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Corte di Cassazione sez.6 15005/2021

L’attività, di carattere intellettivo e non meramente esecutivo o d’ordine, in concreto svolta dai dipendenti di Poste Italiane attiene allo svolgimento di un pubblico servizio, laddove riguardi la raccolta e la gestione del risparmio postale attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi, dal che ne consegue il riconoscimento della qualifica soggettiva disciplinata dall’art. 358 cod. pen.

È quanto affermano i giudici della Corte Suprema, pur riconoscendo la presenza di altri diversi orientamenti. Viene richiamata la sentenza della Corte Costituzionale n.26/2020 che al riguardo ha affermato che la diversa previsione concernente il risparmio postale si giustifica proprio in considerazione della «innegabile eterogeneità dei buoni fruttiferi da essa negoziati rispetto agli strumenti finanziari offerti dal sistema bancario». Tale sentenza, pertanto, conferma la correttezza del ragionamento seguito dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, lì dove fa dipendere la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio dei dipendenti di Poste Italiane s.p.a. proprio dalla specificità del risparmio postale, non assimilabile all’ordinaria attività bancaria.

La questione posta all’attenzione della Cassazione riguarda l’appropriazione di somme destinate al risparmio, da parte del direttore di un ufficio postale che affermava l’insussistenza del peculato, in quanto aveva provveduto a restituire il denaro illecitamente sottratto, sicché si sarebbe potuto al più ricondurre la condotta alla meno grave ipotesi di peculato d’uso.

La Corte rigetta questa interpretazione e afferma che il peculato d’uso è configurabile esclusivamente in relazione a cose di specie e non al denaro, menzionato in modo alternativo solo nel primo comma dell’art. 314 cod. pen., in quanto la sua natura fungibile non consente – dopo l’uso – la restituzione della stessa cosa, ma solo del “tantundem”, irrilevante ai fini dell’integrazione dell’ipotesi attenuata (Sez.6, n.49474 del 04/12/2015, Stanca, Rv. 266242). 

Tale principio è direttamente funzionale a confutare la tesi difensiva secondo cui l’imputato non si sarebbe appropriato definitivamente del denaro, proprio perché riconosce che nella fattispecie scrutinata l’appropriazione si consuma nel momento stesso in cui denaro viene prelevato dai depositi postali.

Occorre aggiungere che il momento consumativo del peculato coincide con quello appropriativo del danaro, sicché resta irrilevante la successiva restituzione da parte dell’agente (Sez.6, n. 16765 del 18/11/2019, dep.2020, Giovine, Rv. 279418 – 11), integrando quest’ultima un mero post factum che non incide sull’avvenuta realizzazione della condotta tipica. 

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