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Magistrati – Magistrati ordinari – Incarico direttivo – Diniego – Illegittimità riconosciuta in sede giudiziale – Ottemperanza – Conferimento incarico ora per allora – Impossibilità per sopravvenuto collocamento a riposo – Conseguenza. 

         E’ legittima la delibera del Consiglio superiore della magistratura che, nel dare esecuzione alla sentenza che ha riconosciuto la spettanza di un incarico direttivo ad un magistrato, preso atto del suo collocamento a riposo intervenuto medio tempore, ha affermato il diritto al risarcimento del danno, non potendo detto incarico essere riconosciuto neanche ai soli effetti della qualifica e della conseguente progressione di carriera, nonché per la ricostruzione della stessa ai fini pensionistici  (1).

(1) Ha chiarito la Sezione che come reiteratamente riconosciuto anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787 e, con maggior pertinenza alla fattispecie in esame, Id., SS. UU., 2 febbraio 2015, n. 1823), il giudizio di ottemperanza di cui agli artt. 112 ss. c.p.a. non si esaurisce nel mero accertamento del carattere eventualmente elusivo del provvedimento con cui l’amministrazione avrebbe dovuto dare esecuzione al giudicato (e nella conseguente dichiarazione di nullità di detto provvedimento ex art. 21 septies, comma 1, l. n. 241 del 1990 e, in prospettiva remediale, art. 114, comma 4, lettera b), c.p.a.), ma (palesandosi tale nullità positivamente strumentale alla riedizione conformativa dell’azione amministrativa) ha una specifica e prospettica funzione esecutiva, in ordine alla quale acquista, peraltro, rilievo, in relazione alla concreta incidenza delle sopravvenienze di fatto o di diritto post litem judicatam, la distinzione tra vicende da considerarsi definitivamente “chiuse” (per le quali l’impossibilità di accedere ad una satisfattiva esecuzione del giudicato comporta – giusta le cadenze di cui alla Adunanza plenaria n. 2 del 2017 del Consiglio di Stato – il ristoro per equivalente del danno, a titolo di responsabilità obiettiva, ex art. 112, comma 3, c.p.a.) e quelle “orientate al futuro”. 

Con specifico riguardo al giudicato amministrativo formatosi su un provvedimento col quale il Consiglio Superiore della Magistratura abbia proceduto al conferimento di un incarico giudiziario, lo stesso ha, di regola, l’effetto d’imporre alla medesima amministrazione di provvedere al rinnovo della relativa procedura, volta al conferimento di quell’incarico, ma ciò solo “se e fino a quando l’incarico sia ancora conferibile e la procedura sia ancora espletabile” (cfr. Cass., SS.UU., n. 17987/2015 cit.), laddove, “venuta meno tale condizione, cessa per ciò stesso non solo l’obbligo, ma la possibilità stessa per l’amministrazione di provvedere in tal senso, fermo l’eventuale diritto al risarcimento per chi abbia visto indebitamente frustrate le proprie legittime aspirazioni”.  

In tale prospettiva la preclusione allo svolgimento “di un’attività meramente virtuale” (vale a dire, di una rinnovazione del procedimento preordinata al conferimento ora per allora dell’incarico) è ancorata al dato che l’amministrazione possa o meno ancora provvedere: in difetto di che, il relativo potere esulerebbe anche dai poteri giurisdizionali (benché estesi al merito: ed, anzi, proprio perché operanti in via di diretta o mediata sostituzione nel merito) del giudice dell’ottemperanza. 

Orbene, nel caso di specie il Consiglio Superiore ha ritenuto che ostativo al conferimento dell’incarico (pur in presenza di tutte le relative condizioni, all’esito del rinnovato confronto comparativo) fosse non già l’avvenuto collocamento a riposo, per sopraggiunti limiti di età, del ricorrente, ma la sua stretta imminenza (con ciò, in sostanza, valorizzando, sia pure in modo implicito, l’interesse pubblico, ritenuto prevalente, a non procedere ad un conferimento destinato a perdurare per un tempo assai limitato). 

Si tratta di un ragionamento corretto: come espressamente riconosce, in una vicenda contermine, Cass., SS.UU., n. 1823 del 2015, la valorizzata preclusione va, naturalmente, riconosciuta in caso di “già avvenuto collocamento in quiescenza” (nel qual caso neanche un mero “interesse morale […] ad ottenere una deliberazione conforme al giudicato” potrebbe far premio sulla impossibilità di provvedere “ora per allora”), e non quando, invece, “non [fosse] ancora maturato il pensionamento dell’interessato”: nel qual caso, nondimeno, il “diritto […] alla corretta esecuzione del giudicato favorevole” non va considerato in termini assoluti, potendo essere, in concreto, motivatamente “in considerazione di un interesse pubblico che lo sconsigli[asse]”, tanto più che “anche il dare corretta esecuzione alle sentenze passate in giudicato è un modo di assicurare il buon andamento dell’amministrazione e quindi risponde, in un’ottica generale, all’interesse pubblico”. 

In siffatta prospettiva, deve essere apprezzato l’interesse – con ogni evidenza sotteso alla ritenuta insussistenza dei presupposti per una attribuzione funzionale in concreto destinata ad operare, alla luce della stretta imminenza del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, per un tempo assolutamente breve se non addirittura simbolico – a che il conferimento degli incarichi direttivi (che non obbedisce esclusivamente alla logica bilaterale della progressione di carriera dell’interessato, ma è essenzialmente strumentale, sul piano organizzativo, alla corretta ed adeguata gestione del servizio e della funzione pubblica) sia destinato ad operare, propter utilitatem, per un tempo adeguato, ragionevolmente congruo e prospetticamente proficuo. 

Cons. St., sez. V, 20 luglio 2021, n. 5454 – Pres. Saltelli, Est. Grasso

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