un altro ordine giurisdizionale – in disarmonia con gli artt. 7 e 133 c.p.c. – dovrebbe per di più esaminare la portata ed il significato anche conformativo delle pronunce del giudice amministrativo, se non altro allo scopo di qualificare i fatti e di ravvisare la sussistenza o meno degli elementi costitutivi di un illecito, di cui un elemento decisivo da valutare è proprio il decisum della sentenza di annullamento emessa dal giudice amministrativo per verificare se in concreto vi sia una rimproverabilità eccedente la mera illegittimità dell’atto.

 

Ha ancora affermato la Sezione non qualsivoglia affidamento del privato può essere posto a base di una domanda risarcitoria, per il solo fatto dell’annullamento di un provvedimento amministrativo favorevole. Infatti, occorrerebbe sempre tenere conto delle peculiarità della fattispecie concreta, da apprezzarsi caso per caso, alla luce degli accadimenti effettivamente svoltisi nel corso del procedimento amministrativo e tenendo conto delle modalità con cui è stata presentata l’istanza poi accolta dall’Amministrazione con l’atto poi annullato.

Consiglio di Stato, Sez. IV, ord. dell’11 maggio 2021, n. 3701

 

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