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Sono tassativi solamente i termini per l’avvio e la conclusione dei procedimenti disciplinari. L’informazione di garanzia non determina di norma l’acquisizione della piena conoscenza e non fa quindi maturare i termini imperativi per l’avvio del procedimento disciplinare. La mancata affissione del codice disciplinare non determina automaticamente la nullità della sanzione irrogata. Sono queste le più recenti indicazioni fornite dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione sui procedimenti disciplinari.

 I TERMINI TASSATIVI

 Devono essere considerati come termini imperativi per i procedimenti disciplinari quelli rigidamente e tassativamente fissati dalla normativa, cioè quello iniziale e quello finale. Lo ricorda la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 11762/2021. Ci viene detto in primo luogo che si deve essere portati a considerare come imperativi, “con riferimento alla normativa conseguente al d. lgs. 150/2009, a ravvisare fattispecie decadenziali soltanto nell’inosservanza dei tempi del procedere rispetto al termine (iniziale) per la contestazione, di cui all’art. 55-bis, co. 2 e 4, d. lgs. 165/2001) ed ai termini (finali) di conclusione del procedimento di irrogazione di cui alle stesse norme, oltre che, nel caso di sospensione in attesa della definizione del procedimento penale, dei termini (finali) di cui all’art. 55-ter, u.c., d. lgs. 165/2001, per effetto implicito nel rinvio di quest’ultima disposizione all’art. 55-bis, che appunto qualifica come perentori i termini ultimi di irrogazione. Non è stata invece ritenuta di portata decadenziale l’inosservanza del termine di cinque giorni previsto per la trasmissione degli atti all’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari, ove non si dimostri un pregiudizio al diritto di difesa e, con riferimento anche al termine e le modalità per la convocazione a difesa disciplinati dall’art. 55- bis del d.lgs. n. 150 del 2009, ne è stata posta in evidenza la finalità di garanzia, traendone la conseguenza che i vizi procedurali correlati all’audizione del lavoratore possono dare luogo a nullità del procedimento, e della conseguente sanzione, solo ove sia dimostrato, dall’interessato, un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa, e non di per sé soli”. Alla stessa conclusione si deve pervenire anche con riferimento alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 75/2017. Su questa base ci viene detto espressamente che “In mancanza della prova di concreti ed effettivi pregiudizi al diritto di difesa, il fatto che la P.A., non palesi con comunicazione espressa l’intento di attendere l’esito del procedimento penale è pertanto privo di rilievo rispetto alla validità del procedimento disciplinare “. Ed inoltre si deve “escludere che il lavoratore possa dolersi del fatto che, dopo la sospensione del procedimento disciplinare, la P.A. non lo riattivi dopo le sentenze di primo o di secondo grado emesse in sede penale.

 Tale ripresa anticipata è dunque facoltà propria della P.A., a tutela del proprio buon andamento, ma non sussiste alcun interesse giuridicamente tutelato del lavoratore a che essa abbia luogo, in quanto anche da questo punto di vista le tutele decadenziali sono previste solo in ragione del termine finale, susseguente al giudicato”. Ed inoltre “qualora la P.A., per ragioni di garanzia e cautela, decida di posticipare la propria decisione all’esito del procedimento penale, ciò non significa che l’apprezzamento della gravità e dell’improseguibilità del rapporto debba essere necessariamente condizionato dal comportamento tenuto medio tempore tenuto dal ricorrente. La P.A., sospendendo il procedimento disciplinare, legittimamente evita ogni giudizio sui fatti commessi, ma la loro gravità è destinata pienamente a riemergere, in tutta la sua portata ed in ogni aspetto, una volta che, con il giudicato, essi si abbiano per definitivamente accertati…. il giudizio sull’incidenza dei reati commessi sul rapporto fiduciario resta valutazione di merito, nel caso di specie non implausibilmente fondata sulla gravità dei fatti e sulle peculiarità del lavoro pubblico, sotto il profilo del rispetto della legalità e senza che sia necessariamente decisivo quanto accaduto o il comportamento positivamente serbato dall’incolpato nella pendenza degli accertamenti penali”. Infine, ci viene detto che “la sospensione per detenzione riconnessa a misure penali, qualora conseguente agli stessi fatti che poi giustificano il licenziamento, si connota, in concreto, come prodromica rispetto ad esso e giustifica il retroagire degli effetti della sanzione espulsiva”.

L’INFORMAZIONE DI GARANZIA E LA PIENA CONOSCENZA.

