11/06/2021 – Analogie e similitudini tra trasparenza amministrativa e bilancio come beni pubblici: profili di diritto positivo e future prospettive

 Abstract: La disciplina della trasparenza amministrativa ha conosciuto negli ultimi anni alcune significative modifiche, a seguito, in particolare, del d.lgs. n. 97/2016; a fronte della rilevata, diretta derivazione dai principi costituzionali, nello studio si mettono in evidenza alcune analogie e similitudini delle disposizioni del d.lgs. n. 33/2013 con il principio dell’equilibrio di bilancio: la marcata funzionalizzazione della trasparenza al controllo diffuso non soltanto al perseguimento delle funzioni istituzionali, ma altresì all’utilizzo delle risorse pubbliche (art. 1, c. 1, d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016), costituisce certamente l’evidenza più significativa della accennata intersecazione. Il secondo elemento è quello dell’accountability, rilevante, quanto al primo, in termini di valutazione, obiettiva ed informata, sullo svolgimento del mandato elettorale, e, quanto alla trasparenza, in relazione alla rendicontazione sull’ottimale utilizzo delle risorse pubbliche. Il contributo, date queste premesse, una volta operata la definizione di bene pubblico attraverso il necessario conforto delle pronunce della Corte costituzionale, e proprio allo scopo di portare in evidenza i punti di contatto tra la trasparenza e l’equilibrio di bilancio, ricostruisce le tappe che hanno portato, da un lato, alla definizione del bilancio come bene pubblico, e, dall’altro, della disamina della disciplina positiva della trasparenza in termini a questo omogenei. In questo contesto, come bene pubblico orientato alle finalità di tutela delle risorse pubbliche e alla loro necessaria funzionalità ai valori costituzionali e della rendicontazione sociale, non viene trascurata la portata delle innovazioni contenute nella disciplina dell’armonizzazione recata dalle recenti riforme, che ha contribuito a declinare in concreto la trasparenza sul versante finanziario-contabile, palesando l’intento del legislatore di rendere maggiormente comprensibile agli stakeholders l’attività degli enti territoriali.

Sommario: 1. Premessa introduttiva. – 2. Il bilancio come bene pubblico. – 3. L’individuazione dei beni pubblici. – 4. La trasparenza come bene pubblico. – 4.1. Una esplicita conferma giurisprudenziale in tema di trasparenza. – 5. Gli specifici punti di contatto tra bilancio e trasparenza come beni pubblici. – 5.1. Il primo tratto: la finalità di tutela delle risorse pubbliche. – 5.2. Il secondo tratto: la loro necessaria funzionalità ai valori costituzionali e alla rendicontazione sociale. – 6. La declinazione del principio della trasparenza nei rapporti con l’attività contabile. – 6.1. La declinazione della trasparenza nell’armonizzazione contabile. – 6.2. Il conflitto tra intendimenti ed esiti pratici dell’armonizzazione. – 6.3. Gli altri istituti della trasparenza “armonizzata”. – 6.4. Controllo diffuso sui dati contabili, trasparenza digitale e banche dati. – 6.5. Trasparenza e sanità: l’art. 20 del d.lgs. n. 118/2011. – 7. La disciplina in tema di trasparenza e l’attività della Corte dei conti. – 7.1. Normativa in tema di accesso e pubblicazione nell’attivitÀ delle sezioni regionali di controllo. – 8. Conclusioni finali. Le prospettive evolutive.

  1. Premessa introduttiva

Come noto, il crescente rilievo della veridicità e trasparenza contabile, funzionale alla tutela dei valori degli equilibri finanziari e dei correlati andamenti gestionali, ha trovato, un suo momento di sintesi nel concetto di “legalità finanziaria”, i cui contorni sono ora rintracciabili nella vigente normativa e presidiati nel sistema dei controlli finanziari degli enti locali e della regione. Infatti, nella ricostruzione operata dalla recente giurisprudenza della Corte costituzionale, il bilancio assolve una fondamentale funzione di “accountability”, perché “necessariamente servente al controllo retrospettivo dell’utilizzo dei fondi pubblici” (Corte cost. n. 49/2018), quale “onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività e a sottoporsi al giudizio finale, afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato” (Corte cost. n. 184/2016).

Le stesse esigenze di trasparenza e verificabilità (1) stanno, verosimilmente, alla base della introduzione di una nuova forma – definita come tale dallo stesso legislatore – di controllo, funzionale, in una logica di accountability, all’uso ottimale delle risorse messe a disposizione dalla collettività amministrata (2): è il caso, in particolare, della normativa sulla trasparenza (d.lgs. n. 33/2013 e d.lgs. n. 97/2016 (3)), attuativa della legge 190/2012, in cui la previsione normativa di una verifica – rectius, espressamente, di un controllo (4) – diffusa dell’uso delle risorse pubbliche, è consacrata nell’esigenza di pubblicazione sul sito web di provvedimenti amministrativi (5), oltre che di forme di accesso ai documenti amministrativi.

 La declinazione del principio di trasparenza nei termini indicati dal d.lgs. n. 33/2013 e dal d.lgs. n. 97/2016 presenta singolari – ma non casuali – punti di contatto con quello dell’equilibrio di bilancio. Come è noto, per ciò che concerne il bilancio, il principio di trasparenza è definito come “elemento indefettibile per avvicinare in senso democratico i cittadini all’attività dell’amministrazione” e il suo rispetto nelle scritture contabili degli enti pubblici – specie con riferimento ai documenti funzionali a comporre la contabilità di mandato – assolve due importanti funzioni: la prima legata all’accountability, perché “consente di valutare in modo obiettivo e informato lo svolgimento del mandato elettorale”; la seconda connessa alla responsabilità degli amministratori, “essendo necessariamente servente al controllo retrospettivo dell’utilizzo dei fondi pubblici” (Corte cost. n. 49/2018, considerato 3.4).

Ciò non solo perché il principio di “trasparente, corretta, univoca, sintetica e inequivocabile indicazione del risultato di amministrazione e delle relative componenti di legge” (Corte cost. n. 274/2017) è funzionale alla tutela dell’indefettibile principio di continuità tra le risultanze dei bilanci che si succedono nel tempo dal momento che “collega gli esercizi sopravvenienti nel tempo in modo ordinato e concatenato” (Corte cost. n. 49/2018) (6), ma anche per ulteriori elementi, ricavabili dalla elaborazione giurisprudenziale, che concernono il corretto uso delle risorse pubbliche.

  1. Il bilancio come bene pubblico.

 La possibilità di individuare ulteriori punti di contatto tra il bilancio come bene giuridico “pubblico” costituzionalmente tutelato (artt. 81 e 97 Cost.), di cui occorre preservare effettività e funzionalità tramite il suo equilibrio (Corte cost. nn. 184/2016, 228/2017 e 247/2017) e la trasparenza amministrativa – quindi tra la nuova disciplina dell’armonizzazione contabile da un lato e il d.lgs. n. 33/2013 dall’altro –, sembra emergere per motivi squisitamente attinenti alla dimensione sovraindividuale del bene sottostante tutelato.

 È nota, infatti, l’affermazione del bilancio come bene pubblico che la Consulta ha fatto di recente (Corte cost. nn. 184/2016, 228/2017 e 247/2017, citt.), che implica “in prospettiva dinamica la continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche” (7) e che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente pubblico, sia in ordine all’acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, ma anche a garantire e tutelare i “diritti sociali”: l’assunto reca con sé alcuni corollari di primaria importanza per l’indagine che qui si sta conducendo.

Esso reca come conseguenza, in primo luogo, che l’equilibrio dei bilanci è “prodromico al buon andamento e all’imparzialità dell’azione amministrativa”, in relazione agli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., strettamente integrato nel contesto di fondamentali principi del diritto del bilancio che, pur presidiando interessi di rilievo costituzionale tra loro distinti, risultano coincidenti sotto l’aspetto della garanzia della sana ed equilibrata gestione finanziaria (8): consentendo quindi l’efficacia delle politiche pubbliche, anche con riguardo a specifiche finalità di legge (Corte cost. n. 70/2012) e permettendo la realizzazione del principio costituzionale “di solidarietà sociale per il pieno sviluppo della persona umana attraverso la rimozione degli ostacoli alla libertà e all’uguaglianza di ordine economico” (Corte cost. n. 18/2019).

La sua finalità è quindi, in secondo luogo, quella di un’autentica uguaglianza sostanziale: che significa realizzare le condizioni affinché la Repubblica possa rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, c. 2, Cost.: cfr. Corte cost. nn. 10/2016 e 70/2015).

Tale uguaglianza, deve realizzarsi anche in chiave trans-generazionale, poiché l’equilibrio “economico, finanziario e patrimoniale” deve essere realizzato “nel tempo” e costituisce un dovere di “solidarietà politica, economica e sociale” delle generazioni presenti con quelle future (art. 2 Cost.; Corte cost. n. 18/2019, cit.). 3.

  1. L’individuazione dei beni pubblici.

 La descritta qualificazione del bilancio come bene pubblico richiede un’ulteriore precisazione. Deve essere registrata in tempi recenti infatti la tendenza, da parte della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, a individuare nuovi beni pubblici, il cui tratto distintivo sembra quello di essere astretti alla finalità dell’esercizio di diritti fondamentali dei cittadini, ovverosia “quei beni che esprimono utilità funzionali all’esercizio di diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona, che devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico anche a beneficio delle generazioni future” (9).

In parte, è possibile ricavare questo concetto da una serie di locuzioni e precetti contenuti nella Carta fondamentale, ove si fa riferimento all’“interesse della collettività” (art. 32), all’“interesse generale” (artt. 35, 42, 43, 118), alla “utilità sociale” e “fini sociali” (art. 41), alla “funzione sociale” (artt. 41, 45), alla “utilità generale” (art. 43), al “pubblico interesse” (art. 82) (10).

 Orbene, se si esamina la disciplina della trasparenza così come configurata dalla novella normativa del 2016, si nota che l’accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni avente lo scopo di promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e di favorire forme diffuse di controllo, concerne ambiti – analoghi a quelli descritti in precedenza – dell’intervento della pubblica amministrazione, quali quello del “perseguimento delle funzioni istituzionali” e quello “dell’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 1, c. 1).

Il d.lgs. n. 33/2013 non si limita peraltro a questa integrazione e chiarisce espressamente come il principio abbia una portata ben più ampia: con un’importante innovazione rispetto alle previsioni del d.lgs. n. 150/2009, infatti, esso afferma che la trasparenza concorre “ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche” ed è “condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali”, la configura come integrante “il diritto ad una buona amministrazione” e la individua come principio caratterizzante un nuovo modello più evoluto di amministrazione, “aperta” e “al servizio del cittadino” (art. 1, c. 2).

Infine, il d.lgs. n. 33/2013 ribadisce quanto già disposto dal d.lgs. n. 150/2009, e poi più ampiamente dalla legge delega, in ordine al livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione: esse sono da considerarsi centrali per l’organizzazione e la gestione del sistema informativo pubblico, in quanto costituiscono “esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale” (art. 1, c. 3).

Da queste brevi notazioni si può osservare la stretta somiglianza dei valori tutelati, che attengono a profili fondamentali della convivenza sociale, espressione di principi costituzionali posti in necessaria connessione tra loro.

La giurisprudenza della Corte costituzionale ha posto infatti in evidenza lo stretto collegamento tra l’equilibrio di bilancio e la tutela dei diritti sociali in modo efficace e duraturo, assicurando l’indispensabile criterio dell’equità intergenerazionale (Corte cost. n. 49/2018).

La ricerca di un, peraltro, non semplice contemperamento tra esigenze di bilancio e tutela dei diritti sociali sanciti dalla Costituzione trova quindi il suo punto di approdo nella prescrizione contenuta nell’articolo 97 della Costituzione, in cui buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione non possono essere disgiunti da fondamentali canoni di carattere economico-finanziario e di equilibrio e sostenibilità del bilancio.

La strumentalità del valore dell’equilibrio (così come quello di legalità, annualità, pubblicità, integrità, universalità e unità) dei bilanci pubblici agli altri valori presidiati dalla Carta costituzionale viene, altresì, in rilievo non solo in relazione al fatto che esso è indissolubilmente legato all’affermazione e all’espansione dei diritti sociali, quale strumento idoneo ad affermare i principi di libertà e di eguaglianza posti dal costituente a fondamento della Repubblica, ma anche in relazione alla circostanza che “ogni amministratore, a conclusione del mandato, è sottoposto al giudizio del corpo elettorale che valuta le scelte politiche, tradotte in concrete azioni di governo” (11).

 In tal modo quindi, attraverso le decisioni di bilancio, viene garantito il rispetto della sana gestione con la necessaria solidarietà intergenerazionale. Da queste previsioni emerge molto nitidamente – in modo del tutto parallelo – l’assimilazione del principio di trasparenza con quello di equilibrio e lo stretto collegamento del valore di essa in chiave strumentale ad altri valori presidiati dalla Carta costituzionale: la trasparenza, secondo il chiaro dettato normativo, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione.

  1. La trasparenza come bene pubblico.

 Alla luce delle coordinate più sopra enunciate, anche la trasparenza amministrativa appare quindi un bene pubblico: il passaggio, infatti, degli istituti della trasparenza da una dimensione individualistica a una dimensione in chiave economica e partecipativa dell’attività amministrativa, trova una prima conferma nel fatto “essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali”; la norma la configura come integrante “il diritto ad una buona amministrazione” e la individua come principio caratterizzante un nuovo modello più evoluto di amministrazione, “aperta” e “al servizio del cittadino” (art. 1, c. 2).

 Il principio in esame viene ad essere declinato in concreto sotto il profilo applicativo, assicurando al quivis de populo la coercizione dell’obbligo di diffusione di tali informazioni, che il decreto legislativo individua analiticamente come livelli essenziali delle prestazioni (12).

 Ciò consente di far emergere lo stretto collegamento, anche in questo caso, con il precetto del buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione contemplato dall’art. 97 della Costituzione, che viene declinato nel concreto dal rispetto di fondamentali adempimenti di trasparenza e pubblicità dei dati sul sito web dell’ente, dichiaratamente funzionali (art. 1, c. 15, l. n. 190/2012) al corretto uso delle risorse pubbliche (e quindi indirettamente all’equilibrio e sostenibilità del bilancio).

In secondo luogo, l’ascrivibilità della trasparenza a bene pubblico emerge dal raffronto con la primigenia qualificazione datane dall’art. 22 della l. n. 241/1990, dove l’accesso serviva, come noto, a curare – all’interno del procedimento (v. anche art. 10 della medesima l. n. 241) – o a difendere – in giudizio – i propri interessi giuridici.

Già con la riscrittura degli obblighi di pubblicazione, contenuti nel d.lgs. n. 33/2013, la trasparenza aveva assunto la diversa funzione di strumento di verifica da parte del quivis de populo del corretto uso delle risorse pubbliche.

 Ora, infine, il nuovo decreto sulla trasparenza amplia ulteriormente il concetto di accesso civico e legittima la richiesta di ostensione del documento (ma anche del dato) a prescindere – come sottolineava già l’art. 7 della l. n. 124/2015 – “dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti […] al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche dalle pubbliche amministrazioni”: trascendendo quindi dalla semplice dimensione individuale della ostensibilità e ponendo tale meccanismo a presidio di valori sovra-individuali.

