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Sono rimesse all’Adunanza plenaria le questioni: a) se la vicinitas è di per sè idonea non solo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione; b) se, viceversa, la vicinitas è idonea a dimostrare la sola condizione della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario che il ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa edilizia (posta in essere in violazione delle regole di settore) gli provoca;  c) in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento della questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus patito dal ricorrente; d) nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di cui ai punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle cause in cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni) imposte dalla legge urbanistica: d1) se il solo interesse deducibile sia la lesione della distanza tra l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la lesione della distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione, non confinate con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se rilevino anche le distanze fra due immobili di cui nessuno confinante ma comunque nel raggio visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base del requisito della vicinitas; d2) se, a tal fine, rilevi la conseguenza evincibile di detta violazione, in termini di demolizione dell’intera opera del vicino, indipendentemente dal luogo interessato dalla violazione dedotta.

Ha chiarito il CGARS che l’orientamento maggioritario (ma non univoco) il criterio della vicinitas, ovvero il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso, è di per sé idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, assorbendo in sé anche il profilo dell’interesse all’impugnazione.

L’orientamento si è formato nel vigore dell’art. 10, l. n. 765 del 1967 (che consentiva a ‘chiunque’ la legittimazione a ‘ricorrere contro il rilascio della concessione edilizia’), norma non riprodotta nel d.P.R. n. 380 del 2001.

Da tempo risalente l’Adunanza plenaria ha attribuito decisivo rilievo, ai fini dell’inquadramento del “sistema della legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo fondato sull’esistenza di un interesse attuale, personale e diretto sia pure inteso in una considerazione adeguata alle esigenze dei tempi e della materia”, al criterio della vicinitas. E ciò al precipuo scopo di evitare che l’utilizzo del lemma “chiunque” potesse consentire di ammettere un’actio popularis, posto l’“indirizzo assolutamente fermo nel negare che la disposizione in questione abbia inteso introdurre un’azione popolare”.

​​​​​​​Successivamente detto orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza, pur non essendo stata riprodotta nel d.P.R. n. 380 del 2001 la disposizione contenuta nell’art. 10, l. n. 765 del 1967, sulla base della quale il medesimo si è formato.

​​​​​​​In base ad esso, in materia edilizia, la vicinitas, ossia l’esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall’intervento edilizio, è “circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell’interesse a ricorrere, senza che sia necessario al ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell’attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo”.

​​​​​​​In tale prospettiva al criterio della vicinitas è riconosciuta non solo l’idoneità a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma anche l’attitudine a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione, qualora ad impugnare sia il proprietario confinante. E detta considerazione assume un rilievo generale nel settore, valevole non solo quando si impugna un titolo edilizio, allorquando sussiste “indubbiamente una lesione della propria sfera giuridica – e non occorrendo la prova di uno specifico pregiudizio – quando si deduca che la violazione edilizia sia idonea a procurare un pregiudizio e ad incidere negativamente sulla qualità della vita o sulla salute”, ma anche quando si impugna un atto che pianifica diversamente un terreno vicino, o che localizza un’opera pubblica o una discarica di rifiuti o una stazione radio base o un atto che consente l’apertura di una struttura di vendita o l’ampliamento di quella esistente e comunque “qualsiasi atto che consenta la trasformazione del territorio”.

Con specifico riferimento agli abusi la giurisprudenza ritiene che “il pregiudizio del confinante [sia] in re ipsa, dato che ogni edificazione abusiva incide sull’equilibrio urbanistico e sull’ordinato sviluppo del territorio”. Ne deriva che il criterio della vicinitas, ovvero il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso, tenuto conto della portata delle possibili esternalità negative, rappresenta quindi un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere, “mentre pretendere la dimostrazione di uno specifico pregiudizio costituirebbe una probatio diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive”.

​​​​​​​A detto orientamento ha aderito la Corte di cassazione, secondo la quale il requisito della vicinitas è sufficiente al fine di radicare la legittimazione attiva e l’interesse a ricorrere avverso la realizzazione di un’opera, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità della stessa, né ricercare un soggetto collettivo che assuma la titolarità della corrispondente situazione giuridica, non potendosi pretendere altresì la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere.

