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Il TAR Toscana entra nel merito della legittimità di intervento di chiusura e copertura di terrazza esistente in violazione alle distanze legali tra costruzioni.

Lotta “fratricida” tra due alberghi nella sentenza del Tar Toscana n. 738/2021. I giudici sono chiamati a risolvere una questione spinosa relativa alla realizzazione della copertura di una terrazza già esistente e delle distanze tra due alberghi. E non è così facile. Fondamentale dire che i due alberghi si trovano in una zona vincolata paesaggisticamente.

La società che gestisce un albergo ha presentato ricorso al comune in cui si trovano le strutture turistiche per denunciare, a detta loro, l’illegittimità della concessione edilizia concessa ai colleghi della struttura di fronte per la chiusura e copertura della terrazza esistente che si trova al terzo piano dell’edificio. Secondo la società, questa chiusura è stata fatta a meno di dieci metri dal loro edificio, in violazione del regolamento urbanistico vigente. Viene contestato anche il fatto che la società che ha chiesto la sanatoria, avrebbe omesso di indicare la distanza della terrazza dall’edificio confinante. Il comune, dopo un sopralluogo, ha annullato in autotutela la concessione. Ma l’opera abusiva non è stata demolita, archiviando la questione. Su questa archiviazione si arriva al ricorso di oggi.

Partiamo dalle cose certe: gli edifici distano tra di loro meno di dieci metri. L’intervento contestato è stato realizzato quasi 20 anni fa e condonato inizialmente oltre dieci anni fa. Già allora era prevista la “distanza minima di dieci metri tra edifici antistanti”. La copertura e la chiusura di una terrazza integra un intervento di “nuova costruzione” e pertanto è soggetta al rispetto delle distanze minime tra edifici.

Per nuova costruzione, dicono i giudici, si deve intendere “non solo la realizzazione ex novo di un fabbricato, ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno di una maggiore volumetria e/o dall’utilizzabilità della stessa a fini abitativi; in particolare la sopraelevazione deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante”. Nel caso analizzato, la chiusura della terrazza rappresenta “un nuovo e consistente elemento edilizio che doveva rispettare le distanze minime tra edifici”. L’intervento oggetto del ricorso, dunque, secondo il Tar Toscana non doveva essere sanato. Vale anche in questo caso la duplice condizione “che esse siano state realizzate prima dell’imposizione del vincolo e che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e degli strumenti urbanistici”.

I giudici hanno verificato che era possibile annullare d’ufficio la concessione edilizia. Nella documentazione, tra l’altro, la società non indica mai la distanza esistente tra gli edifici nella domanda di condono. “L’omessa indicazione di un elemento essenziale ai fini della corretta valutazione della domanda di rilascio di un titolo edilizio può equivalere alla falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, atteso che chi presenta istanza di autorizzazione “ad aedificandum” ha l’onere di accludere dati, documenti e misurazioni idonei a dare esatta contezza della situazione dei luoghi con la conseguenza che, ove invece fornisca dati incompleti, non rispondenti alla superficie e al volume impegnati dalla progettata edificazione e comunque tali da fornire una errata rappresentazione dello stato dei luoghi, l’Amministrazione legittimamente interviene sul piano dell’autotutela e annulla d’ufficio il titolo abilitativo già rilasciato”. Includere una fotografia che mostri i due edifici confinanti “non può ritenersi sufficiente”, poiché questo dimostrava “solo la presenza dell’edificio frontistante rispetto a quello oggetto dell’intervento abusivo, senza tuttavia rappresentare, in modo palese ed inequivocabile, la presenza di una distanza tra i due beni superiore rispetto a quella minima prescritta dalla legge e dalla disciplina urbanistica dell’area”. E quindi, vista la errata rappresentazione dello stato dei luoghi fornita dalla società in sede di presentazione della domanda di condono, il comune può procedere all’annullamento della concessione edilizia in sanatoria nonostante sia trascorso così tanto tempo. Il ricorso è stato accolto.

Pubblicato il 19/05/2021

Sent. n. 738/2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1058 del 2020,

proposto da [omissis] in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Duccio Maria Traina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Forte dei Marmi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuliano Turri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

[omissis], in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Cristiana Carcelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

[omissis] non costituita in giudizio;

per l’annullamento

– del provvedimento prot. n. 19984 del 28 luglio 2020 del Dirigente del Servizio Edilizia Privata del Comune di Forte dei Marmi, avente ad oggetto “Comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, ai sensi artt. 7-8 della l. 7.8.1990, n. 241. Annullamento in via di autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies l. 241/1990 c/o l’immobile posto in [omissis], Forte dei Marmi. Archiviazione”;

– di ogni altro provvedimento presupposto, connesso o conseguente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Forte dei Marmi e di [omissis];

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2021 la dott.ssa Silvia De Felice e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 25, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e s.m.i.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierna ricorrente è proprietaria di un edificio adibito ad albergo, denominato [omissis], sito in Forte dei Marmi, [omissis], il cui giardino confina, sul lato nord/ovest, con il giardino dell’[omissis], di proprietà della [omissis] e gestito dalla [omissis]. Entrambi gli edifici insistono in area sottoposta a vincolo paesaggistico.