4.1. Una esplicita conferma giurisprudenziale in tema di trasparenza.

 Quanto sopra esposto sembra trovare una esplicita conferma in una recente sentenza del Consiglio di Stato (13), nella quale sono gettate le fondamenta per il definitivo inquadramento della trasparenza come “bene pubblico”.

Il caso, molto sinteticamente, riguardava due richieste di accesso civico generalizzato avanzate dalla Confederazione nazionale Coldiretti al Ministero della salute, volte a conoscere, nella sostanza, le specifiche quantità di importazioni di latte e prodotti lattiero caseari da Paesi Ue ed extra Ue da parte di operatori economici italiani.

 Il ministero aveva invitato la richiedente a “circostanziare l’istanza, individuando specificamente i dati e/o i documenti di interesse”, il Rpct a sua volta aveva rigettato la richiesta di riesame avanzata da Coldiretti e nello stesso senso si era pronunciato il Tar Lazio (con sent. n. 2994/2018), il quale aveva ritenuto che la domanda di accesso non fosse meritevole di accoglimento, posto che il consumatore fosse in grado di conoscere la provenienza del latte lavorato o il tipo di latte usato attraverso l’art. 2 del d.m. 9 dicembre 2016, che espressamente si riferisce alla “indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del regolamento (Ue) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori” e secondo il quale l’etichetta deve fornire l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui all’allegato.

 In una delle prime considerazioni, i giudici di Palazzo Spada hanno sottolineato che l’accesso civico generalizzato, di cui si tratta nella sentenza, costituisce “un innovativo istituto di recente introduzione, di non facile coordinamento con i preesistenti istituti sulla trasparenza amministrativa e di non semplice inserimento nel nostro ordinamento giuridico”, procedendo quindi a ricostruire l’istituto con la menzione dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, come novellato dal d.lgs. n. 97/2016 ed evidenziando come questo sia diritto di “chiunque” richiedere dati, informazioni e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, non solo quando l’amministrazione non ottemperi all’obbligo di legge di pubblicarli (c. 1), bensì anche (c. 2) “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali”, nel rispetto della procedura di tutela degli eventuali controinteressati disciplinata dai commi seguenti e nei soli limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’art. 5-bis del medesimo d.lgs. n. 33/2013.

Inevitabile, quindi, anche il confronto tra questo istituto e quello dell’accesso c.d. documentale di cui all’art. 22 della l. n. 241/1990, significativamente diverso anche quanto alla legittimazione attiva, spettante questa al solo portatore di un interesse di base differenziato e meritevole di tutela, secondo la titolarità e nei limiti dell’utilità di una posizione giuridicamente rilevante.

Ma pur nella loro ontologica differenza, il Consiglio di Stato evidenzia comunque come sia l’accesso documentale ex art. 22 l. n. 241/1990, sia l’accesso civico ex art. 5 d.lgs. n. 33/2013 “hanno lo scopo di assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorire la partecipazione dei privati, ed entrambi gli istituti scontano talune limitazioni risultanti dalla ponderazione con altri interessi costituzionalmente rilevanti”.

Ritornando, quindi, sulle considerazioni svolte nell’incipit della parte in diritto, il Consiglio di Stato ha sottolineato nuovamente che l’introduzione del nuovo istituto di matrice anglosassone è stata accompagnata da talune perplessità ed incertezze applicative, riferite sia ai problemi di coordinamento derivanti dal mantenimento dei precedenti istituti di trasparenza amministrativa, sia alla radicale ridefinizione del rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione ed alle possibili difficoltà organizzative derivanti per quest’ultima dalla possibilità generalizzata e diffusa di presentare richieste di accesso alle informazioni o agli atti pubblici senza dover fornire alcuna motivazione.

 Ma, muovendo da qui, il collegio ha osservato che il nuovo accesso civico risponde pienamente ai principi del nostro ordinamento nazionale sopra citati della trasparenza, dell’imparzialità dell’azione amministrativa e della partecipazione diffusa dei cittadini alla gestione della “cosa pubblica” ai sensi degli artt. 1 e 2, nonché, ovviamente, dell’art. 97 della Costituzione, secondo il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost.

 Quest’ultima norma in particolare, pare costituire il caposaldo del ragionamento: il suo primo comma prevede infatti che “Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”, sancendo – rammenta il collegio – il principio di sussidiarietà c.d. “verticale”, volto ad avvicinare le competenze dei pubblici uffici ai cittadini e alle imprese e alle loro associazioni e, quindi, ai bisogni del territorio, secondo il modello di “Stato delle autonomie” già delineato dall’art. 5 Cost.

La stessa norma, tuttavia, ai successivi commi quarto ed ultimo, introduce, “ed è la vera novità” secondo la sentenza in argomento, anche il principio di sussidiarietà in senso c.d. “orizzontale”, sancendo che “Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà”: quest’ultimo, quindi, teso per definizione a favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati”, ovvero a favorire la partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali (imprenditoriali ed associative) nelle quali si svolge la loro personalità, ai sensi dell’art. 2 Cost., alla cura e al buon andamento della “cosa pubblica” mediante “lo svolgimento di attività d’interesse generale”, riconosce certamente, in primis, il valore del volontariato.

 Ma il passaggio ulteriore dell’evoluzione sociale e normativa è presto spiegata, dato che – secondo la pronuncia – al tradizionale modello solidaristico va progressivamente affiancandosi un nuovo modello di “cittadinanza attiva”, caratterizzato, in forza degli artt. 1, 2 e soprattutto 118 della Costituzione, dalla spontanea cooperazione dei cittadini con le istituzioni pubbliche mediante la partecipazione alle decisioni e alle azioni che riguardano la cura dei beni comuni, anziché dei pur rispettabili interessi privati, e che quindi, sottolinea il Consiglio di Stato, “cospirano alla realizzazione dell’interesse generale della società assumendo a propria volta una valenza pubblicistica, nella consapevolezza che la partecipazione attiva dei cittadini alla vita collettiva può concorrere a migliorare la capacità delle istituzioni di dare risposte più efficaci ai bisogni delle persone e alla soddisfazione dei diritti sociali che la Costituzione riconosce e garantisce”.

A questo punto, il collegio ricompone il mosaico anzidetto, sottolineando e riconoscendo che il nuovo accesso civico, che certamente si inquadra nel secondo modello della “cittadinanza attiva”, si pone in diretta attuazione proprio delle previsioni costituzionali risultanti dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, quale istituto strumentale volto ad assicurare le condizioni – ovvero la conoscibilità generalizzata degli atti e delle informazioni in possesso dell’amministrazione – necessarie “al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (art. 5, c. 2, cit., sull’accesso civico) e quindi volte a favorire la “autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale” (art. 118 Cost., cit., che introduce il principio di sussidiarietà).

La conclusione alla quale giunge il Consiglio di Stato, pertanto, è nel senso di dare evidenza di come il nuovo accesso civico, che attiene, secondo le considerazioni svolte dal collegio, alla cura dei beni comuni a fini d’interesse generale, si affianca senza sovrapposizioni alle forme di pubblicazione on line del 2013 ed all’accesso agli atti amministrativi del 1990, consentendo, del tutto coerentemente con la ratio che lo ha ispirato e che lo differenzia dall’accesso qualificato previsto dalla l. n. 241/1990, l’accesso alla generalità degli atti e delle informazioni, senza onere di motivazione, a tutti i cittadini singoli e associati, «in guisa da far assurgere la trasparenza a condizione indispensabile per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella cura della “cosa pubblica”, oltreché mezzo per contrastare ogni ipotesi di corruzione e per garantire l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione».

  1. Gli specifici punti di contatto tra bilancio e trasparenza come beni pubblici.

 La conclusione cui si è pervenuti non può comunque prescindere (ed anzi richiede necessariamente) la analitica disamina degli specifici punti di contatto tra i due beni pubblici.

    1. Il primo tratto: la finalità di tutela delle risorse pubbliche.

 Il principio della sana gestione, per comprendere il cui “significato […] si può fare riferimento alla […] verifica eseguita per stabilire se, in che misura ed a quale prezzo, gli obiettivi di gestione siano stati raggiunti” (14), è strettamente connesso con il principio costituzionale del buon andamento, implicando un collegamento tra quest’ultimo ed i principi costituzionali del coordinamento della finanza pubblica, posti a garanzia degli equilibri economico e finanziari del Paese.

Il perseguimento del buon andamento e della sana gestione finanziaria sono quindi obiettivi imprescindibili dell’agire amministrativo che ritroviamo sia nel bilancio, il cui equilibrio deve essere inteso come bene pubblico da preservare, sia nella trasparenza declinata dal d.lgs. n. 33/2013: di qui la necessità di considerare la sana gestione finanziaria come divieto di sperpero di denaro pubblico.

Non è un caso quindi che il principio della “sana gestione finanziaria” sia un principio di derivazione comunitaria (cfr. art. 274 Tce, nonché Regolamento finanziario approvato dal Consiglio in data 25 giugno, pubblicato nella G.U.C.E. L. 248 del 16 settembre 2002, n. 1605), che per la sua matrice assume nel nostro ordinamento il valore di clausola con una valenza privilegiata, correlato a quello della “buona amministrazione” (cfr. art. 41 Carta di Nizza), che di esso costituisce un corollario necessario e naturalmente collegato al principio di “buon andamento dell’azione amministrativa” (art. 97 Cost.).

Appare quindi evidente che la sana gestione finanziaria va intesa non solo come osservanza e rispetto delle norme giuridiche (regolarità contabile, veridicità e affidabilità del bilancio e delle scritture contabili, ecc.), ma anche, e soprattutto, come osservanza di criteri generali di buona amministrazione desumibili dalle discipline economiche, finanziarie ed aziendalistiche.

 Buon andamento, dunque, legato non solo al merito degli atti, ma altresì alla congruità dell’attività amministrativa rispetto agli obiettivi perseguiti, ossia alla congruità della spesa pubblica. Il d.lgs. n. 33/2013, recante “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, a seguito delle modifiche ad esso apportate dal d.lgs. n. 97/2016, nel ribadire che la trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, ha evidenziato che essa è finalizzata alla realizzazione di una amministrazione aperta e al servizio del cittadino.

Una siffatta forma di trasparenza introduce una specifica e significativa disposizione di principio – già espressamente presente nell’art. 11 del d.lgs. n. 150/2009 – volta alla verifica diffusa del buon utilizzo delle risorse pubbliche e assume quindi il preciso scopo di assicurare una effettiva accountability, esplicitando a livello normativo primario, un obbligo – in ossequio alle prescrizioni del riscritto art. 81 della Cost. – già immanente nel nostro ordinamento costituzionale per tutte le amministrazioni.

 Per converso, per ciò che concerne il bilancio, il principio di trasparenza è definito come “elemento indefettibile per avvicinare in senso democratico i cittadini all’attività dell’amministrazione” (Corte cost. n. 49/2018).

 In questo ambito, riprendendo e mettendo maggiormente a fuoco i concetti già espressi nel capitolo introduttivo, il rispetto della trasparenza nelle scritture contabili degli enti pubblici – specie con riferimento ai documenti funzionali a comporre la contabilità di mandato – assolve due importanti funzioni: la prima legata, come detto, all’accountability, perché “consente di valutare in modo obiettivo e informato lo svolgimento del mandato elettorale” (Corte cost. n. 49/2018, considerato 3.2); più specificamente “le disposizioni interposte che fissano gli obblighi di rendicontazione costituiscono all’un tempo norme afferenti al coordinamento della finanza pubblica, all’armonizzazione dei bilanci e ai precetti in termini di copertura della spesa e di equilibrio dei bilanci” (Corte cost. n. 49/2018, considerato 3.3).

La seconda è, come anticipato, connessa alla responsabilità degli amministratori, “essendo necessariamente servente al controllo retrospettivo dell’utilizzo dei fondi pubblici” (ancora sent. cit., considerato 3.4).

 La Corte costituzionale ha precisato al riguardo che l’arco temporale stabilito dal legislatore non è arbitrario, ma è il frutto del bilanciamento fra “le esigenze di tempestiva accountability nei confronti degli elettori e degli altri portatori di interessi e quelle inerenti alla rideterminazione o costruzione degli equilibri dei bilanci di previsione dei due esercizi successivi” (sent. cit., considerato 3.2).

    1. Il secondo tratto: la loro necessaria funzionalità ai valori costituzionali e alla rendicontazione sociale.

Va notato quindi che ambedue le normative di riforma traggono espressamente ispirazione dalla modifica introdotta all’art. 97 della Costituzione dalla nuova legge costituzionale n. 1/2012.

 Nella nuova chiave di lettura dell’articolo, il buon andamento è garantito solo attraverso un corretto utilizzo delle risorse pubbliche in funzione dei fondamentali principi costituzionali della sostenibilità dell’indebitamento e dell’equilibrio del bilancio.

      1. Il valore strumentale del bilancio ai principi costituzionali.

 È agevole notare, in particolare, il riferimento al comma specifico introdotto nell’attuale formulazione dell’art. 97, c. 1, in base al quale “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”: accanto ai principi cardine dell’azione amministrativa, quale quelli di legalità imparzialità e buon andamento, la riferibilità al corretto uso delle risorse pubbliche assume rilievo l’espresso riferimento ai valori dell’“equilibrio dei bilanci” e di “sostenibilità del debito pubblico”; in tal modo è l’intera pubblica amministrazione nel suo complesso e non solo l’amministrazione centrale, comprese le autonomie locali territoriali, a dover perseguire i nuovi principi costituzionali.

Come si è visto, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito come la tutela dei diritti sociali debba essere garantita solo mediante un collegamento con un bilancio in equilibrio, che trova fondamento nel precetto contenuto nell’art. 97 della Costituzione: l’effettiva salvaguardia dei diritti sociali non può quindi prescindere da un’adeguata contabilizzazione delle spese che si prevede di sostenere o che si sono già sostenute per l’erogazione dei livelli essenziali o dei livelli aggiuntivi delle prestazioni.

In altre parole, l’osservanza delle norme di contabilità pubblica fornisce i criteri per il conseguimento dell’equilibrio di bilancio di cui alla l. cost. n. 1/2012, da un lato, e alla necessaria (perché propedeutica) armonizzazione dei sistemi contabili di cui al d.lgs. n. 118/2011, dall’altro, ed assume altresì un ruolo centrale nella tutela sostanziale dei diritti sociali, perché è proprio attraverso il loro rispetto che è possibile individuare con certezza le risorse da destinare al finanziamento delle prestazioni.

In questo modo, solo una chiara e trasparente registrazione, consente agli enti il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni o dei servizi pubblici fondamentali; il rapporto tra l’esigenza di assicurare la tenuta generale dei conti pubblici e la garanzia di tutela dei diritti sociali (che nella giurisprudenza costituzionale impedisce tuttavia che si verifichi un completo annullamento della salvaguardia di questi ultimi (15)), rappresenta quindi il momento di bilanciamento tra buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e consente altresì di tutelare gli altri valori presidiati dalla Carta costituzionale: in particolare l’equità intergenerazionale, dal momento che evita una crescita indiscriminata e insostenibile dell’indebitamento e della spesa, destinati a gravare sulle generazioni e sulle amministrazioni future, ma anche (quale presidio della concorrenza e del buon funzionamento dell’economia – art. 41 Cost.) l’interesse dei fornitori a che le obbligazioni assunte siano pagate regolarmente a fronte di una regolare copertura della spesa e della sua sostenibilità finanziaria, preservando gli stessi dal rischio di ritardi o, nei casi estremi, del pagamento degli stessi in “moneta fallimentare”, in grado di pregiudicare le loro stesse attività economiche.