​​​​​​​Nel corso del tempo si è andato però affermando anche un diverso approdo giurisprudenziale, che ha poi dato vita ad un’ulteriore evoluzione del medesimo (su cui infra), che si è affermata di recente.

​​​​​​​In base a detto orientamento la vicinitas è idonea a radicare la legittimazione ad agire ma non è di per sé elemento sufficiente a fondare l’interesse a impugnare, dovendosi ulteriormente dimostrare che quanto contestato abbia la capacità di propagarsi sino a incidere negativamente sulla proprietà del ricorrente.

​​​​​​​Ciò in quanto la vicinitas, nell’identificare una posizione qualificata idonea a rappresentare “la legittimazione a impugnare” il titolo edilizio, non assorbe ogni ulteriore valutazione relativa all’interesse a ricorrere, come in precedenza ritenuto, dovendo sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute e all’ambiente, o alla proprietà. Deve infatti essere sempre fornita “la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l’area) a cagione dell’intervento edificatorio”.

​​​​​​​Piuttosto il ricorrente sarebbe tenuto a fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed all’ambiente. “Ciò in quanto il criterio della vicinitas, se è idoneo a definire la sussistenza di una posizione giuridica qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse legittimo, tuttavia non esaurisce le condizioni necessarie cui è subordinata la legittimazione al ricorso, dovendosi da parte di chi ricorre fornire invece la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l’area) a cagione dell’intervento edificatorio”. Sarebbe quindi necessario che il ricorrente fornisca la “prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed all’ambiente”.

​​​​​​​A ciò consegue che la rilevanza del pregiudizio allegato sarà oggetto di valutazione sulla sussistenza della condizione dell’interesse a ricorrere.

​​​​​​​In tale prospettiva, ad esempio, si è ritenuto che la riduzione del panorama non integri il requisito, a meno che, come ritenuto da Cons. St., sez. IV 27 gennaio 2015, n. 362, la visuale relativa non assuma un valore economico, che però va dimostrato.

​​​​​​​Tale secondo orientamento è stato ulteriormente declinato, in alcune pronunce (specie recenti), nel senso che il concetto di vicinitas, anche in termini logici, è una sintesi verbale, una formula riassuntiva che sta a indicare una situazione nella quale, nella normalità dei casi, il pregiudizio proveniente dal titolo impugnato secondo il comune apprezzamento sussiste, senza bisogno di speciali dimostrazioni. Costituisce una situazione che può comportare, nel concreto rispetto al tipo di impianto di cui si parla, “un pregiudizio almeno presumibile al vicino”. Si tratta di “una sorta di presunzione, che però non è assoluta, nel senso che ove vi sia una specifica contestazione della controparte, l’allegazione non basta, bisogna verificare che il pregiudizio esista davvero”. L’onere della relativa dimostrazione, secondo i principi, spetta poi alla parte interessata, ovvero al soggetto che agisce, e in mancanza il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

​​​​​​​Stante l’esposto contrasto giurisprudenziale sulle tematiche in oggetto, il CGARS ritiene opportuno, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., deferire l’affare all’Adunanza plenaria.

​​​​​​​In coerenza con i principi della giurisdizione soggettiva e dell’impulso di parte, il controllo della legittimazione al ricorso e dell’interesse a ricorrere assume carattere pregiudiziale rispetto all’esame del merito della domanda, così come disposto dall’art. 76, comma 4, c.p.a. e dell’art. 276, comma 2, c.p.c..

Nel processo amministrativo impugnatorio la legittimazione ad agire spetta di regola al soggetto che è titolare della situazione giuridica sostanziale, in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo.

​​​​​​​L’interesse al ricorso consiste invece nel vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa, cioè nell’utilità o nel vantaggio, materiale o morale, ottenibile dal processo amministrativo al fine di porre rimedio alla lesione subita.

​​​​​​​Nel processo amministrativo è infatti applicabile, in virtù della clausola di rinvio esterno recata dall’art. 39, comma 1, c.p.a., l’art. 100 c.p.c. secondo cui “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse” (nel codice del processo amministrativo l’art. 34 comma 3 fa espressamente riferimento al concetto di utilità).