2. In data [omissis] ha presentato un esposto al Comune di Forte dei Marmi, denunciando l’illegittimità della concessione edilizia in sanatoria n. [omissis], rilasciata all’[omissis] ai sensi della L.R.T. n. 53/2004, avente ad oggetto una “addizione funzionale consistente nella chiusura e copertura di una terrazza esistente”, posta al terzo piano del fabbricato di proprietà (cfr. doc. 2 di [omissis]). In particolare, la ricorrente ha segnalato al Comune che la chiusura della terrazza è stata realizzata, rispetto al tratto fronteggiante dell’edificio di [omissis], a distanza inferiore a 10 metri, in violazione di quanto prescritto dall’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 e dall’art. 13, comma 5 delle norme tecniche attuative del regolamento urbanistico vigente. [omissis] ha chiesto quindi al Comune di provvedere all’annullamento della concessione che – ai sensi dell’art. 2, comma 5, lett. a) della L.R.T. n. 53/2004 – non poteva essere rilasciata per interventi eseguiti su beni siti in aree soggette a vincolo paesaggistico e non conformi alle prescrizioni urbanistiche vigenti. Secondo la ricorrente, peraltro, il tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia in sanatoria non sarebbe stato ostativo all’annullamento del provvedimento, atteso che nella sua domanda la [omissis] avrebbe artatamente omesso di indicare la distanza della parete finestrata realizzata abusivamente rispetto alla parete frontistante dell’edificio di [omissis].

3. A seguito di sopralluogo, il Comune ha dato avvio al procedimento per l’annullamento della concessione in via di autotutela, dandone comunicazione alla [omissis]. All’esito dell’istruttoria, con provvedimento prot. n. [omissis], pur avendo accertato che l’opera condonata non rispetta le distanze tra pareti finestrate di cui al d.m. n. 1444/1968, il procedimento è stato archiviato, sul presupposto che: – il mancato rispetto della distanza minima di cui al d.m. n. 1444/1968 non sarebbe stato determinato da “una falsa rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi imputabile” a [omissis], ma da “un difetto di rappresentazione della distanza dai fabbricati prospicienti”, venendo perciò a mancare i presupposti di cui all’art. 21 nonies della l. n. 241/1990, per l’esercizio potere di annullamento in autotutela oltre il termine di 18 mesi, senza limiti di tempo; – in capo a [omissis]. si sarebbe formato un legittimo affidamento circa l’intervenuta legittimazione dell’opera, anche in considerazione del considerevole lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia in sanatoria; – l’intervento abusivo “è stato mantenuto rigorosamente a filo della distanza della terrazza preesistente, costituente servitù di affaccio e di veduta”.

4. L’odierna ricorrente, insorta contro il provvedimento di archiviazione, ne chiede l’annullamento, deducendo i vizi di “Violazione o falsa applicazione degli artt. 21-nonies l. 7.08.1990, n. 241; 9 d.M 2.04.1968, n. 1444. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto dei presupposti”. Ed invero: – la mancata indicazione negli elaborati grafici allegati alla domanda di condono della distanza tra l’opera che si chiedeva di sanare e le pareti degli edifici antistanti – che costituisce senza dubbio circostanza rilevante per il rilascio del titolo – equivarrebbe all’ipotesi di falsa rappresentazione dello stato dei luoghi che, ai sensi dell’art. 21 nonies, comma 2 bis della l. n. 241/1990, consente all’Amministrazione di esercitare il potere di autotutela senza limiti di tempo; – non sarebbe configurabile alcun legittimo affidamento in capo al dichiarante che ha ottenuto il titolo edilizio in sanatoria rappresentando all’Amministrazione elementi non veritieri; – anche ad ammettere che dalla terrazza preesistente fosse esercitabile una servitù di affaccio e di veduta, ciò non rileverebbe ai fini del rispetto della distanza minima di cui all’art. 9 d.m. n. 1444/1968, norma di ordine pubblico, inderogabile, volta a garantire l’igiene e la salubrità dei luoghi ed ad evitare la formazione di intercapedini dannose; l’opera preesistente, infatti, era costituita da una semplice terrazza scoperta dotata di un parapetto in muratura sormontato da ringhiera, mentre l’opera condonata costituisce una nuova costruzione che, in quanto tale, deve rispettare le prescrizioni in materia di distanze tra edifici vigenti al momento della sua realizzazione.

5. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Forte dei Marmi e la [omissis], resistendo in rito e nel merito alle pretese attoree.

6. All’esito dell’udienza pubblica del 23 marzo 2021, la causa è stata trattenuta in decisione, sulla base degli atti.

DIRITTO

1. In via preliminare, deve essere scrutinata l’eccezione formulata dalla [omissis], con la quale si è rilevata l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica al controinteressato Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che in sede di esame della domanda di condono ha rilasciato l’autorizzazione a fini paesaggistici per l’intervento oggetto di contestazione. L’eccezione è infondata. Difatti, la ricorrente impugna il provvedimento con il quale il Comune ha respinto l’istanza di riesame e annullamento d’ufficio della concessione edilizia in sanatoria, fondata sulla ritenuta esistenza di profili di contrasto con le disposizioni in materia di distanze tra edifici. Il ricorso, dunque, non riguarda in alcun modo l’autorizzazione paesaggistica rilasciata a suo tempo dal Ministero, che è quindi soggetto estraneo rispetto al presente contenzioso.

2. Il ricorso è fondato. La Società ricorrente, rilevata la difformità dell’intervento realizzato al terzo piano dell’edificio antistante rispetto alle norme in materia di distanze tra edifici, ha presentato al Comune un esposto affinché lo stesso esercitasse i poteri di vigilanza che gli sono attribuiti dalla legge. E’ circostanza incontestata tra le parti che la distanza tra l’[omissis] e l’[omissis] è inferiore ai 10 metri. Dagli atti risulta, altresì, che l’intervento condonato con la concessione edilizia in sanatoria n. [omissis] è stato realizzato, indicativamente, nell’anno 2002. All’epoca, pertanto, già vigeva il d.m. n. 1444/1968 che all’art. 9 prevede la distanza minima di 10 metri tra edifici antistanti. Inoltre, l’art. 13, comma 5 delle norme tecniche attuative del Regolamento urbanistico all’epoca vigente, per gli interventi su edifici non ricadenti nel centro di antica formazione – come quello di cui oggi si controverte – prevedeva che “… l’intervento di adeguamento funzionale … è consentito mantenendo le preesistenti distanze da strade e confini di proprietà, fatti salvi i minimi previsti dal codice civile e, comunque, nel rispetto delle distanze tra pareti finestrate ai sensi del citato dm 1444/1968” (cfr. doc. 4, pag. 12 della controinteressata). Ebbene, le disposizioni appena citate certamente trovano applicazione rispetto all’intervento di chiusura della terrazza posta al terzo piano dell’[omissis], atteso che esso ha determinato la realizzazione di un’addizione funzionale, utilizzabile e suscettibile di abitabilità, con modifica della sagoma dell’edificio originario. Secondo la giurisprudenza, infatti, la copertura e la chiusura di una terrazza, con impiego, peraltro, anche di muratura, integra un intervento di nuova costruzione, che comporta la irreversibile trasformazione del territorio ed è perciò soggetta all’obbligo di rispetto delle distanze minime tra edifici (cfr. arg. ex T.A.R. Toscana, sez. III, 7 febbraio 2020, n. 175; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 2 luglio 2018, n. 646; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 7 febbraio 2018, n. 793). In particolare, “ai fini dell’applicazione della normativa codicistica e regolamentare in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione si deve intendere non solo la realizzazione ex novo di un fabbricato ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno di una maggiore volumetria e/o dall’utilizzabilità della stessa a fini abitativi ; in particolare la sopraelevazione deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 25 ottobre 2019, n. 7289; Id., sez. IV, 28 novembre 2018, n. 6738). Ciò che davvero rileva nel caso in esame, dunque, al di là della esatta qualificazione tecnica dell’intervento, è solo il fatto che sia stato realizzato un nuovo e consistente elemento edilizio, che non era presente nel vecchio edificio, il quale – in base alle previsioni normative ed urbanistiche sopra citate – doveva rispettare le distanze minime tra edifici ex art. 9 del d.m. n. 1444/1968 (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 16 settembre 2020, n. 5466). L’intervento di cui si controverte, in definitiva, non avrebbe dovuto essere sanato, dal momento che ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) del d.l. n. 30 settembre 2003, n. 269/2003 e dell’omologo art. 2, comma 5, lett. a) della L.R.T. n. 53/2004 – per come interpretati dalla prevalente giurisprudenza amministrativa – le opere realizzate in aree sottoposte a vincoli, ivi compresi quelli ambientali e paesaggistici, sono sanabili solo alla duplice condizione che esse siano state realizzate prima dell’imposizione del vincolo e che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e degli strumenti urbanistici; con la conseguenza che “la preesistenza del vincolo e il contrasto con la destinazione urbanistica dell’area impediscono di ritenere condonabile un’opera, costituendo impedimenti oggettivi alla sanatoria che operano automaticamente senza necessità di acquisire il parere della Soprintendenza” (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 