Ulteriormente, la ricaduta del principio di veridicità e trasparenza dei documenti contabili assume rilievo sul piano della responsabilità dei decisori politici, ribadendo la necessità che “nelle leggi di approvazione del rendiconto delle Regioni, gli elementi basilari inerenti alla dimostrazione della situazione economico-finanziaria siano espressi con chiarezza e coerenza anche in rapporto alla fondamentale interdipendenza con il principio di legittimazione democratica, indefettibile raccordo tra la gestione delle risorse della collettività e il mandato elettorale degli amministratori” (Corte cost. n. 49/2018).

Il precetto di equilibrio, riguardato sotto il profilo della “salvaguardia di bilancio”, costituisce quindi uno strumento di verifica e misurazione della responsabilità dei soggetti investiti di cariche pubbliche: la violazione dell’equilibrio, infatti, attiva un sistema di responsabilità giuridiche e politiche, attraverso cui il principio della legittimazione democratica delle istituzioni si integra e perfeziona. In particolare, “l’incuria del[lo] squilibrio strutturale [dei bilanci] interromp[e] – in virtù di una presunzione assoluta – il legame fiduciario che caratterizza il mandato elettorale e la rappresentanza democratica degli eletti” (Corte cost. n. 228/2017), da cui scaturiscono meccanismi di c.d. dissesto “guidato” (art. 6, c. 2, d.lgs. n. 149/2011) e di verifica delle responsabilità anche per l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 248, cc. 5 e 5-bis Tuel (sanzioni pecuniarie ed incandidabilità).

      1. Il valore strumentale della trasparenza amministrativa ai principi costituzionali.

 Le considerazioni testé svolte appaiono predicabili altresì a riguardo degli istituti contemplati dalla illustrata normativa in tema di trasparenza amministrativa: anche in questo caso infatti è agevole rinvenire il valore strumentale di essa agli altri valori contemplati dalla Carta costituzionale, dal momento che la trasparenza concorre “ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione”: una trasparenza che viene quindi improntata al rispetto di adempimenti di pubblicità dei dati sul sito web dell’ente, dichiaratamente funzionali (art. 1, c. 15, l. n. 190/2012) al corretto uso delle risorse pubbliche (e quindi indirettamente all’equilibrio e sostenibilità del bilancio), facendo emergere anche in questo caso, pertanto, la connessione tra buon andamento, bilancio e imparzialità della pubblica amministrazione.

 Plasticamente la disposizione in esame precisa che la trasparenza amministrativa “è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali”, e la configura come integrante “il diritto ad una buona amministrazione”.

La centralità della public review, operando altresì una sistematizzazione dei principali obblighi di pubblicazione vigenti, fa sì quindi che il destinatario di tali notizie diviene il cittadino con la presenza di un costante collegamento tra istanza e fase procedimentale, accessibile via web (16). In secondo luogo, la derivazione sovraindividuale del principio di trasparenza dei documenti amministrativi fonda una specifica responsabilità sul piano politico, funzionale anche in questo caso alla rendicontazione sociale: non a caso, la norma individua la trasparenza amministrativa come principio caratterizzante un nuovo modello più evoluto di amministrazione, “aperta” e “al servizio del cittadino” (art. 1, c. 2) , che contempla anche specifici strumenti di tutela in capo al cittadino di verifica del buon uso delle risorse pubbliche, in un disegno in cui, come si vedrà, non è solo l’emanazione del provvedimento ad assolvere da sola alla funzione di una valutazione degli interessi in gioco, ma anche la effettiva conoscibilità dello stesso – mediante i nuovi strumenti informatici – da parte della platea dei soggetti amministrati, del quivis de populo, diviene un momento cruciale di un processo di incrocio tra internal audit ed external audit, decisamente orientato in chiave di buon utilizzo delle risorse a disposizione dell’ente (17).

      1. Accountability e sua ascrivibilità ai meccanismi di controllo. differenze funzionali e strutturali.

 La questione inerente al tratto comune riguardante la verifica del buon uso delle risorse fonda diversi meccanismi di controllo in capo al cittadino, le cui caratteristiche necessitano di un indispensabile riscontro sul piano sistematico: si tratta quindi di indagarne i profili strutturali e funzionali per consentirne una più accurata disamina e, ovviamente, le intersecazioni tra i differenti profili e istituti.

Come rimarcava autorevole dottrina, “lo stesso termine controllo […] assume una valenza multiforme, che comprende, assieme ai tradizionali controlli amministrativi, diverse altre forme.

Esiste infatti un controllo politico, un controllo burocratico, ma anche, in senso più ampio, un controllo democratico, che attiene più strettamente al rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione” (18).

Categoria, quest’ultima a cui è ascrivibile ora il c.d. controllo diffuso previsto dal d.lgs. n. 33/2013, di cui si è fatto cenno, e che richiede un apposito momento di riflessione, anticipato dalle note che precedono, ma che non esclude importanti profili di contatto con quanto già evidenziato a proposito delle verifiche della Corte dei conti, anche in rapporto alle descritte esigenze dettate dalla evoluzione tecnologica su cui detto controllo fa perno.

È noto che il controllo rispondeva comunque, in modo generale, al modello tradizionale delineato da Ugo Forti, secondo cui esso rappresenta un “giudizio circa la rispondenza di determinate attività a determinate norme e principi” (19), ovverosia rispetto a quella attività che per Forti “può idealmente dividersi in tre momenti: 1° conoscenza della attività controllata; 2° giudizio intorno ad essa; 3° provvedimenti che ne conseguono.

Ciascuna delle tre fasi è essenziale, ciascuna di esse è implicita nell’idea di controllo” (20). La stessa nozione era stata sostanzialmente ripresa nell’idea più recente di controllo inteso quale “verificazione di regolarità di una funzione, che presuppone un parametro e alla quale consegue una misura” (21), a cui è coessenziale la funzione accessoria (22) del controllo rispetto alla funzione stessa.

In termini generali, a proposito dei beni pubblici “bilancio” e “trasparenza”, si può affermare che il legislatore individua al riguardo due distinte tipologie di controllo, che fanno capo tuttavia a meccanismi, verifiche e soprattutto esiti di segno non coincidente.

Orbene, la configurazione del bilancio come bene pubblico autonomo (Corte cost. n. 184/2016) fa sì che rispetto a tale bene si dispieghino interessi, certamente costituzionalmente rilevanti, di natura finanziaria e adespota, non interferendo direttamente con situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo e di interesse legittimo: i membri della collettività di riferimento, entrano in una relazione (soltanto) “mediata” col bilancio, ove sono custoditi interessi costituzionalmente rilevanti, sia adespoti (e quindi di difficile giustiziabilità), sia inerenti alle specifiche situazioni soggettive la cui tutela è affidata, ratione materiae, alla giurisdizione a istanza di parte della magistratura contabile (artt. 11, c. 6, lett. a) ed e), e 172 ss. d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, recante “Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124”) (23).

Nella riforma introdotta dal d.lgs. n. 174/2012 il controllo viene affidato alla Corte dei conti, alla quale è attribuito il vaglio sull’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche a tutela dell’unità economica della Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (artt. 11 e 117, c. 1, Cost.) (24): equilibrio e vincoli che trovano generale presidio nel sindacato della Corte dei conti quale magistratura neutrale ed indipendente, garante imparziale dell’equilibrio di bilancio del settore pubblico (25) reso da un organo esterno, neutrale, ausiliario, al servizio dello Stato-comunità (come già in precedenza affermato dalle sent. nn. 29/1995, 470/1997 e 64/2005), superando la dimensione statale della finanza pubblica di cui all’art. 100 Cost.

 Tutt’affatto diverso è il meccanismo istituito dal d.lgs. n. 33/2013, ove il controllo è di tipo “diffuso”.

Ciò è dimostrato dalla avvenuta valorizzazione sul piano funzionale da parte della l. n. 190/2012 e dal d.lgs. n. 33/2013 (ora modificato dal d.lgs. n. 97/2016) degli adempimenti inerenti alla pubblicazione (26): come si è osservato in precedenza, questi atti sono l’esplicitazione di un necessario meccanismo di pubblicità per un controllo non già di carattere giuridico, bensì dichiaratamente di carattere sociale (27).

Appare evidente, quindi, che è del tutto improprio, in questi casi, parlare di controllo, pur se così espressamente qualificato dal legislatore o almeno nel senso tradizionale del termine.

Certamente, si è lontani dall’idea del controllo come paradigma descritto in precedenza in ossequio all’idea espressa da Ugo Forti costituente un “giudizio circa la rispondenza di determinate attività a determinate norme e principi” (28); esse non devono far dimenticare, infatti, le accennate differenze sul piano strutturale, talvolta decisamente marcate.

Si tratta delle ipotesi in cui cioè, rispetto al modello fortiano, vi è l’assenza di una autorità controllante e la traduzione dei risultati del giudizio in una manifestazione di volontà (29).

      1. Il momento di collegamento tra controllo del bilancio e controllo sociale: l’art. 31 del d.lgs. n. 33/2013.

 La lettura sostanziale proposta in precedenza trova una sua esplicita conferma nella previsione contenuta nell’art. 31 del d.lgs. n. 33/2013, rubricato “Obblighi di pubblicazione concernenti i dati relativi ai controlli sull’organizzazione e sull’attività dell’amministrazione”, che assume la veste di autentico paradigma del controllo diffuso, in quanto volto alla verifica del buon uso delle risorse pubbliche nell’intersecazione tra controlli interni e controlli esterni.

 La norma infatti prevede che “Le pubbliche amministrazioni pubblicano […] tutti i rilievi ancorché non recepiti della Corte dei conti, riguardanti l’organizzazione e l’attività delle amministrazioni stesse e dei loro uffici”.

Il profilo sinergico tra le varie ipotesi di controllo sin qui delineato trova quindi un suo momento importante di emersione nella fattispecie delineata dall’art. 31 del d.lgs. n. 33/2013, il cui c. 1 prevede l’interazione tra i meccanismi del controllo c.d. diffuso e quelli della Corte dei conti sui bilanci e rendiconti degli enti locali.

Diviene, qui, chiaro lo scopo della previsione normativa volta a garantire la massima diffusione, con i normali mezzi tecnologici, delle informazioni in questione, in un’ottica di tutela delle risorse pubbliche cui è dichiaratamente volta la normativa in esame (art. 1 del d.lgs. n. 33/2013).

 Come detto, la ratio è la verifica sociale del concreto rispetto di principi di buon andamento e imparzialità, a corroborare l’incisività di tale previsione, volta a consentire un sindacato diffuso da parte della cittadinanza in ordine al buon utilizzo delle risorse pubbliche, in evidente funzione di verifica, quasi dialettica, tra quello che viene ad essere pubblicato ed il potenziale sindacato del cittadino: ed è proprio in tale ambito che la norma diviene diretto precipitato dell’art. 97 della Costituzione, così come riscritto dalla l. cost. n. 1/2012 (30).

6. La declinazione del principio della trasparenza nei rapporti con l’attività contabile.

 6.1. La declinazione della trasparenza nell’armonizzazione contabile.

 La verifica, mediante gli ordinari strumenti che la tecnologia consente, circa la resocontazione dell’utilizzo delle risorse, salda quindi il momento contabile con quello che spetta in chiave democratica alla generalità dei cittadini e ne consente inoltre la piena conoscenza grazie agli istituti sin qui illustrati.

Come si ricava da queste considerazioni, è agevole osservare tuttavia, come ha fatto accorta dottrina, che «paradossalmente, le potenzialità della attuazione della trasparenza, in senso sostanziale sono rimaste “anchilosate” più che altro nel recinto dell’accesso alla documentazione amministrativa.

Quasi che la casa debba essere di vetro solo per quel che riguarda l’attività formale dell’autorità amministrativa mentre ciò non sarebbe né importante, né concepibile quando l’attenzione del cittadino e del portatore di interessi si estende oltre il formale rispetto delle regole del procedimento amministrativo.

Viene sostanzialmente trascurata l’esigenza di curare i profili divulgativi delle problematiche finanziarie, delle relazioni finanziarie con l’Unione europea, di quelle tra Stato e autonomie territoriali, del finanziamento delle prestazioni sociali, delle modalità con cui Istat ed Eurostat rilevano i valori economico-finanziari riconducibili al prodotto interno lordo.

Eppure […] il concetto di trasparenza viene più volte evocato dal legislatore europeo anche con riguardo alla disciplina del bilancio e dei conti pubblici» (31). Ecco allora che l’attuazione della normativa sulla armonizzazione contabile introducendo, con l’adeguamento dei sistemi informativo-contabili, alcuni puntuali obblighi di pubblicazione dei documenti di programmazione e di rendicontazione degli enti locali, ha confermato le anzidette indicazioni, corroborando l’idea che la più ampia trasparenza degli andamenti finanziari di ciascuna amministrazione sia funzionale ad agevolare la loro conoscibilità, non solo da parte degli operatori, ma anche da parte dei cittadini-utenti-contribuenti, chiamati ad esercitare il c.d. controllo diffuso, per affiancare e rafforzare quello esercitato dagli organi di controllo interno ed esterno.

 Ciò richiede una specifica analisi dell’impianto normativo, al fine di comprendere l’esatta portata applicativa del principio di trasparenza, declinato dalle regole contabili.

Va sottolineato preliminarmente che il valore della trasparenza trova il suo momento di emersione già nella normativa europea. Attraverso il rispetto dei principi contenuti nella direttiva europea 2011/85/Ue dell’8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri, attuata dall’Italia con il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 54 (Attuazione della direttiva 2011/85/Ue relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), denomina “regole di bilancio numeriche”, vi è la possibilità di evitare vertenze lunghe e complesse in grado di minare sia l’equilibrio macroeconomico della finanza pubblica allargata, sia quello del singolo ente territoriale che vi partecipa (32): la necessità di trasparenza dei rispettivi bilanci, ove la dimensione finanziaria del contendere deve essere rappresentata in modo intelligibile – che la Corte costituzionale mette in risalto valevole più in generale per il regime delle relazioni finanziarie tra gli enti del settore pubblico allargato –, appare quindi funzionale a far sì che “nel settore della finanza pubblica allargata le partite creditorie e debitorie afferenti alle relazioni tra enti pubblici […] debbano essere rappresentate nei rispettivi bilanci in modo preciso, simmetrico, speculare e tempestivo” (33).

Nel titolo II, intitolato “misure per la trasparenza e la controllabilità della spesa”, un elemento cruciale per garantire l’uso di previsioni realistiche per la conduzione delle politiche di bilancio è la trasparenza, che dovrebbe comportare la disponibilità pubblica non soltanto delle previsioni macroeconomiche e di bilancio ufficiali preparate per la pianificazione di bilancio, ma anche delle metodologie, delle ipotesi e dei parametri pertinenti sui quali tali previsioni si basano.

Il recepimento di questi principi nella l. n. 196/2009 è astretto quindi all’attuazione di questo canone fondamentale. Ad esempio, viene espresso il principio della chiarezza o comprensibilità, il quale rafforza il contenuto del principio della veridicità, in quanto si presume che un documento contabile chiaro sia anche veritiero.