 

​​​​​​​Secondo la costante elaborazione giurisprudenziale, l’interesse al ricorso deve essere personale, concreto e attuale. “Nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato”, cui segue il richiamo di Cassazione civile, sez. un., 2 novembre 2007, n. 23031, “secondo cui l’interesse a ricorrere deve essere, non soltanto personale e diretto, ma anche attuale e concreto – e non ipotetico o virtuale- per fornire una prospettiva di vantaggio”.

​​​​​​​I connotati della personalità, attualità e concretezza debbono caratterizzare l’interesse a ricorrere in entrambi i profili nei quali si articola, quello della lesione e quello dell’utilità che può derivare dall’esercizio dell’azione al fine di porre rimedio alla lesione subita.

​​​​​​​Così descritte le due condizioni dell’azione, si rileva che la legittimazione collega la posizione di chi presenta ricorso all’ordinamento giuridico mentre l’interesse a ricorrere sposta l’attenzione sul rapporto fra l’azione giudiziaria esercitata e lo scopo perseguito in concreto dal soggetto agente, laddove per vantaggio concreto deve intendersi un risultato che, per quanto possa realizzarsi anche solo sul piano degli effetti giuridici, sia percepibile in modo tangibile dal ricorrente.

​​​​​​​Nel suddetto quadro sistematico si è inserita la giurisprudenza della Corte di giustizia, che, seppur in relazione al solo (ma rilevante) settore degli appalti pubblici, ha introdotto, per quanto di interesse in questa sede e con specifico riferimento ai rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale reciprocamente escludenti, due prospettive interpretative che hanno inciso sulla nozione di legittimazione a ricorrere e (soprattutto) di interesse a ricorrere.

​​​​​​​In una prima prospettiva la Corte di giustizia ritiene sufficiente, quale interesse al ricorso, un interesse ipoteticamente strumentale, dato che nell’evenienza fattuale del caso Lombardi (C. giust., sez. X, 5 settembre 2019 C-333/18).

​​​​​​​In una seconda prospettiva, l’impostazione della Corte di giustizia ha sovrapposto l’istituto dell’interesse al ricorso rispetto a quello della legittimazione ad agire allorquando e, affermato il primato del diritto eurounitario in ordine al diritto a un ricorso effettivo rispetto alle regole nazionali relative all’ordine di esame delle questioni, ha fatto prevalere la condizione dell’interesse al ricorso su quella della legittimazione ad agire, che è rimasta quindi assorbita dalla prima.

Il CGARS ha quindi esaminato dapprima gli aspetti positivi e negativi degli orientamenti giurisprudenziali sopra esaminati, per poi prendere posizione.

Con riferimento all’orientamento in base al quale la vicinitas è circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell’interesse a ricorrere, si rileva che:

rappresenta l’orientamento maggioritario (e garantisce quindi stabilità al sistema);

àncora la sussistenza di entrambe le condizioni dell’azione a un unico presupposto, la vicinitas, così semplificando il canone di accesso alla giustizia, anche in ragione del fatto che il criterio riceve oggi un’applicazione uniforme, che garantisce certezza in ordine alla fruibilità del servizio giustizia nel settore;

la circostanza che entrambe le condizioni dell’azione siano attestate da un unico presupposto riflette il fatto che la situazione giuridica soggettiva è collegata (in punto di legittimazione) a un bene immobile che è per natura localizzato in modo stabile in una certa zona e che l’utilità pratica anelata con il ricorso, collegandosi a detto bene, è circostanziata dal punto di vista spaziale in ragione proprio di quella localizzazione (in punto di interesse);

nella maggioranza dei casi il criterio della vicinitas è idoneo a rendere evidente il pregiudizio proveniente dal titolo impugnato senza bisogno di speciali dimostrazioni, rendendo così giustiziabili tali casi senza richiedere un sforzo aggravato ai fruitori del servizio giustizia;

può essere apprezzato in termini di coerenza con le sollecitazioni provenienti dalla sopra illustrata impostazione eurounitaria sia in punto di sovrapponibilità delle due condizioni dell’azione, la legittimazione a ricorrere e l’interesse a ricorrere, sia in punto di interesse a ricorrere.