11 dicembre 2018, n. 1629; Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2018, n. 1528). Ciò premesso, resta da verificare se nel caso di specie sussistono i presupposti prescritti dalla legge perché il Comune possa procedere all’annullamento d’ufficio della concessione in sanatoria n. 268 del 12 settembre 2009, ai sensi dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990. Così è. In primo luogo, come dimostrato dalla documentazione versata in atti, la [omissis] non risulta avere mai indicato la distanza esistente tra gli edifici nella propria domanda di condono (cfr. docc. 2, 3 e 4 della controinteressata). Il citato documento 3, in particolare, contiene solo l’elenco delle integrazioni documentali fornite il primo luglio 2009 e dallo stesso, pertanto, non è dato ricavare alcun elemento utile in ordine alla dichiarazione delle distanze tra edifici. Ebbene, anche l’omessa indicazione di un elemento essenziale ai fini della corretta valutazione della domanda di rilascio di un titolo edilizio può equivalere alla falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, atteso che “chi presenta istanza di autorizzazione “ad aedificandum” ha l’onere di accludere dati, documenti e misurazioni idonei a dare esatta contezza della situazione dei luoghi con la conseguenza che, ove invece fornisca dati incompleti, non rispondenti alla superficie e al volume impegnati dalla progettata edificazione e comunque tali da fornire una errata rappresentazione dello stato dei luoghi, l’Amministrazione legittimamente interviene sul piano dell’autotutela e annulla d’ufficio il titolo abilitativo già rilasciato” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 gennaio 2012, n. 422). Ora, ad escludere la fallace rappresentazione dello stato dei luoghi da parte della controinteressata, non può ritenersi sufficiente la produzione, assieme alla domanda di condono, di una semplice fotografia, poiché questa dimostrava solo la presenza dell’edificio frontistante rispetto a quello oggetto dell’intervento abusivo, senza tuttavia rappresentare, in modo palese ed inequivocabile, la presenza di una distanza tra i due beni superiore rispetto a quella minima prescritta dalla legge e dalla disciplina urbanistica dell’area (cfr. doc. 6 della controinteressata). Il dato della distanza tra edifici non può desumersi nemmeno, indirettamente, dalla presentazione di altre pratiche edilizie da parte della [omissis], atteso che ogni singola pratica edilizia deve essere completa e riportare in modo esaustivo e inequivoco tutti gli elementi rilevanti ai fini della sua corretta definizione. Pertanto, stante la errata rappresentazione dello stato dei luoghi fornita dalla controinteressata in sede di presentazione della domanda di condono – realizzata mediante l’omissione di informazioni rilevanti sulle distanze tra edifici – il Comune può procedere all’annullamento della concessione edilizia in sanatoria, nonostante sia trascorso un ampio lasso di tempo dal suo rilascio, ai sensi dell’art. 21 nonies, comma 2 bis della l. n. 241/1990. D’altra parte, proprio la presentazione di una pratica edilizia incompleta e carente di elementi essenziali per la corretta rappresentazione dello stato dei luoghi esclude che in capo alla richiedente il condono possa configurarsi un legittimo affidamento circa l’intervenuta legittimazione dell’intervento e che si debba procedere ad un contemperamento tra interessi pubblici e privati contrapposti (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8) In ogni caso, quanto affermato nelle difese del Comune circa l’assenza di un interesse pubblico prevalente alla demolizione delle opere non è condivisibile. Va ricordato, infatti, che l’art. 9 è norma inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, che prevede in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, posta a tutela delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 16 settembre 2020, n. 5466 cit.). Un siffatto interesse di ordine pubblico non può ritenersi soccombente rispetto ad una non meglio precisata esigenza di tutela dell’attività alberghiera e degli interessi collettivi di natura economica, incentrati sul turismo, cui fa genericamente riferimento il Comune nei propri scritti difensivi.

3. In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto. Per l’effetto, il provvedimento impugnato deve essere annullato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate a favore della parte ricorrente nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei termini precisati in motivazione.

Condanna il Comune di Forte dei Marmi e la controinteressata [omissis] al pagamento delle spese di lite in favore della parte ricorrente, che liquida a carico di ciascuna parte resistente in euro 3.500,00, oltre agli accessori di legge e al rimborso per metà ciascuna del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto previsto dall’art. 25, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e s.m.i., con l’intervento dei magistrati:

Eleonora Di Santo, Presidente

Pierpaolo Grauso, Consigliere

Silvia De Felice, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE Silvia De Felice

IL PRESIDENTE Eleonora Di Santo

IL SEGRETARIO

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