Il sistema dei bilanci deve essere comprensibile e deve presentare una semplice e chiara classificazione delle voci finanziarie, economiche e patrimoniali, di talché il contenuto valutativo ivi rappresentato deve risultare trasparente.

 L’adozione di una corretta classificazione dei documenti contabili costituisce una condizione necessaria per garantire il corretto monitoraggio ed il consolidamento dei conti pubblici da parte delle istituzioni preposte al controllo della finanza pubblica.

Le informazioni contenute nel sistema dei bilanci devono essere prontamente comprensibili dagli utilizzatori, e devono essere esposte in maniera sintetica ed analitica, in modo che, con la normale diligenza, essi siano in grado di esaminare i dati contabili, riscontrandovi una adeguata rappresentazione dell’attività svolta e dei sistemi contabili adottati.

 Pertanto, la classificazione di bilancio delle singole operazioni gestionali deve essere effettuata in modo da evitare l’adozione del criterio della prevalenza della forma, l’imputazione provvisoria di operazioni alle partite di giro, e l’assunzione di impegni sui fondi di riserva.

Ancora più significativamente, l’esplicito riferimento al principio della trasparenza, il quale rafforza il contenuto del principio della chiarezza, qualifica il miglioramento della trasparenza dei conti pubblici quale traguardo fondamentale, e individua nella classificazione per finalità per missioni e programmi uno dei principali strumenti al fine di rafforzare il legame tra risorse stanziate ed obiettivi perseguiti dall’azione pubblica (34).

 I sistemi e gli schemi di bilancio devono essere coerenti e raccordabili con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari ai fini della procedura per disavanzi eccessivi. Di conseguenza, la redazione dei documenti contabili deve assicurare un più trasparente e tempestivo raccordo tra la finalità della spesa e le politiche pubbliche, rappresentate dalle missioni e dai programmi.

6.1.1. Gli intenti legislativi… Come noto, per ciò che concerne più specificamente la disciplina dell’armonizzazione contabile per gli enti territoriali, la delega operata dalla l. n. 42/2009 individua principi e criteri direttivi che possono sintetizzarsi come segue (art. 2, c. 2):

– adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano di conti integrato, in modo da consentire la rilevazione unitaria dei fatti gestionali;

– adozione di comuni schemi di bilancio articolati in “missioni” e “programmi” allo scopo di assicurare maggiore trasparenza delle informazioni riguardanti il processo di allocazione delle risorse pubbliche e la destinazione delle stesse alle politiche pubbliche settoriali, al fine di consentire la confrontabilità dei dati di bilancio in coerenza con le classificazioni economico-funzionali individuate dai regolamenti comunitari;

– adozione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllati secondo uno schema comune: la lettura della documentazione contabile di ogni ente deve fornire una rappresentazione completa ed esaustiva di tutte le modalità di erogazione dei servizi nonché di quelle informazioni che non transitano per il bilancio dell’ente (35);

 – introduzione di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale solo “a fini conoscitivi” e come affiancamento al sistema di contabilità finanziaria: ciò dovrebbe garantire la rilevazione unitaria dei fatti gestionali sia sotto il profilo finanziario sia sotto il profilo economico-patrimoniale; – raccordabilità dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi: al riguardo la codifica Cofog assume una importanza rilevante in quanto consente di effettuare rilevazioni omogenee (36); – definizione di una tassonomia per la riclassificazione di dati contabili e di bilancio per le amministrazioni tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi;

– definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi di bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni ai diversi enti territoriali: la finalità è quella di illustrare gli obiettivi della gestione, misurarne i risultati e monitorarne l’effettivo andamento in termini di servizi forniti e di interventi realizzati;

– individuazione del termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi approvati e previsione delle relative sanzioni: a tale fine il d.lgs. n. 118/2011 ha istituito la Banca dati delle amministrazioni pubbliche (Bdap) ai sensi del d.m. economia e finanze 12 maggio 2016 (37). Il d.lgs. n. 118/2011, attuativo di detti criteri direttivi, mette in evidenza che i quattro principi contabili applicati “garantiscono il consolidamento e la trasparenza dei conti pubblici secondo le direttive dell’Unione europea e l’adozione di sistemi informativi omogenei e interoperabili”: il che sembra chiaramente evocare il fatto che la trasparenza e la tempestività e completezza delle informazioni rese disponibili agli stakeholder (art. 3) trova piena corrispondenza negli strumenti tecnici approntati dal d.lgs. n. 118/2011.

 In altri termini, la trasparenza dei bilanci, nel senso di illustrazione delle politiche programmate e di rendicontazione dei risultati ottenuti verso gli stakeholder, verrebbe soddisfatta ex se dall’utilizzo delle modalità operative definite per l’armonizzazione contabile e dal recepimento della direttiva europea con il decreto stesso, e il d.lgs. n. 118/2011 avrebbe come finalità non solo quella di essere “funzionale a garantire il raffronto tra i bilanci pubblici degli enti territoriali”, cosi come quella “di prevenire squilibri di bilancio in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost. e garantire il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica cui partecipano anche le autonomie speciali” (Corte cost. n. 39/2014), ma anche quella di assicurare la trasparenza dei conti delle pubbliche amministrazioni.

Come osservato in dottrina, la nuova legge “definisce un proprio ambito di applicazione più ampio del bilancio dello Stato, estendendolo all’intero perimetro istituzionale della p.a.” (38), ciò in quanto “[l]a leggibilità e la trasparenza dei conti dell’intero Paese richiede che la decisione di finanza pubblica non sia più limitata al solo comparto statale, ma sia estesa nelle varie fasi al complesso degli enti e degli organismi pubblici” (39): la rilevata più ampia dimensione soggettiva (40) è “coerente con l’evoluzione più recente della finanza pubblica italiana, in virtù da un lato degli impegni contratti dal Paese in sede europea, dall’altro della riforma in senso federale dell’ordinamento dello Stato” (41).

La giurisprudenza costituzionale ha pertanto sottolineato il valore dell’armonizzazione dei bilanci pubblici che è quindi “ontologicamente collegata alla necessità di leggere, secondo il medesimo linguaggio, le informazioni contenute nei bilanci pubblici” (42), ed è strumentale al perseguimento del fondamentale obiettivo di intellegibilità del bilancio, ovvero di conoscibilità delle scelte attuative delle politiche pubbliche: sotto il profilo considerato, assumono pertanto specifico rilievo i principi della chiarezza, delle significatività e della specificazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche (43).

Essa appare parimenti orientata a soddisfare l’imprescindibile necessità di avere a disposizione dati di bilancio omogenei, aggregabili e confrontabili, e che siano elaborati adottando le stesse metodologie e gli stessi criteri contabili: infatti, “senza l’uniformità dei linguaggi assicurata dall’armonizzazione dei conti pubblici a livello nazionale non sarebbe possibile alcun consolidamento della finanza pubblica allargata, il quale – essendo una sommatoria dei singoli bilanci delle amministrazioni pubbliche – non può che avvenire in un contesto espressivo assolutamente omogeneo” (44).

 6.1.2. …e la concreta attuazione del principio. Il principio contabile generale della pubblicità Il d.lgs. n. 126/2014, recante disposizioni integrative e correttive al d.lgs. n. 118/2011, concerne i principi contabili generali e applicati per le regioni, le province autonome e gli enti locali, e al Testo unico sugli enti locali: esso assolve quindi l’intendimento del Governo della “sistematica” conoscibilità dei dati, la quale dovrebbe altresì consentire di agevolare l’incremento della qualità delle politiche di programmazione e di gestione della spesa pubblica territoriale, al contempo contrastando ancora più efficacemente i fenomeni corruttivi e con ciò rafforzando la credibilità delle amministrazioni e di chi vi opera.

Gli interventi dei decreti n. 118/2011 e n. 126/2014, come noto, sono stati adottati nell’ambito dell’esercizio della legge delega n. 42/2009 sull’attuazione del federalismo fiscale, che all’art. 2, lett. i), fa tra l’altro espresso riferimento alla più ampia previsione dell’obbligo di pubblicazione in siti internet dei bilanci delle amministrazioni territoriali, tali da riportare in modo semplificato le entrate e le spese pro capite, secondo modelli uniformi concordati in sede di Conferenza unificata.

I predetti interventi normativi declinano il principio contabile generale della pubblicità di cui al n. 14 dell’all. 1) al d.lgs. n. 118/2011: il rispetto del principio di pubblicità presuppone un ruolo attivo dell’amministrazione pubblica nell’ambito della comunità amministrata, garantendo trasparenza e divulgazione alle scelte di programmazione contenute nei documenti previsionali ed ai risultati della gestione, fondamentale – conclude lo stesso punto n. 14 dell’allegato – per la fruibilità delle informazioni finanziarie, economiche e patrimoniali del sistema di bilancio.

Il principio attribuisce quindi al sistema di bilancio una funzione informativa nei confronti degli utilizzatori dei documenti contabili, e con ciò assegna all’amministrazione pubblica il compito di rendere effettiva tale funzione, assicurando ai cittadini e ai diversi organismi sociali e di partecipazione la conoscenza dei contenuti significativi e caratteristici del bilancio di previsione, del rendiconto e del bilancio di esercizio, anche integrando le pubblicazioni obbligatorie.

6.1.3. Gli altri istituti attuativi del principio della trasparenza. Sotto il profilo considerato, la disciplina posta dalla riforma, pertanto, “è finalizzata a realizzare l’omogeneità dei sistemi contabili per rendere i bilanci delle amministrazioni aggregabili e raffrontabili, in modo da soddisfare le esigenze informative connesse a vari obiettivi quali la programmazione economico-finanziaria, il coordinamento della finanza pubblica, la gestione del federalismo fiscale, le verifiche del rispetto delle regole comunitarie, la previsione di gravi irregolarità idonee e pregiudicare l’equilibrio dei bilanci” (45).

In questo senso, l’armonizzazione contabile va a declinare in concreto il principio della trasparenza mediante una serie di istituti, quali quello dell’esigibilità delle obbligazioni iscritte in bilancio (c.d. principio della competenza finanziaria potenziata), della tendenziale limitata formazione dei residui e del fondo pluriennale vincolato.

 Il fattore di novità è dato dal fatto che il principio contabile impone – a differenza del passato – di impegnare le spese nell’esercizio in cui le stesse vengono a scadenza, mentre le entrate nell’esercizio in cui devono essere riscosse: l’elemento che rileva non è quindi il momento della nascita dei crediti/debiti, bensì quello in cui devono essere riscossi/pagati (momento dell’esigibilità), seppur successivamente temperata in sede interpretativa da posizioni volte a esaltare la fase di effettiva prestazione e non il momento di mera esigibilità del debito.

 Ciò comporta altresì l’iscrizione in bilancio di stanziamenti effettivi e nella fase di avvio della riforma la re-iscrizione dei residui attivi e passivi.

L’attività di riaccertamento straordinario dei residui consente di stralciare i residui e di re-imputarli in competenza in termini di nuovi accertamenti e di nuovi impegni con la costituzione del fondo pluriennale vincolato.

 In altri termini, l’armonizzazione dei sistemi di bilancio impone di registrare le entrate e le spese nel momento in cui sorgono e di imputarli nell’esercizio in cui vengono a scadenza, contabilizzando i debiti e i crediti nel momento della loro assunzione: questo aspetto, che può essere certamente correlato a esigenze di trasparenza, può recare con sé una forte lacuna informativa in quanto, se la scadenza della spesa non si realizza entro il triennio cui il bilancio di previsione si riferisce, la spesa non viene contabilizzata ma evidenziata in un apposito elenco che deve essere riportato nella nota integrativa sia in sede di previsione che di rendicontazione.

 Soprattutto per la spesa corrente tale aspetto non deve essere sottovalutato ed anzi vi è il timore che tale effetto contabile venga utilizzato illecitamente dagli enti per occultare o rinviare al futuro oneri correnti di gestione.

In questi termini, il sistema di bilancio, anche se armonizzato, rischia di diventare uno strumento di programmazione debole e carente di importanti informazioni contabili; anzi rischia di trasformare il bilancio in un documento comprensibile solo per “esperti contabili” facendone venir meno la funzione di informazione, conoscibilità e trasparenza che l’attività amministrativa dovrebbe assolvere.

Non a caso, il c. 2 dell’art. 11 del d.lgs. n. 118/2011, modificato dal d.lgs. n. 126/2014, stabilisce che “le amministrazioni pubbliche redigono un rendiconto semplificato per il cittadino, da divulgare sul proprio sito internet, recante una esposizione sintetica dei dati di bilancio, con evidenziazione delle risorse finanziarie umane e strumentali utilizzate dall’ente nel perseguimento delle diverse finalità istituzionali, dei risultati conseguiti con riferimento al livello di copertura ed alla qualità dei servizi pubblici forniti ai cittadini”.

 In secondo luogo, proprio in riferimento alle descritte esigenze di trasparenza, il nuovo principio della competenza finanziaria potenziata introdotto dal d.lgs. n. 118/2011 privilegia la competenza finanziaria con un forte impulso ed avvicinamento al momento di cassa, comprimendo le fasi di competenza finanziaria e di cassa e riduce notevolmente il formarsi dei residui.

Il principio, infatti, dispone che le obbligazioni giuridicamente perfezionate, siano esse attive o passive, debbano essere registrate nelle scritture contabili imputandole all’esercizio in cui l’obbligazione viene a scadenza: per quanto riguarda l’entrata non è più possibile accertare somme che scadono in esercizi futuri, mentre per le spese non è più possibile impegnare nell’esercizio corrente somme che andranno a scadere nell’esercizio successivo.

Pertanto, la contabilità finanziaria non anticipa più la registrazione dei fatti gestionali ma li contabilizza in un momento più prossimo alla fase di cassa.

Nelle intenzioni del legislatore, la verifica degli equilibri di cui al d.lgs. n. 174/2012 si dovrebbe ridurre a una verifica dei fatti gestionali di competenza-cassa, mentre doveva assumere scarsa importanza l’analisi dei residui: il bilancio preventivo non consentirà più di garantire una netta separazione tra la gestione di competenza e la gestione dei residui, in quanto entrambe le gestioni si sommano in un unico bilancio che autorizza sia le nuove attività sia il completamento di quanto già programmato negli esercizi pregressi.

In terzo luogo, funzionale alle illustrate esigenze di trasparenza e tracciabilità, per regolare le diacronie tra entrata e uscita, ancorché circoscritto ad alcune poste, per lo più di parte capitale, è il fondo pluriennale vincolato: il quale deve essere iscritto sia tra le voci di entrata sia tra le voci di spesa, per evidenziare le opere pubbliche in corso di realizzazione, e la cui disciplina è assolutamente astretta dalla finalità di conservare la copertura delle spese pluriennali, consentendo in particolare il monitoraggio sugli stati di avanzamento di opere e lavori pubblici e sulla compatibilità con i vincoli di finanza pubblica (46).

In quarto luogo, si aggiungono a questi altri e più specifici istituti, come ad esempio il Fondo crediti di dubbia esigibilità, per la sua valenza segnaletica della capacità/incapacità dell’ente di tradurre in moneta i propri crediti certi, liquidi ed esigibili (47), oppure la individuazione della quota vincolata del risultato di amministrazione; ovvero, infine, il Piano dei conti integrato (48).