 Il termine per l’avvio del procedimento disciplinare comincia a decorrere dalla data in cui l’ente ha acquisito la piena conoscenza del fatto; la informazione di garanzia di norma con contiene tali elementi: è quanto stabilisce la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 9313/2021. La pronuncia ha inoltre chiarito che la mancata audizione del dipendente per un differimento della audizione richiesta dallo stesso non determina la illegittimità del procedimento e della sanzione irrogata: spetta al lavoratore dimostrare che il suo diritto alla difesa è stato compromesso in modo sostanziale. Leggiamo testualmente che “in tema di procedimento disciplinare, ai fini della decorrenza del termine per la contestazione dell’addebito, assume rilievo esclusivamente il momento in cui l’ufficio competente abbia acquisito una notizia di infrazione di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento mediante la contestazione, la quale può essere ritenuta tardiva solo qualora la P.A. rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso degli elementi necessari per procedere, sicché il suddetto termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito”. Ed ancora, queste “caratteristiche non possono essere rinvenute esclusivamente nel contenuto, per quanto puntuale di una informazione di garanzia che, a termini dell’art. 369 cod. proc. pen., è atto che viene inviato dal pubblico ministero all’indagato quando deve essere compiuta una qualche attività cui il difensore ha diritto di assistere. Si tratta, come è noto, di un atto che garantisce alla persona cui viene spedito la possibilità di essere assistita da un proprio difensore di fiducia con contestuale invito a esercitare la relativa facoltà. Tale informazione di garanzia riporta, certo, le norme che si intendono violate, la data e il luogo di tali violazioni ed anche le generalità della parte offesa/denunciante (integrando le modalità esecutive, il contenuto e le finalità della condotta gli elementi minimi essenziali delle stesse ipotesi di reato indicate), tuttavia si tratta di un atto che prelude ad una attività successiva di indagine e, come nel caso di specie, non ne presuppone alcuna già svolta, diversa dall’acquisizione della notitia criminis attraverso la denuncia”. La sentenza chiarisce inoltre che “il lavoratore raggiunto da contestazione disciplinare ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro; tuttavia, ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore per una certa data, questi non ha diritto ad un differimento dell’incontro laddove si limiti ad addurre una impossibilità di presenziare, poiché l’obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile”. Ed inoltre, “tanto in ambito di lavoro privato quanto in ambito di lavoro pubblico privatizzato, che la sanzione della illegittimità del licenziamento in caso di violazione del termine posto per le difese del lavoratore viene sempre collegata alla deduzione di un pregiudizio subito nell’articolazione delle giustificazioni da fornire al datore di lavoro. Il pregiudizio determinato dal mancato rispetto del termine a difesa deve essere dedotto in concreto e non in via astratta”. Ed infine, “è onere del dipendente, che contesti la legittimità della sanzione per non aver potuto presenziare all’audizione a causa di una patologia così grave da risultare ostativa all’esercizio assoluto del diritto di difesa, dovendosi ritenere che altre malattie non precludano all’incolpato altre forme partecipative come ad es. l’invio di memorie esplicative, la delega difensiva ad un avvocato, così da consentire al procedimento di andare avanti ugualmente, nel rispetto dei termini perentori finali che lo cadenzano”.

L’AFFISSIONE DEL CODICE DISCIPLINARE.

Non può essere considerato in modo automatico motivo di annullamento del procedimento disciplinare la mancata affissione del codice disciplinare se la violazione è talmente rilevante da essere percepibile immediatamente come contraria al cd minimo etico ed ai principi di carattere generale dell’ordinamento. E’ quanto afferma la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 11120/2021. La pronuncia si segnala inoltre per il richiamo al vincolo della proporzionalità tra la sanzione e la condotta del dipendente. Essa si riferisce ad un caso specifico di licenziamento a seguito di condanna penale passata in giudicato. Viene ricordato in premessa che, sulla scorta delle previsioni della legge n. 300/1970, cd statuto dei diritti dei lavoratori, è sicuramente vero che il “CCNL impone l’affissione del codice disciplinare come forma ad substantiam, con la conseguenza che la violazione di tale previsione è causa di nullità della sanzione disciplinare, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità”. La sentenza ricorda che “il contegno sanzionatorio era da subito percepibile come illecito in quanto contrario al minimo etico ed al codice penale, con la conseguenza che non era necessaria la pubblicità del codice disciplinare.

 La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al cd minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare prevista dall’articolo 55 del d.lgs. n. 150/2009 in quanto il dipendente pubblico, come quello del settore privato, ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta”. Al riguardo viene ricordato che “la funzione della pregressa previsione in un testo che sia affisso o pubblicato nelle forme del caso non è quella di fondare in assoluto il potere disciplinare …. ma è invece quella di predisporre e regolare le sanzioni rispetto a fatti di diversa caratura, la cui mancata previsione potrebbe far ritenere che la reazione datoriale risponda a criteri repressivi che inopinatamente valorizzino ex post e strumentalmente taluni comportamenti del lavoratore”. Il che non ricorre “nei casi in cui la gravità assoluta” emerga con tutta evidenza”. Un’altra assai importante indicazione è la seguente “in tema di licenziamento disciplinare la tipizzazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso, in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o di giustificato motivo, ovvero ridotto, se tra le previsioni contrattuali ve ne sono alcune non rispondenti al modello legale e dunque nulle per violazione di norma imperativa; ne consegue che il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitabile sia riconducibile ad una previsione contrattuale, essendo comunque tenuto a valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione”. Conclusivamente, occorre effettuare “il giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata al lavoratore con riguardo alla condotta, così facendo corretta applicazione del principio secondo cui è da escludere qualunque sorta di automatismo a seguito dell’accertamento dell’illecito disciplinare, sussistendo l’obbligo per il giudice di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale e, dall’altro, la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflittala”.

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