In senso negativo si osserva che:

non sembra avere un sicuro fondamento normativo dopo l’abrogazione dell’art. 10 della legge n. 765 del 1967 senza riproduzione nel d.P.R. n. 380/2001;

riconduce ad unità due istituti processuali aventi contenuto e ratio differenti, come sopra esposto;

assume in sé il rischio di rendere recessiva la condizione dell’interesse a ricorrere, delineata nei caratteri tipici della concretezza, personalità e attualità, rispetto alla legittimazione, atteso che il concetto di vicinitas proviene da quest’ultima prospettiva (quella della legittimazione), rispetto alla quale è autosufficiente (dal momento che il relativo interesse legittimo è di norma connesso a un diritto autoindividuato), laddove il collegamento stabile con il luogo non rende invece evidente sempre (ma solo nella maggioranza dei casi) il ricorrere di un interesse concreto e personale;

in particolare, la circostanza che ogni edificazione “illegittima” sia potenzialmente idonea a incidere sull’equilibrio urbanistico e sull’ordinato sviluppo del territorio evidenzia aspetti di possibile contiguità rispetto alle prerogative proprie di una giurisdizione di diritto oggettivo, tesa ad assicurare il legittimo dispiegarsi del rapporto di diritto pubblico nell’interesse generale, laddove la prospettiva soggettiva richiede la prova dello specifico pregiudizio derivante dall’iniziativa edilizia nella sfera del ricorrente;

né le “possibili esternalità negative” scaturenti da un intervento edilizio (di cui alla richiamata pronuncia rappresentano un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere, che deriva solo dall’allegazione della specifica esternalità capace di pregiudicare il ricorrente.

In relazione all’orientamento in base al quale la vicinitas non è sufficiente a radicare l’interesse a ricorrere, dovendo sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, si osserva che esso consente di riconoscere la diversità di presupposti e di ratio delle due condizioni dell’azione, ancorando la legittimazione allo stabile collegamento e l’interesse all’utilità concreta cui aspira il ricorrente, nel rispetto dei connotati di concretezza e personalità che caratterizzano l’interesse a ricorrere.

​​​​​​​Inoltre, tale orientamento si fonda sulle condizioni dell’azione nel c.p.a. e prescinde dall’art. 10, l. n. 765 del 1967, che è stato abrogato senza riproduzione nel d.P.R. n. 380 del 2001, sicché sembra avere un più solido fondamento normativo rispetto all’altra tesi.

Nondimeno detto orientamento:

rende l’interesse a ricorrere, che sconterebbe una declinazione ogni volta diversa a seconda del caso concreto, maggiormente aleatorio, così riverberandosi negativamente anche sulla certezza dei presupposti di accesso alla tutela;

potrebbe inutilmente aggravare l’accesso alla giustizia in tutti i casi in cui la vicinitas rende di per sé evidente la sussistenza dell’interesse a ricorrere.

Con riferimento alla seconda declinazione del secondo orientamento (solo alcuni casi richiedono l’allegazione di un pregiudizio specifico, che si aggiunga al requisito della vicinitas) si rileva che:

pare cogliere con maggiore precisione le varie casistiche di accesso alla tutela giurisdizionale nel settore di riferimento distinguendo la maggior parte delle cause, nelle quali la vicinitas è indice di un interesse concreto, dalle rimanenti domande di tutela, rispetto alle quali l’anelata utilità non pare ancorata in modo evidente allo stabile collegamento con il luogo dell’iniziativa edilizia; 

lascia l’accertamento di una condizione dell’azione (rilevabile d’ufficio) alla dinamica fra le parti che caratterizza le presunzioni semplici.

Il CGARS ha ritenuto di aderire seppur con una precisazione di chiusura, al primo orientamento, in quanto si pone in linea di continuità con la condizione dell’azione costituita dall’interesse a ricorrere, così come si è evoluta nell’ambito del processo amministrativo, oltre a costituire, per i motivi già detti, un viatico sicuro per l’accesso alla tutela giurisdizionale.

CGARS, ord. del 27 luglio 2021, n. 759

 

 

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