Inoltre, al di là del “consolidamento delle risultanze contabili all’interno del Gruppo pubblico locale, è la logica di ripartizione della spesa per missioni e programmi prima ancora della variazione terminologica che la esprime – ad assumere particolare rilievo, e proprio per la sua capacità di soddisfare entrambi gli scopi della riforma: l’aggregazione della spesa tra i diversi livelli di governo (la struttura del bilancio dello Stato già rispecchia la suddetta articolazione), e una maggiore trasparenza in relazione alla possibilità di visualizzare immediatamente l’entità delle risorse destinate a ogni obiettivo strategico (missioni) e operativo (programmi)” (49).

 6.1.4. Gli istituti attuativi della trasparenza contenuti nell’undicesimo correttivo.  Proprio in riferimento alle descritte esigenze di trasparenza, l’undicesimo decreto correttivo della riforma contabile ha introdotto i paragrafi 9.7.1, 9.7.2 e 9.7.3 dell’allegato 4/1 al d.lgs. n. 118/2011, rendendo obbligatori nuovi prospetti per la determinazione degli equilibri di bilancio che devono essere compilati e prodotti, ed individuando tre distinti equilibri, rilevanti per le finalità del c. 821 dell’art. 1 della l. n. 145/2018.

 Il contenuto dei nuovi prospetti che accompagnano il rendiconto (in particolare i metodi compilazione dei prospetti a/1, a/2 e a/3), evidenziano, in una logica di trasparenza, proprio la tracciabilità delle quote accantonate (all. a/1), delle quote vincolate nel risultato di amministrazione (all. a/2), delle quote destinate (all. a/3), esplicitando l’attività dell’ente al termine del riaccertamento ordinario per individuare le varie componenti del risultato di esercizio. Si tratta tuttavia di istituti che appaiono volti a garantire una migliore leggibilità in sede di controllo, ancorché non depurati dai tecnicismi che connotano, come abbiamo visto, la normativa sull’armonizzazione contabile: comprensione che quindi è riservata a pochi, in contraddizione con le finalità di un’autentica ed effettiva trasparenza, che è quella invece di fornire agli stakeholder, notoriamente inesperti, la possibilità di comprendere le modalità di contabilizzazione e utilizzo delle risorse, e non già quella di garantire il corretto calcolo degli equilibri di bilancio.

6.2. Il conflitto tra intendimenti ed esiti pratici dell’armonizzazione.

 6.2.1. L’elevata tecnicità dei moduli standardizzati dell’armonizzazione contabile.

 In relazione a quanto appena messo in risalto, le risultanze pratiche dell’armonizzazione sembrerebbero confliggere con le finalità di incremento della qualità della disclosure e del grado di veridicità e trasparenza dei bilanci pubblici: ed anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale, “Le sofisticate tecniche di standardizzazione, indispensabili per i controlli della finanza pubblica contribuirebbero a ridurre significativamente la trasparenza dei bilanci degli enti in quanto caratterizzate dalla difficile accessibilità informativa per il cittadino di media diligenza” (50).

Proprio per questo, “esse devono essere pertanto integrate da esposizioni incisive e divulgative circa il rapporto tra il mandato elettorale e la gestione delle risorse destinate alle pubbliche finalità”. Ciò in quanto le sofisticate soluzioni contabili, “i moduli standardizzati dell’armonizzazione dei bilanci, i quali devono innanzitutto servire a rendere omogenee, ai fini del consolidamento dei conti e della loro reciproca confrontabilità, le contabilità dell’universo delle pubbliche amministrazioni, così articolato e variegato in relazione alle missioni perseguite, non sono idonei, di per sé, ad illustrare le peculiarità dei programmi, delle loro procedure attuative, dell’organizzazione con cui vengono perseguiti, della rendicontazione di quanto realizzato” (51).

L’interazione di questi profili di elevata tecnicità con l’esigenza di garantire gli equilibri di bilancio, nel quadro delle stringenti regole europee, avrebbe generato secondo alcuni autori (52), per via delle difficoltà tecnico-operative, indubbi svantaggi in termini di trasparenza, di consolidamento dei conti pubblici e di coordinamento della finanza pubblica (53).

6.2.2. Pubblicità e rendiconto semplificato.

  Va notato che in quest’ottica, come già anticipato in precedenza, il decreto n. 126/2014 – nell’ambito della totale riscrittura del decreto n. 118/2011, che disciplina l’adozione di schemi di bilancio comuni – impone, in particolare alle pubbliche amministrazioni, l’obbligo di redigere un rendiconto semplificato per il cittadino, da divulgare sul proprio sito internet, recante una esposizione sintetica dei dati di bilancio, con evidenziazione delle risorse finanziarie umane e strumentali utilizzate dall’ente nel perseguimento delle diverse finalità istituzionali, dei risultati conseguiti con riferimento al livello di copertura ed alla qualità dei servizi pubblici forniti ai cittadini.

Come è noto, infatti, “il carattere funzionale del bilancio preventivo e di quello successivo […] presuppone quali caratteri inscindibili la chiarezza, la significatività, la specificazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche”: le informazioni esposte nei bilanci “devono essere pertanto integrate da esposizioni incisive e divulgative circa il rapporto tra il mandato elettorale e la gestione delle risorse destinate alle pubbliche finalità” (Corte cost. n. 184/2016).

 Il nuovo adempimento richiesto dalla disciplina anzidetta cerca di colmare una evidente lacuna, dal momento che si tratta di un documento che intende fornire alle collettività amministrate una lettura facile ed immediata dell’azione degli amministratori, correlando risorse impiegate e relative finalizzazioni e risultati.

 6.3. Gli altri istituti della trasparenza “armonizzata”

 Proprio per tentare di superare il cennato deficit di trasparenza, il legislatore – specialmente del 2014, di riforma dell’originario impianto del d.lgs. n. 118/2011 – ha apprestato ulteriori istituti che valorizzano la direzione della conoscenza da parte degli stakeholder di alcuni elementi fondamentali attinenti alla salute finanziaria dell’ente.

 6.3.1. Trasparenza e “Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio”

 Le innovazioni volute dal legislatore del 2014 sembrano invero riprendere alcuni profili di rilievo messi in risalto dalla giurisprudenza costituzionale al riguardo: invero, se uno degli scopi principali della normativa anzidetta appare quello di soddisfare l’imprescindibile necessità di avere a disposizione dati di bilancio omogenei, aggregabili e confrontabili, e che siano elaborati adottando le stesse metodologie e gli stessi criteri contabili – dal momento che “senza l’uniformità dei linguaggi assicurata dall’armonizzazione dei conti pubblici a livello nazionale non sarebbe possibile alcun consolidamento della finanza pubblica allargata, il quale – essendo una sommatoria dei singoli bilanci delle amministrazioni pubbliche – non può che avvenire in un contesto espressivo assolutamente omogeneo” (Corte cost. n. 80/2017, considerato in diritto 3.4) – diviene di facile comprensione la previsione dell’art. 18-bis (“Indicatori di bilancio”), introdotto dal decreto n. 126/2014, il quale aggiunge l’obbligo di divulgazione del “Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio”, anche attraverso la pubblicazione sul sito internet istituzionale dell’amministrazione stessa, nella sezione “Trasparenza, valutazione e merito”, accessibile dalla pagina principale (home page).

 In altri termini, se l’armonizzazione è “funzionale a garantire il raffronto tra i bilanci pubblici degli enti territoriali” (Corte cost. n. 39/2014), specie per prevenire squilibri di bilancio in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost. e garantire il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica (Corte cost. n. 39/2014), l’indicazione e pubblicazione di un sistema di indicatori misurabili e riferiti ai programmi e agli altri aggregati del bilancio, che devono essere costruiti da ciascun ente locale secondo criteri e metodologie comuni, appare astretto alle finalità anzidette.

Anzi, evidenzia la relazione illustrativa al decreto n. 126/2014, il Piano è parte integrante dei documenti di programmazione e di bilancio di ciascuna amministrazione ed è diretto a consentire la comparazione dei bilanci.

6.3.2. Trasparenza e pubblicazione del bilancio, delle variazioni e del Peg.

 La necessaria rendicontazione sociale cui assolve il bilancio – nella lettura fornita dalla giurisprudenza costituzionale più sopra riportata – è, in terzo luogo, alla base della modifica intervenuta all’art. 174 del Tuel: il decreto n. 126/2014 dispone, infatti, la pubblicazione sul sito internet dell’ente locale del bilancio di previsione, del piano esecutivo di gestione, delle variazioni al bilancio di previsione, del bilancio di previsione assestato e del piano esecutivo di gestione assestato.

Il successivo art. 227 del Tuel, al c. 6-bis, prevede la pubblicazione nel sito internet dell’ente, nella sezione dedicata ai bilanci, della versione integrale del rendiconto della gestione e dell’eventuale rendiconto consolidato ed una versione semplificata per il cittadino di entrambi i documenti.

Gli anzidetti obblighi di pubblicità delineano quindi un quadro in cui è possibile ravvisare l’anzidetta intersecazione tra le misure di pubblicità del decreto n. 126/2014 con quelle stabilite dal d.lgs. n. 33/2013.

Quest’ultimo ha infatti contemplato, all’art. 29, la diffusione sui siti istituzionali dei dati relativi al bilancio di previsione e a quello consuntivo di ciascun anno in forma sintetica, aggregata e semplificata, anche con il ricorso a rappresentazioni grafiche, ciò con l’espressa finalità di assicurarne la piena accessibilità e comprensibilità.

 Il c. 1 dell’art. 8 della l. n. 66/2014 ha ridefinito gli obblighi del predetto art. 29 estendendo il vincolo di diffusione anche ai documenti ed allegati del bilancio preventivo e del conto consuntivo entro trenta giorni dalla loro adozione.

Il c. 1-bis ha prescritto che i dati relativi alle entrate e alla spesa di cui ai bilanci preventivi e consuntivi debbano essere pubblicati in formato tabellare aperto, anche mediante ricorso ad un portale unico, in modo che sia possibile l’esportazione, il trattamento e il riutilizzo.

Si tratta di una specificazione di quanto previsto, in via generale, dall’art. 7 del d.lgs. n. 33/2013, che stabilisce che i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria debbano essere diffusi in formato di tipo aperto ai sensi dell’art. 68 del codice dell’amministrazione digitale e riutilizzabili ai sensi del d.lgs. n. 36/2006 (“Attuazione della direttiva 2003/98/Ce relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico”), del codice dell’amministrazione digitale e del codice in materia di protezione dei dati personali, senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità.

Il citato art. 29 del d.lgs. n. 33/2013, dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 97/2016, si compone di tre commi e prevede che le pubbliche amministrazioni (tra cui anche i comuni) pubblichino il bilancio di previsione e consuntivo, completo di allegati, entro trenta giorni dalla sua adozione.

Riguardo alle tempistiche di pubblicazione del bilancio e rendiconto – 30 giorni dall’approvazione del bilancio o del conto consuntivo – a completamento informativo, è utile notare che gli obblighi dell’art. 29 non risultano sanzionati dall’art. 47 del decreto trasparenza (sanzioni pecuniarie da 500 a 10.000 euro) per cui, in caso di inadempienza, i cittadini potranno richiedere la pubblicazione dei dati mancanti o incompleti al responsabile della trasparenza (di norma, il segretario comunale), attraverso l’istituto dell’accesso civico semplice, come disciplinato dall’art. 5, c. 1, del d.lgs. n. 33/2013.

Va ad ogni modo sottolineato che l’art. 46 del d.lgs. n. 33/2013 prevede comunque che “L’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 5-bis, costituiscono elemento di valutazione negativa della responsabilità dirigenziale a cui applicare la sanzione di cui all’articolo 47, comma 1-bis, ed eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione, valutata ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili”.

D’altro canto, il rinvio alla sanzione di cui all’art. 47, c. 1-bis, del d.lgs. n. 33/2013 (il quale a sua volta rinvia all’art. 47, c. 1) dovrebbe essere letto nel senso dell’applicabilità della decurtazione dal 30 al 60% dell’indennità di risultato.

 La disposizione prevede altresì che “Il responsabile non risponde dell’inadempimento degli obblighi di cui al comma 1 se prova che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile”.

 6.3.3. Trasparenza e certificazioni dei dati principali del bilancio di previsione e del rendiconto di gestione.

 L’art. 43 della l. n. 89/2014 ha previsto, infine, una più articolata ed estesa pubblicità delle certificazioni dei dati principali del bilancio di previsione e del rendiconto di gestione mediante la loro pubblicazione sul sito internet della Direzione centrale del Dipartimento per gli affari interni e territoriali e la disponibilità per l’inserimento nella banca dati unitaria delle amministrazioni pubbliche, istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze, di cui all’art. 13 della l. n. 196/2009.

La norma previgente limitava la loro diffusione alle regioni, alle associazioni rappresentative degli enti locali, alla Corte dei conti ed all’Istituto nazionale di statistica. Tale diffusione di dati a livello centrale affianca peraltro la richiamata estensione degli obblighi di pubblicità dei dati contabili a carico di ciascun ente locale. 6.3.4.

La pubblicità dei tempi di pagamento.

 La necessaria funzionalità al principio di buon andamento è alla base della applicazione del principio di trasparenza, stavolta in tema di pagamenti, sulla quale come noto la giurisprudenza della Corte costituzionale è più volte intervenuta mettendone in evidenza la centralità.

Da ultimo, infatti, con la sentenza n. 78/2020 essa ha posto in risalto che «La disciplina dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie dei soggetti pubblici ha infatti una notevole incidenza sul sistema economico, in considerazione del ruolo di acquirenti di beni, servizi e prestazioni rivestito dalle amministrazioni pubbliche e dell’ingente quantità di risorse a tal fine impiegate.

 L’importanza del fenomeno è stata recepita dalla direttiva 2011/7/Ue, sia rimarcando la necessità di “un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi» (considerando n. 12), sia evidenziando che i «ritardi di pagamento influiscono negativamente sulla liquidità e complicano la gestione finanziaria delle imprese”». In questa direzione di rafforzamento del regime di trasparenza della contabilità pubblica, l’art. 33 del decreto n. 33/2013 dispone l’obbligo di pubblicazione, con cadenza annuale, di un indicatore dei tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture, denominato “indicatore di tempestività dei pagamenti”.

Questa disposizione era stata ampliata dal decreto n. 126/2014 con la prescrizione a diffondere, a decorrere dall’anno 2015, un indicatore con il medesimo oggetto, con cadenza periodica trimestrale. Anche in questo caso, la norma ha rinviato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l’adozione dello schema tipo e delle modalità con cui elaborare e pubblicare tali indicatori (annuali e trimestrali).

Sul medesimo crinale, inerente alla verifica della tempestività di smaltimento delle uscite, l’art. 41, c. 1, del d.l. n. 66/2014, convertito dalla l. n. 89/2014, ha introdotto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di allegare alle relazioni ai bilanci consuntivi o di esercizio un prospetto che attesti l’importo dei pagamenti relativi a transazioni commerciali effettuate dopo la scadenza dei termini previsti dal d.lgs. n. 231/2002.

 Quest’ultimo decreto è stato ampiamente modificato dal d.lgs. n. 192/2012, che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva 2011/7/Ue.

