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Non può ipotizzarsi la ripetizione di indebito trattamento economico al pubblico dipendente, nel caso di imputabilità dell’errore interpretativo posto a base della erogazione in via esclusiva alla Amministrazione procedente. Ferma restando, dunque, l’eventuale responsabilità erariale dell’autore dell’errore, viola il principio di proporzionalità previsto dall’art. 1 del Protocollo alla Convenzione la richiesta restitutoria sopraggiunta a considerevole distanza di tempo dalla erogazione delle somme, purché le stesse siano riconducibili all’attività professionale ordinaria del dipendente e non ad una prestazione effettuata una tantum e “isolata”, non vi sia stato un mero errore di calcolo ovvero l’esplicita indicazione della riserva di ripetizione.

La disciplina dei pagamenti stipendiali effettuati mediante sistemi automatizzati, che attribuisce natura provvisoria alle liquidazioni prevedendone il possibile “ricalcolo” “entro il termine di un anno dalle relative lavorazioni” (art. 9, l. n. 428 del 1985, in combinato disposto con l’art. 5, comma 4, d.P.R. n. 429 del 1986), costituisce il ricercato punto di equilibrio fra le esigenze di certezza del lavoratore sulla propria consistenza stipendiale e il potere/dovere dell’Amministrazione di presidiare la gestione del procedimento da parte del sistema informatico; ne consegue che i versamenti, seppure limitatamente al richiamato termine di un anno, in tale caso sono sottoposti ope legis alla clausola di riserva di ripetizione, che anche in base ai principi da ultimo affermati dalla Corte EDU rende irrilevante lo stato soggettivo del percipiente.

La Sezione ha preliminarmente ricordato che il principio, consolidato sia nella giurisprudenza di legittimità in materia di impiego pubblico privatizzato, che in quella amministrativa sui rapporti di lavoro di impiego pubblico non contrattualizzato, in forza del quale la domanda di ripetizione dell’indebito proposta da una amministrazione nei confronti di un proprio dipendente in relazione alle somme corrisposte sine titulo è atto dovuto, valido in termini generali, deve essere mitigato in relazione alle peculiarità della singola fattispecie. In genere, infatti, la buona fede dell’accipiens non rileva, in quanto l’art. 2033 c.c., applicabile alla fattispecie, riguarda soltanto, sotto il profilo soggettivo, la restituzione dei frutti e degli interessi, l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede neppure specifica motivazione (sulla “autoevidenza” delle ragioni che impongono l’esercizio dell’autotutela, a protezione di interessi sensibili dell’Amministrazione, v. anche Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 8), l’Amministrazione non ha alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate configura danno erariale, con il solo temperamento costituito dalla regola per cui le modalità dello stesso non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle esigenze di vita del debitore. Ciò tuttavia, seppure condivisibile in linea astratta, non è suscettibile di applicazione in via automatica, generalizzata e indifferenziata a qualsiasi caso concreto di indebita erogazione, da parte della pubblica amministrazione, di somme ai propri dipendenti, dovendo assumere rilievo le connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, avuto riguardo alla natura degli importi richiesti in restituzione, alle cause dell’errore nell’erogazione, al lasso di tempo trascorso tra la stessa e l’ emanazione del provvedimento di recupero, all’entità delle somme corrisposte, riferita alle singole mensilità e nel totale determinato dalla relativa sommatoria. In materia pensionistica, peraltro, il regime derogatorio dell’art. 2033 c.c. è espressamente previsto dal legislatore (d.P.R. n. 1092 del 1973, in particolare artt. 162, comma 7, e 206, comma 1), ed è su di esso che si basa l’orientamento di favore verso il percipiente consolidato nella giurisprudenza contabile.

Ha quindi aggiunto la Sezione che la Cedu, con sentenza 11 febbraio 2021, n. 4893/2013, Casarin contro Italia, ha cristallizzato le circostanze in presenza delle quali la buona fede del percipiente assume necessariamente rilievo, circoscrivendone la portata agli emolumenti aventi carattere retributivo non occasionale, e dunque corrisposti da una pubblica amministrazione in modo costante e duraturo, senza riserve esplicite. In tali casi, essendosi ingenerato il legittimo affidamento nel dipendente sulla spettanza delle somme, la loro ripetizione (benché dovuta ai sensi delle diposizioni nazionali, essendo stato indebitamente corrisposto) comporterebbe la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione. In caso invece di voce stipendiale a carattere sporadico, quale, ad esempio, la remunerazione del lavoro straordinario, connotato ontologicamente da estemporaneità, si potrebbe “eventualmente giustificare, tenuto conto della sua natura ​​occasionale e isolata, un errore da parte delle autorità per quanto riguarda l’importo da riconoscere agli interessati”.

​​​​​​​Le disposizioni normative sui pagamenti automatizzati, interpretate nel senso della oggettiva provvisorietà, sì da consentire l’esercizio dello ius poenitendi da parte dell’Amministrazione a prescindere dalla situazione soggettiva del percettore, sono compatibili con l’art. 1 del Protocollo alla Convenzione, per la lettura datane con riferimento alla materia de qua dalla Corte EDU. Ridette disposizioni si risolvono infatti nella apposizione di una generalizzata riserva di ripetizione, come tale legittimante sempre la sua concreta effettuazione, purché nei limiti temporali prestabiliti. Proprio la previsione di tali limiti temporali costituisce il ricercato punto di equilibrio fra le esigenze di certezza delle proprie risorse da parte del dipendente pubblico e quelle di presidio del procedimento meccanizzato, connotato da maggiore celerità operativa, da parte dell’Amministrazione. Il legislatore, cioè, facendosi carico delle conseguenze giuridiche dell’affidamento della gestione delle erogazioni stipendiali a sistemi automatizzati, in qualche modo anticipando i futuri e particolarmente attuali dibattiti sull’intelligenza artificiale e le conseguenze in termini di responsabilità di eventuali distorsioni applicative ascrivibili alla macchina, ha cautelativamente disciplinato le conseguenze delle correzioni dei relativi esiti, onerando l’operatore, tuttavia, di effettuare i controlli entro un termine ragionevole fissato in un anno.

Consiglio di Stato, Sez. II, sent. dell’1 luglio 2021, n. 5014

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