 L’importanza della diffusione di tali dati e dell’adempimento da ultimo ricordato è posta in evidenza dalla giurisprudenza costituzionale, la quale sottolinea come i ritardi «“compromettono anche la loro competitività e redditività quando il creditore deve ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di ritardi nei pagamenti.

 Il rischio di tali effetti negativi aumenta considerevolmente nei periodi di recessione economica, quando l’accesso al finanziamento diventa più difficile” (considerando n. 3). [rif. sent. n. 287/2019].

 D’altronde i tardivi pagamenti rischiano di pregiudicare anche “il corretto funzionamento del mercato interno”, nonché “la competitività delle imprese e in particolare delle Pmi”, valori che la direttiva, all’art. 1, eleva a suoi principali obiettivi.

Il legislatore italiano, conformandosi a tale direttiva e in risposta all’ingente ammontare maturato dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni, nell’ultimo decennio ha dato avvio a specifiche misure per incidere su tale patologica situazione» (54). Va sottolineato che, a decorrere dall’anno 2015, le pubbliche amministrazioni devono elaborare anche un indicatore trimestrale dei propri tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture, denominato “Indicatore trimestrale di tempestività dei pagamenti”.

 L’Indicatore di tempestività dei pagamenti è calcolato, per ciascuna fattura emessa, come la somma dei giorni effettivi intercorrenti tra la data di scadenza della fattura (o richiesta equivalente di pagamento) e la data di pagamento ai fornitori moltiplicata per l’importo dovuto, rapportata alla somma degli importi pagati nel periodo di riferimento.

Come si è visto, la riforma contabile si prefigge lo scopo di garantire la trasparenza, e non solo il consolidamento, il coordinamento e la tutela, dei conti pubblici, sia pure mediante modalità che non sono sembrate sempre funzionali agli scopi anzidetti: in proposito può osservarsi che, «per alcune tipologie di stakeholder (organi di controllo interno ed esterno) armonizzazione e trasparenza sembrano effettivamente correlate, quanto meno rispetto ad alcuni ambiti della riforma.

Altri ambiti appaiono invece “neutrali”, nei confronti della stragrande maggioranza dei portatori di interesse. Per taluni soggetti, infine, la complessità che deriva dal gestire la mole di informazioni generata dagli allegati al d.lgs. n. 118/2011 potrebbe comportare un costo, in termini di impegno e di ridondanza, tale da compromettere ogni beneficio in termini di maggiore ampiezza e maggiore analiticità delle informazioni stesse» (55).

 6.4. Controllo diffuso sui dati contabili, trasparenza digitale e banche dati.

 Nella stessa direzione di rafforzamento del controllo sociale e diffuso nei confronti delle grandezze contabili si pongono invero alcuni adempimenti relativi alla divulgazione di dati in chiave strettamente informatica.

La diffusione dei dati e la loro necessaria interazione con i principi più volte ricordati non può infatti prescindere dall’utilizzo delle moderne tecnologie, le quali trovano applicazione non solo per ciò che concerne la pubblicazione sul sito web, ma anche per le verifiche affidate agli organi di controllo interno ed esterno.

6.4.1. Controllo diffuso e dati Siope

 Rileva in primo luogo l’art. 14 della l. n. 196/2009, relativo al controllo e al monitoraggio dei conti pubblici, così come modificato dal c. 3 dell’art. 8 della l. n. 89/2014. Esso in particolare, ha disposto che i dati del Siope (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) gestiti dalla Banca d’Italia siano di “tipo aperto” e liberamente accessibili, nel rispetto del codice dell’amministrazione digitale, da parte dei cittadini e delle amministrazioni pubbliche.

Queste nuove modalità di accesso al Siope sono state stabilite dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze adottato il 30 maggio 2014, che ha definito l’organizzazione della banca dati anche al fine di consentire il confronto della spesa tra enti diversi, con ciò garantendo la raffrontabilità dei dati non solo a fini conoscitivi ma anche di stimolo ad atteggiamenti emulativi tra le diverse amministrazioni.

L’aggiornamento del sistema di trasparenza dei pagamenti, sulla base di quanto previsto dall’art. 1, c. 533, della l. 11 dicembre 2016, al nuovo sistema Siope+ è stato sviluppato dalla Banca d’Italia per conto della Ragioneria generale dello Stato (RgS): a tal fine, le amministrazioni pubbliche sono tenute a ordinare incassi e pagamenti al proprio tesoriere o cassiere utilizzando esclusivamente ordinativi informatici emessi secondo lo standard definito dall’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) e trasmessi attraverso la predetta infrastruttura .

 6.4.2. Controllo diffuso e banca dati Opencivitas.

 In questo senso, nell’ambito del rafforzamento del regime di trasparenza dei diversi profili di finanza locale, un primo momento di emersione della suddetta esigenza di analisi potenziata dal ricorso alle tecnologie digitali è rappresentato dalla attivazione recente della banca dati dei fabbisogni standard degli enti locali dati (Business intelligente opencivitas), in cui confluiscono tutti i dati raccolti con i questionari ad hoc inviati agli enti locali.

Nell’intendimento del Governo, l’Opencivitas è finalizzata a consentire anche a tutti i cittadini di disporre di informazioni omogenee, utili per la valutazione delle scelte operate dagli amministratori locali e quindi per l’esercizio di un reale controllo democratico sulle scelte operate da questi.

 Ed anzi, essa vuole costituire lo strumento on line di esplorazione, benchmark e simulazione dei dati delle amministrazioni locali per consentire ai cittadini e alle stesse amministrazioni di monitorare il fabbisogno finanziario e la performance finanziaria, confrontando il posizionamento del proprio ente rispetto agli altri, così da supportare le amministrazioni nell’individuazione delle strategie di gestione per l’erogazione più efficiente dei servizi.

6.4.3. Controllo diffuso e Bdap.

 Un ulteriore momento di applicazione del principio di trasparenza in ambito contabile, declinato in ossequio alle suddette esigenze informatiche, è rappresentato dalla avvenuta istituzione della Banca dati delle amministrazioni pubbliche presso il Ministero dell’economia e delle finanze con l’art. 13 della l. 21 dicembre 2009, n. 196.

 Come è stato sottolineato dalla Sezione delle autonomie della Corte nella delib. n. 2/2017, l’entrata in operatività della Bdap “ha consentito – ed in certa misura imposto – una rivisitazione dei tradizionali questionari nell’ottica di una loro utilizzazione nei limiti delle strette necessità informative non soddisfatte dalla immediata attingibilità dei dati dalla copiosa documentazione che affluisce alla Bdap”. (Sez. contr. reg. Basilicata, n. 46/2018).

Come è noto, le Linee guida, approvate in relazione alla compilazione e trasmissione delle relazioni-questionario riferite ai rendiconti, «si rivolgono ai revisori degli enti locali i quali “devono attener[vi]si”, esse costituiscono il fondamentale momento attraverso il quale viene esercitata la funzione di orientamento da parte della Sezione delle autonomie, stabilendo linee interpretative delle norme volte ad indirizzare anche l’attività delle sezioni regionali nell’esercizio dei controlli di cui ai commi 166 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 266/2005 […].

 Ne consegue che, pur avendo natura sostanzialmente programmatica e di indirizzo vincolante per i revisori, le linee guida abbiano assunto nel concreto rilevanza di canone di riferimento unitario, il cui stesso “grado di resistenza” va adeguatamente salvaguardato» (enfasi aggiunta, v. Corte dei conti, Sez. riun., n. 27/2011, tratto da Sez. contr. reg. Basilicata, n. 46/2018). In relazione al ruolo portante della previsione di cui all’art. 1, cc. 166 ss., della legge 23 dicembre 2005, n. 266 – quale “imprescindibile parametro normativo di riferimento – posto che i controlli di cui trattasi rinvengono, comunque, fondamento nel questionario redatto, sia pur in forma semplificata, dall’organo di revisione dell’ente, […] il revisore, nel rinnovato contesto, è piuttosto chiamato ad assicurare l’attendibilità dei dati e ad attestare la congruenza di quelli inseriti in Bdap con quelli presenti nei documenti contabili dell’ente” (v. Sez. Autonomie, n. 6/2017).

 Il questionario risulta articolato in cinque sezioni precedute da una serie di domande preliminari, fra le quali sono state inserite quelle relative alla verifica della congruenza dei documenti contabili con i dati inviati dall’ente alla Banca dati della pubblica amministrazione-Bdap e alla Banca dati degli organismi partecipati tenuta dal Dipartimento del Tesoro.

 L’organo di revisione economico-finanziaria è tenuto, quindi, a verificare la correttezza e la completezza dell’invio dei dati da parte del servizio economico-finanziario dell’ente locale alla Bdap; per questo è tenuto a registrarsi al sistema gestionale in questione. La esigenza di monitoraggio delle opere pubbliche è alla base, in virtù di quanto stabilito dal d.lgs. 29 dicembre 2011, n. 229 (recante l’attuazione dell’articolo 30, comma 9, lettere e), f) e g), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell’utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti), della implementazione del sistema nella nuova Banca dati delle amministrazioni pubbliche (Bdap-Mop), finalizzato a raccogliere tutte le informazioni necessarie per una corretta rendicontazione della spesa per opere pubbliche in Italia.

La Bdap-Mop è dichiaratamente un punto di raccordo delle informazioni già disponibili su altri sistemi al fine di: – evitare doppi inserimenti di dati; – avere un set informativo completo sulle opere pubbliche. La corretta alimentazione dei sistemi collegati alla Bdap-Mop rappresenta pertanto un valore aggiunto per gli utenti che, utilizzando correttamente tutti i sistemi coinvolti, trovano un punto unico di accesso ai propri dati e maggiore trasparenza interna.

Essa si pone in linea con la successiva introduzione della disciplina sull’anticorruzione e la trasparenza, la cui legge (l. n. 190/2012) ha previsto la possibilità di pubblicare i dati relativi alle opere pubbliche attraverso Bdap. Le informazioni obbligatorie sono previste all’art. 38 del d.lgs. n. 33/2013 ed attengono ai seguenti documenti: 1) informazioni relative ai nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici di cui all’art. 1 della l. n. 144/1999; 2) atti di programmazione delle opere pubbliche; 3) informazioni relative ai tempi, costi unitari e indicatori delle opere pubbliche.

Nell’all. 1 alla delibera Anac n. 1310/2016 la sezione “Opere pubbliche” è declinata in tre sottosezioni corrispondenti ai dati dell’art. 38 d.lgs. n. 33/2013, e cioè “Nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici”, “Atti di programmazione delle opere pubbliche” e, infine, “Tempi costi e indicatori di realizzazione delle opere pubbliche” (56).

Le modifiche introdotte con la legge di bilancio 2020 (l. 27 dicembre 2019, n. 160) all’art. 1, c. 37, ha previsto, nell’ambito dei contributi assegnati ai comuni per investimenti in opere pubbliche, l’obbligo per i comuni medesimi di rendere noti la fonte di finanziamento, l’importo assegnato e la finalizzazione del contributo assegnato nel proprio sito internet, nella sezione “Amministrazione trasparente” di cui al d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, sottosezione “Opere pubbliche”.

Nuovi obblighi sono stati introdotti anche per la sezione “Bandi di concorso”.

 6.5. Trasparenza e sanità: l’art. 20 del d.lgs. n. 118/2011.

 Una importante applicazione del principio di trasparenza in ambito contabile è rappresentata dalla disciplina dettata dal titolo II del d.lgs. n. 118/2011 (recante “Principi contabili generali ed applicati per il settore sanitario”) che, al fine di definire i relativi capitoli di entrata e di spesa del finanziamento del servizio sanitario e per la trasparenza dei conti sanitari, introduce una serie di principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica. In particolare, l’art. 20 del citato d.lgs. n. 118/2011, occupandosi della materia dedicata alla “trasparenza” dei conti sanitari e alla “finalizzazione delle risorse al finanziamento dei singoli servizi sanitari regionali”, al c. 1 prescrive che le regioni debbano garantire “un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale”.

A questo scopo, in particolare, è prescritto che le regioni adottino “un’articolazione in capitoli tale da garantire, sia nella sezione dell’entrata che nella sezione della spesa, ivi compresa l’eventuale movimentazione di partite di giro, separata evidenza” di poste di entrata e di uscita.

L’importanza e la centralità dell’operazione di perimetrazione, lungi dall’essere qualificata come mero adempimento formale, è da annettersi ad una serie di ragioni che richiedono una compiuta analisi del sistema. I principi enunciati dagli artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 118/2011 si inscrivono infatti nel più ampio novero dei precetti dell’armonizzazione contabile che sono funzionali alla tenuta degli equilibri di bilancio e ai canoni della corretta programmazione delle risorse, evitando che queste siano indirizzate verso finalità non congruenti con il dettato normativo primario, ma che, al contrario, ne richiede la loro specificazione e individuazione con caratteristiche di esattezza e immediata confrontabilità.

Invero, coinvolgendo i rapporti tra Stato e regione, nell’ambito della cosiddetta finanza pubblica allargata, la normativa de qua appare sicuramente volta a tutelare l’equilibrio di bilancio (ed in particolare l’equilibrio complessivo del sistema e la sostenibilità del debito nazionale secondo quanto stabilito dagli artt. 81 e 97, c. 1, Cost.), che la Corte cost. ha già chiarito (sent. nn. 101/2018 e 247/2017) riguarda sia l’equilibrio individuale degli enti facenti parte della finanza pubblica allargata, sia l’equilibrio complessivo di quest’ultima.

È evidente che l’equilibrio complessivo deve essere coerentemente coordinato con analogo equilibrio dei singoli bilanci che compongono il cosiddetto bilancio consolidato dello Stato. In sostanza, l’equilibrio complessivo deve essere congruente e coordinato con l’equilibrio della singola componente aggregata se non si vuole compromettere la programmazione e la scansione pluriennale dei particolari obiettivi che compongono la politica della regione (57).

 La corretta perimetrazione delle poste di bilancio appare quindi volta a garantire il principio dell’equilibrio tendenziale o dinamico, inteso come indefessa prospettiva di adeguamento della “bilancia finanziaria” verso un punto di armonica simmetria tra entrate e spese.

Trattandosi di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, con funzione regolatrice della cosiddetta finanza pubblica allargata, allo scopo di assicurare il rispetto del patto di stabilità, essa appare parimenti orientata a soddisfare l’imprescindibile necessità di avere a disposizione dati di bilancio omogenei, aggregabili e confrontabili, e che siano elaborati adottando le stesse metodologie e gli stessi criteri contabili: infatti, “senza l’uniformità dei linguaggi assicurata dall’armonizzazione dei conti pubblici a livello nazionale non sarebbe possibile alcun consolidamento della finanza pubblica allargata, il quale – essendo una sommatoria dei singoli bilanci delle amministrazioni pubbliche – non può che avvenire in un contesto espressivo assolutamente omogeneo” (58).

 La corretta perimetrazione è altresì funzionale al principio di programmazione e di rendicontazione sociale: per evitare cioè che risorse che il legislatore vuole che vengano destinate al soddisfacimento di un bene primario, quale è quello della salute, vadano disperse nei rivoli del bilancio regionale, in direzioni normativamente non consentite; ma anche perché, a ben vedere, le caratteristiche intrinseche di tale operazione – ovverosia di una sua “esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale”, che risponda a “un’articolazione in capitoli tale da garantire, sia nella sezione dell’entrata che nella sezione della spesa, ivi compresa l’eventuale movimentazione di partite di giro, separata evidenza” e che consenta la “confrontabilità immediata” fra le entrate e le spese sanitarie iscritte nel bilancio regionale e le risorse, al fine di permetterne “un’agevole verifica” – si coniugano inscindibilmente con quelle di una sua verifica diffusa, tanto più necessaria quanto più è importante il bene da tutelare e che, in virtù di quanto stabilito dalla legge (art. 1 d.lgs. n. 33/2013), richiede il controllo, a tutela della legittimazione democratica “indefettibile raccordo tra la gestione delle risorse della collettività e il mandato elettorale degli amministratori” (59), del corretto uso delle risorse pubbliche da parte della collettività amministrata. Infine, l’obiettivo dell’armonizzazione – e nella specie della perimetrazione – si connette peraltro non solo alle pressanti esigenze informative legate alla programmazione, alla gestione e alla rendicontazione della finanza pubblica, ma anche alle verifiche del rispetto delle regole eurounitarie, “che, lungi dal costituire normativa di dettaglio, sono strumentali rispetto al fine – legittimamente perseguito dalla legislazione statale in sede di coordinamento della finanza pubblica – di valutare la compatibilità, con i vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale, della spesa de qua: l’accennata strumentalità esclude, altresì, ogni violazione del principio […] secondo il quale l’autonomia di spesa riconosciuta alle regioni implicherebbe l’esclusione di ogni ingerenza statuale anche sotto forma di procedure e criteri di controllo della spesa pubblica regionale” (60).

 In estrema sintesi, la centralità dei precetti dell’armonizzazione contabile, e tra questi in particolare quello inerente all’adempimento della perimetrazione delle risorse da destinare alla sanità, dipende «da una serie di inderogabili ragioni tra le quali […] la stretta relazione funzionale tra “armonizzazione dei bilanci pubblici”, “coordinamento della finanza pubblica”, “unità economica della Repubblica”, osservanza degli obblighi economici e finanziari imposti dalle istituzioni europee» (61).

 7. La disciplina in tema di trasparenza e l’attività della Corte dei conti.

 7.1. Normativa in tema di accesso e pubblicazione nell’attività delle sezioni regionali di controllo.

 La tematica della trasparenza non poteva prescindere, infine, dalla trattazione inerente all’applicazione della disciplina dettata dalla l. n. 241/1990 e dal d.lgs. n. 33/2013 per ciò che concerne l’attività di controllo.

 Sotto questo profilo, deve essere necessariamente premesso che essa si applica (art. 22, c. 1, lett. e, l. n. 241/1990) solo alla “pubblica amministrazione”, ovverosia a tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, e che (art. 23: ambito di applicazione del diritto di accesso) “1. Il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita nei confronti delle amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi.

 Il diritto di accesso nei confronti delle autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall’articolo 24”.

Orbene, va escluso che la Corte dei conti, e specificamente le sezioni regionali di controllo, nell’esercizio delle sue funzioni sia assimilabile a una pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241/1990 (62): la conclusione appare pacifica alla luce del fatto che la non riconducibilità ad attività amministrativa delle funzioni delle sezioni regionali di controllo è stata affermata anche dalla Commissione per l’accesso ai documenti istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri nel parere del 16 dicembre 2008, chiarendo che la Corte dei conti, nell’esercizio della sua funzione di controllo, non è qualificabile come pubblica amministrazione, ma come vero e proprio potere dello Stato e, pertanto, nei suoi confronti non è esercitabile il diritto di accesso.

Un altro profilo di verifica concerne il momento di necessaria pubblicità della delibera dell’ente territoriale e di successiva acquisizione dell’esecutività, e i controlli della sezione regionale della Corte dei conti che riguarda il calcolo del tempo per l’approvazione del piano di riequilibrio di un ente locale: la normativa fa esplicito riferimento al concetto di esecutività all’art. 243-bis, c. 2, Tuel (“La deliberazione di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale è trasmessa, entro 5 giorni dalla data di esecutività, alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell’interno”) e all’art. 243-bis, c. 5, Tuel, ove si prevede infatti che “Il consiglio dell’ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera di cui al comma 1, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale”.

Si tratta quindi di profili attinenti al maturare di un presupposto, in dipendenza del cui mancato verificarsi si produce l’effetto automatico del dissesto (art. 243-quater, c. 7, Tuel).

 Occorre dare conto al riguardo della previsione generale dell’art. 134 del Tuel, cc. 1-3, a mente del quale: “1. La deliberazione soggetta al controllo necessario di legittimità deve essere trasmessa a pena di decadenza entro il quinto giorno successivo all’adozione. Essa diventa esecutiva se entro 30 giorni dalla trasmissione della stessa il Comitato regionale di controllo non trasmetta all’ente interessato un provvedimento motivato di annullamento. Le deliberazioni diventano comunque esecutive qualora prima del decorso dello stesso termine il Comitato regionale di controllo dia comunicazione di non aver riscontrato vizi di legittimità.

2. Nel caso delle deliberazioni soggette a controllo eventuale la richiesta di controllo sospende l’esecutività delle stesse fino all’avvenuto esito del controllo.

3. Le deliberazioni non soggette a controllo necessario o non sottoposte a controllo eventuale diventano esecutive dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione. […]”. Detta pubblicazione è prevista dall’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000 per le delibere degli organi di governo dell’ente territoriale, quali consiglio e giunta municipali, e costituisce – tra l’altro – segmento procedurale il cui adempimento è preordinato a far conseguire l’esecutività all’atto stesso (63).

La tesi maggioritaria seguita dalla prassi e dalla maggior parte degli autori (64) ricollega l’esecutività al computo dall’inizio della pubblicazione: in buona sostanza, il termine dei dieci giorni decorre dalla pubblicazione della deliberazione secondo le modalità con cui la stessa pubblicazione si realizza, cioè a partire dalla materiale pubblicazione sull’albo dell’ente, come previsto ora dall’art. 124, c. 1, Tuel.

 Una tesi siffatta, si ricollega alla fase di prima applicazione della l. n. 142/1990, in cui il termine di cui all’art. 47, ora trasfuso nel citato art. 134, attiene alla esecutività dell’atto e non alla pubblicità, per la quale viene previsto un termine diverso, che corrisponde a dieci giorni.

Ne deriva quindi che l’art. 134, c. 3, Tuel opera in relazione agli effetti giuridici della esecutività delle delibere, mentre l’art. 124, c. 1, stabilisce il termine obbligatorio di pubblicazione di 15 giorni consecutivi, dal cui decorso e perfezionamento al 15° giorno consegue una presunzione di conoscenza, e decorre, a pena di decadenza, il termine di 60 giorni per proporre impugnazione da parte dei terzi (65); in relazione a ciò, presupposto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi è la loro conoscenza da parte degli interessati, che per gli atti generali soggetti a pubblicazione si verifica al termine fissato per legge dalla pubblicazione (66), non rilevando ai ini della conoscenza dell’atto “il termine di pubblicazione di dieci giorni fissato dall’art. 134 del Tuel […] atteso che questo è fissato unicamente a determinare il termine di inizio di esecutività […] e non quello di conoscenza delle deliberazioni stesse” (67).

 È doveroso, tuttavia, dar conto di una tesi minoritaria, che si fonda su un parere del Ministero dell’interno (in data 13 settembre 2006) rimasto assolutamente isolato nella prassi dei comuni, secondo cui “il computo iniziale dei 10 giorni debba compiersi con riferimento al termine della pubblicazione da effettuarsi per 15 giorni”. Secondo il Ministero dell’interno, infatti, va condiviso l’orientamento della Corte di cassazione in base al quale solamente “alla scadenza del quindicesimo giorno il sub-procedimento di pubblicazione è perfezionato e le deliberazioni non soggette al controllo preventivo di legittimità alla scadenza del decimo giorno dalla eseguita pubblicazione, divengono esecutive” (68). Va peraltro notato che ora la norma dell’art. 124 del Tuel prevede testualmente l’esplicito riferimento alla pubblicazione anziché all’affissione. Non è fuor di luogo ricordare che, in passato, proprio il Ministero dell’interno aveva invece chiarito, in risposta ad un quesito, che le delibere “diventano esecutive dopo il decimo giorno dal primo giorno della loro pubblicazione” (69).

C’è da chiedersi, inoltre, se l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai fini del compimento del periodo di affissione indicato dall’art. 124 Tuel e in relazione ad ogni effetto giuridico connesso all’affissione, il giorno iniziale non può non restare compreso nel periodo, atteso che esso, come, peraltro, si ricava espressamente dal testo della norma, è uno dei giorni utili alle finalità (conoscenza legale per la generalità dei cittadini) dell’affissione stessa” (70) vale tuttora per gli enti locali o deve essere rivisto alla luce dei nuovi principi affermati dalla l. n. 190/2012, dal d.lgs. n. 33/2013, dall’Anac e dal Garante della privacy.

 In altri termini, il quesito verte cioè se, ai fini del calcolo del periodo di pubblicazione, debba o meno applicarsi l’art. 155 c.p.c., per il quale “nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l’ora iniziali”.

 A tale proposito prevale in giurisprudenza la considerazione che ai fini della pubblicazione per 15 giorni sull’albo dell’ente “il dies a quo del periodo di affissione non può che comprendere il giorno iniziale” (71). Ciò innanzitutto sulla base della dizione letterale della norma, che indica espressamente il periodo di durata della pubblicazione delle deliberazioni (“sono pubblicate mediante affissione all’Albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi”) e secondariamente dell’osservazione che l’applicazione della regola generale di cui agli artt. 2963 c.c. e 155 c.p.c. per i termini processuali incontra un limite oggettivo.

In particolare, è stato quindi ritenuto che «detta regola (nel computo del termine si esclude il giorno iniziale) costituisce certamente un “criterio generale per il computo del tempo” ma è data in funzione di un’attività o anche di una utilità per il soggetto, appunto legata al decorso del tempo, si riferisce, cioè, ai termini che assumono come punto di riferimento un evento dal verificarsi del quale acquista rilevanza giuridica l’attività o l’inattività del soggetto interessato e non torna, invece, applicabile allorché una norma di legge prenda in considerazione o assegni rilevanza ad una situazione secondo la sua durata effettiva» (72).

La questione ha assunto, come detto, un suo specifico rilievo nella fattispecie relativa all’esecutività delle delibere di ricorso al piano di riequilibrio, dove la giurisprudenza contabile ha optato per la prima delle descritte posizioni interpretative (73), superando il suo stesso orientamento precedente e ritenendo quindi che l’esecutività si consegua al decorso dei 10 giorni dal primo giorno di pubblicazione.

Proprio per le incertezze interpretative che ha suscitato, la tematica della pubblicazione e della esecutività degli atti del comune dovrà essere oggetto di una sua specifica disciplina in occasione della preannunciata riforma del Tuel.

8. Conclusioni finali.

Le prospettive evolutive Il breve excursus sin qui operato dimostra che il concetto di trasparenza è concretamente declinato, nel diritto positivo, in numerose forme da parte di un legislatore attento, da un lato, alle esigenze di verifica del buon uso delle risorse pubbliche e, dall’altro, alle indicazioni normative contenute nella direttiva europea 2011/85/Ue dell’8 novembre 2011, denominata “Regole di bilancio numeriche”, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri, attuata dall’Italia con il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 54: le innovazioni si inseriscono, tuttavia, come abbiamo avuto modo di rilevare, in un quadro ordinamentale non ancora pienamente e completamente definito, in cui la oggettiva necessità di trasparenza trova momenti di ostacolo, come descritto, in profili critici afferenti la tecnicità della elaborazione finanziaria tradotta nei bilanci, e la cui indispensabile intelligibilità richiede momenti non meramente meccanici o passivi dell’amministrazione, ma esige più concretamente comportamenti positivi e attuativi della rappresentazione contabile da parte della stessa p.a. nella direzione indicata, a beneficio dei cittadini e degli stakeholder.

Si tratta quindi di profili indispensabili di intersecazione tra beni pubblici (bilancio e trasparenza), collocati sul piano funzionale al crocevia di indefettibili canoni e principi che la Carta costituzionale ha indicato come espressione della attuazione dei valori fondamentali della società in cui viviamo.

Lo sforzo normativo, seppur non lieve, realizzato in questi anni dovrà essere quindi accompagnato da comportamenti coerenti, a tutti i livelli, nella direzione sopra indicata.

La sfida più grande in questo periodo è rappresentata dall’effettività dei controlli operati dai vari soggetti che saranno esecutori del Recovery Plan, spesso collegati fra loro in logica di network.

 Ci riferiamo, in particolare, alla catena dei soggetti finanziatori e di quelli esecutori ed ai livelli nazionale-regionale-locale.

Essi dovranno essere dotati di un sistema unitario di controlli, una sorta di mega-cruscotto di indicatori di performance chiave, key performance indicators (Kpi, si veda a p. 40 del documento Commission Staff Working Document Guidance to Member States Recovery and Resilience Plans (SWD(2020) 205 final), che consenta di realizzare in modo efficace i processi di controllo, in particolare quello concomitante, anche attraverso l’incentivazione – in particolare – di meccanismi di trasparenza dell’agire amministrativo.

 Una parte fondamentale in questo senso è rappresentata dai sistemi di rilevazione contabile, poiché al di là della armonizzazione contabile, esistono ancora esempi di “asincronie” nella contabilizzazione dei flussi di risorse finanziarie fra i vari enti. E ciò genera potenziali difficoltà nella rappresentazione in ottica consolidata dell’azione amministrativa delle varie entità che saranno chiamate alla realizzazione del Recovery Plan: una questione – ancora una volta – di trasparenza.

 

Note

*) T. Tessaro è magistrato della Corte dei conti.

(1) Cfr., per una panoramica generale, T. Tessaro, Il nuovo concetto di trasparenza nell’ente locale: ovvero il mito dell’Idra di Lerna e delle sue (infinite?) diramazioni, in Comuni d’Italia, 2010, n. 5, 3-9.

(2) E. Carloni, La casa di vetro e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Dir. pubbl., 2009, 779-812; E. D’Alterio, Il programma triennale per la trasparenza e l’integrità, in Giornale dir. amm., 2011, 440-454; F.G. Grandis, La riforma Brunetta del lavoro pubblico. D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Luci ed ombre nella misurazione, valutazione e trasparenza della performance, ivi, 2010, 23-28.

(3) D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, recante “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

 (4) V., in particolare, la previsione dell’art. 1, c. 35, lett. b), l. n. 190/2012 (in virtù della quale devono essere contemplate la previsione di forme di pubblicità sia in ordine all’uso delle risorse pubbliche sia in ordine allo svolgimento e ai risultati delle funzioni amministrative); ma soprattutto la esplicita previsione contenuta dapprima nell’art. 11 d.lgs. n. 150/2009 (Trasparenza: 1. La trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità), e ora nell’art. 1, c. 1, d.lgs. n. 33/2013 (La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche).

 (5) A. Pajno, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, in questa Rivista, 2014, n. 1-2, 475-489.

(6) Di talché, come affermato da Corte cost. n. 105/2019, «l’assenza di un risultato univoco di amministrazione, l’incongruità degli elementi aggregati per il suo calcolo e l’inderogabile principio di continuità tra gli esercizi finanziari […] non essendo utilmente scindibili gli elementi che ne compongono la struttura […], pregiudicano irrimediabilmente l’armonia logica e matematica che caratterizza funzionalmente il perseguimento dell’equilibrio del bilancio (sent. n. 274/2017; in tal senso, sent. n. 49/2018)».

(7) Corte cost. 25 ottobre 2013, n. 250, in questa Rivista, 2013, n. 5-6, 521. In questo senso, «il risultato di amministrazione è parte integrante, anzi coefficiente necessario, della qualificazione del concetto di “equilibrio dei bilanci”» (Corte cost. n. 247/2017, considerato 8.6). In questo quadro, l’avanzo di amministrazione non può essere confuso con il saldo attivo di cassa e neppure con un risultato di esercizio annuale positivo (Corte cost. n. 105/2019, ivi, 2019, n. 3, 254, con nota di D. Chiatante, Note a prima lettura della sentenza n. 105 del 2019 della Corte costituzionale). Peraltro, il principio dell’equilibrio di bilancio non corrisponde ad un formale pareggio contabile, essendo intrinsecamente collegato alla continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata, nell’ambito della quale la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita, non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate (Corte cost. n. 18/2019, ibidem, n. 1, 212, con nota di C. Forte, M. Pieroni, Prime osservazioni a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019). La giurisprudenza della Corte costituzionale ha sottolineato come ciò consente di inquadrare in modo strutturale e pluriennale la stabilità dei bilanci preventivi e successivi per cui “ogni rendiconto […] [è] geneticamente collegato alle risultanze dell’esercizio precedente” e “ogni determinazione infedele del risultato di amministrazione si riverbera a cascata sugli esercizi successivi”. Pertanto, se gli elementi per costruire l’equilibrio dinamico del bilancio sono costituiti da «infedeli rappresentazioni delle risultanze economiche e patrimoniali [ne deriva] un effetto “domino” nei sopravvenienti esercizi, pregiudicando irrimediabilmente ogni operazione» (Corte cost. n. 89/2017, ivi, 2017, n. 1-2, 521, con nota di richiami).

 (8) Corte cost. n. 18/2019, cit.

 (9) Dalla Relazione della Commissione sui beni pubblici, c.d. Commissione Rodotà, istituita presso il Ministero della giustizia con d.m. 21 giugno 2007 al fine di elaborare uno schema di legge delega per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici.

(10) S. Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2012, 65.

(11) Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, discorso tenuto durante l’incontro con i nuovi magistrati della Corte dei conti, Roma, 28 novembre 2018.

(12) T. Tessaro, S. Piovesan, La riforma Madia del procedimento amministrativo, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2015.

 (13) Il riferimento è Cons. Stato 6 marzo 2019, n. 1546.

(14) Corte conti, Sez. contr. reg. Lombardia, 29 novembre 2005, n. 7

(15) Corte cost. n. 169/2015, n. 10/2016 (in questa Rivista, 2016, n. 1-2, 362), nonché da ultimo n. 83/2019

(16) L. n. 190/2012, art. 1, cc. 28 e 30.

 (17) T. Tessaro, S. Siragusa, G. Pizziconi, L’attività di controllo delle sezioni regionali della Corte dei conti, Napoli, Editoriale scientifica, 2020, 611.

(18) L. Vandelli (a cura di), Etica e pubblica amministrazione. Quale ruolo per i controlli?, Milano, Angeli 2009, presentazione, 2.

(19) U. Forti, I controlli dell’amministrazione comunale, in V.E. Orlando (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, vol. II, parte II, Milano, Società editrice libraria, 1915, 614.

(20) Cfr. nt. 11.

(21) M.S. Giannini, Controllo: nozioni e problemi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1974, 1263 ss.

(22) F. Cammeo, Corso di diritto amministrativo, ed. agg. a cura di G. Miele, Padova, Cedam, 1960, 416 ss.

(23) Corte cost. n. 18/2019, cit., che sottolinea come mentre le pronunce di controllo di legittimità sugli atti possono essere in qualche modo disattese dal Governo, ricorrendo alla registrazione con riserva, e dagli stessi giudici delle altre magistrature, nei confronti sia degli atti che hanno ottenuto la registrazione, sia delle situazioni generate dal diniego di visto, l’accertamento effettuato nell’esercizio di questo sindacato di legittimità sui bilanci “fa stato” nei confronti delle parti, una volta decorsi i termini di impugnazione del provvedimento davanti alla Corte dei conti, Sezioni riunite in speciale composizione. Quello così instaurato è – come detto – un giudizio a istanza di parte riservato alla giurisdizione esclusiva della magistratura contabile, caratterizzato dalla presenza del procuratore generale della Corte dei conti in rappresentanza degli interessi adespoti di natura finanziaria, che costituisce l’unica sede in cui possono essere fatti valere gli interessi dell’amministrazione sottoposta al controllo e degli altri soggetti che si ritengano direttamente incisi dalla pronuncia della sezione regionale di controllo.

 (24) Corte cost. n. 60/2013, in questa Rivista, 2013, n. 1-2, 365, con nota di richiami.

 (25) Ibidem.

 (26) T. Tessaro, S. Siragusa, G. Pizziconi, op. cit., 324; T. Tessaro, C. D’Aries, S. Glinianski, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2016.

(27) Sottolinea la necessità di una verifica di quali, tra le diverse forme di controllo oggi presenti nell’ordinamento, possano rispondere maggiormente all’esigenza di garantire l’etica pubblica e la buona amministrazione L. Vandelli (a cura di), op. cit., presentazione, 2, dal momento che “il tema del rapporto tra etica pubblica e controlli presenta una particolare attualità per i ripetuti e vistosi interventi della magistratura su episodi di maladministration, che hanno posto in evidenza la fragilità e la permeabilità delle pubbliche amministrazioni italiane rispetto a interessi particolari e persino criminali”.

 (28) U. Forti, op. cit.

(29) T. Tessaro, S. Siragusa, G. Pizziconi, op. cit., 320.

(30) Ivi, 324.

 (31) A. Carosi, Il principio di trasparenza nei conti pubblici, in C. Bergonzini (a cura di), Costituzione e bilancio, Milano, Angeli, 2019.

(32) Corte cost. n. 6/2019, in questa Rivista, 2019, n. 1, 188, con nota di D. Morgante, Consulta: incostituzionalità del primato della ragione erariale e criteri di determinazione dei contributi spettanti alle autonomie speciali.

(33) Corte cost. n. 252/2015.

(34) Le missioni, definite ai sensi della l. 31 dicembre 2009, n. 196, rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa pubblica. I programmi costituiscono aggregati diretti al perseguimento degli obiettivi definiti nell’ambito delle missioni. Le missioni evidenziano le fondamentali finalità dell’azione pubblica, nonché uno dei cardini dell’armonizzazione. Per tale motivo, i bilanci delle amministrazioni pubbliche devono far riferimento ad esse. I programmi sono definiti da ciascuna amministrazione nel rispetto di criteri e principi di base validi per tutte le amministrazioni pubbliche.

 (35) L’allegato 4/4 al d.lgs. n. 118/2011 sottolinea come il bilancio consolidato assolva ad una triplice funzione: – sopperire alle carenze informative e valutative dei bilanci degli enti che perseguono le proprie funzioni anche attraverso enti strumentali e detengono rilevanti partecipazioni in società, dando una rappresentazione, anche di natura contabile, delle proprie scelte di indirizzo, pianificazione e controllo; – attribuire alla amministrazione capogruppo un nuovo strumento per programmare, gestire e controllare con maggiore efficacia il proprio gruppo comprensivo di enti e società; – ottenere una visione completa delle consistenze patrimoniali e finanziarie di un gruppo di enti e società che fa capo ad un’amministrazione pubblica, incluso il risultato economico.

 (36) La codifica Cofog (Classification of the Functions of Government) è una classificazione delle funzioni di governo articolata su tre livelli gerarchici, rispettivamente denominati “divisioni”, “gruppi” e “classi”, per consentire una valutazione omogenea delle attività delle pubbliche amministrazioni svolte nei diversi paesi europei. Ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 118/2011, ciascun programma si raccorda alla relativa codificazione Cofog di secondo livello (gruppi); la norma prevedeva inoltre (con disposizione abrogata dal d.lgs. n. 126/2014) che nel caso di corrispondenza non univoca tra programma e classificazione Cofog di secondo livello, andassero individuate anche le corrispondenti funzioni.

(37) In caso di mancato invio dei dati (bilancio di previsione, rendiconto di gestione e bilancio consolidato, corredati dal piano dei conti, relazione dell’organo di revisione, nota integrativa e/o relazione della giunta) la sanzione prevista consiste nell’impossibilità di procedere ad assunzioni di personale a qualunque titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di somministrazione in atto, fino a quando l’ente non adempie. È fatto altresì divieto di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi.

 (38) P. Santoro, Manuale di contabilità e finanza pubblica, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2013, 6 a ed., 25.

(39) Ivi, 27.

(40) La ricognizione delle amministrazioni pubbliche cui si applicano le disposizioni in materia di finanza pubblica “è operata annualmente dall’Istat con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre” (art. 1, c. 3, l. n. 196/2009).

 (41) P. Santoro, op. cit., 26.

 (42) Corte cost. n. 80/2017, in questa Rivista, 2017, n. 3-4, 439, con nota di richiami di A.M. Quaglini.

(43) I principi della chiarezza, della significatività e della specificazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche rendono effettivo il principio contabile generale n. 5 della veridicità, attendibilità, correttezza e comprensibilità (allegato 1 al d.lgs. n. 118/2011).

 (44) Corte cost. n. 80/2017, cit., considerato 3.4.

(45) Corte cost. n. 184/2016 (in questa Rivista, 2016, n. 5-6, 484, con nota di richiami), considerato 2.1.

(46) A. Beltrami, Le modalità applicative dell’armonizzazione dei bilanci: la nuova competenza finanziaria, in Azienditalia, 2012, 221-226.

(47) D. Mazzotta, Armonizzazione dei bilanci, sperimentazione, crisi finanziarie degli enti locali: principali criticità e alcune proposte di soluzione, ibidem, 657-662.

(48) S. Ranucci, Le caratteristiche del sistema di contabilità economico patrimoniale previsto dal d.lgs. n. 118/2011, ibidem, 227-232.

(49) I. Cavallini, La trasparenza come obiettivo dell’armonizzazione?, ivi, 2015, 25-31.

 (50) Corte cost. n. 184/2016, cit.

 (51) Ibidem.

(52) M. Nigro, N. Benini, I contratti derivati nel sistema di contabilità pubblico-privata. Armonizzazione e trasparenza, in Azienditalia, 2013, 373-382.

 (53) I. Cavallini, op. cit., che riferisce l’opinione di D. Mazzotta, op. cit., e A. Beltrami, op. cit.

(54) Corte cost. n. 78/2020.

(55) I. Cavallini, op. cit.

(56) Come ha sottolineato l’Anac nel suo Progetto trasparenza monitoraggio conoscitivo sulla “esperienza della trasparenza” – Survey strutturate rivolte ai Rpct di un campione qualificato di amministrazioni, tra i dati sui quali si appunta l’attenzione dei Rpct consultati in un’ottica di maggiore semplificazione vi è anche quello riguardante le opere pubbliche. Su tale sezione si concentrano una serie di considerazioni, di tenore pressoché analogo, dei Rpct, sintetizzabili per singolo obbligo di pubblicazione. 1) Quanto alle informazioni relative ai nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, si tratta di un obbligo che non si applica alle stesse categorie di soggetti di cui all’art. 2-bis bensì unicamente alle amministrazioni centrali e regionali, come risulta dal dettato dell’art. 1 della l. n. 144/1999, cui l’art. 38 fa rinvio. Di conseguenza, come accade per altre previsioni che non si applicano indifferentemente a tutte le amministrazioni pubbliche, si sottolinea da più parti l’esigenza di qualche forma di “differenziazione”. 2) Quanto alle informazioni di cui agli “atti di programmazione”, le osservazioni avanzate hanno riguardo alla duplicazione degli obblighi di pubblicazione, atteso che gli atti ivi previsti coincidono sostanzialmente con quelli pubblicati alla voce “bandi di gara e contratti”. È il caso del programma triennale dei lavori pubblici. Molti enti, a tal proposito, operano un collegamento ipertestuale alla pagina corrispondente; altri invece, nelle more di un intervento chiarificatore, ripubblicano lo stesso programma in due sezioni dello stesso sito. 3) Sulle “informazioni relative ai tempi, costi unitari e indicatori delle opere pubbliche” si registra il maggior numero di considerazioni. La norma, infatti, muove da un’esigenza di trasparenza non trascurabile che è quella di conoscere quanto incide sulla finanza pubblica un’opera pubblica e se i fondi stanziati per farvi fronte sono “utilmente” spesi, nel senso che l’opera è effettivamente realizzata e in che tempi. Sul portale della Ragioneria generale dello Stato Open Bdap Banca dati amministrazioni pubbliche sono messi a disposizione i dati della finanza pubblica presenti nella Banca dati amministrazioni pubbliche (Bdap), in maniera trasparente e accessibile. Nel portale è disponibile il catalogo Open Data della Ragioneria generale dello Stato, dove sono pubblicati i dataset “open” navigabili sia in forma tabellare che grafica, e scaricabili nei formati previsti dalle linee guida Agid, dove è possibile consultare i dati relativi ai progetti di opere pubbliche, distinti per ciascuna regione. Pertanto, ad oggi, vi sono enti che sotto tale voce “informazioni relative ai tempi, costi unitari e indicatori delle opere pubbliche” annotano la mancanza ad oggi della tabella di cui all’art. 38, c. 2, e dunque il non assolvimento dell’obbligo, ed altri che rinviano alla pagina del portale Open Bdap che riguarda le opere dell’ente che effettua il rinvio.

(57) Corte cost. n. 6/2019, cit.

(58) Corte cost. n. 80/2017, cit., considerato in diritto 3.4.

(59) Corte cost. n. 49/2018, in questa Rivista, 2018, n. 1-2, 412, con nota di richiami.

(60) Corte cost. n. 4/2004, considerato in diritto 2.

(61) Corte cost. n. 80/2017, cit., considerato in diritto 3.4.

(62) Corte conti, Sez. riun. giur., n. 7/2018.

(63) Tar Toscana, Sez. II, n. 2833/2004; Cons. Stato, Sez. V, n. 762/2004.

(64) Cfr., per la completa ricostruzione, T. Tessaro, Gli atti amministrativi del comune, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2010, 307 ss., nonché Id., L’albo pretorio on line, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2010, 237.

(65) Tar Campania, Salerno, Sez. I, n. 742/2007; Tar Lombardia, Milano, Sez. I, n. 5008/2007; Tar Liguria, Genova, Sez. I, n. 566/2007.

(66) Parere Anci 24 settembre 2007, n. 146/UC/SD.

(67) TAR Lazio, Sez. II, n. 6506/2002.

(68) Cass. civ., Sez. I, n. 4397/1999.

(69) Ministero dell’interno, circ. 15 ottobre 1990.

 (70) Cass. civ., Sez. I, n. 12240/2004.

(71) Ibidem.

 (72) Ministero dell’Interno, circ. 13 settembre 2006.

 (73) Corte conti, Sez. contr. reg. Campania, n. 23/2020, in questa Rivista, 2020, n. 2, 173 (m), con nota di A. Luberti, Sulla decorrenza del termine per l’esecutività delle deliberazioni degli enti locali.

 

 

 

 

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto