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La pubblicazione nel supplemento ordinario n.28/L alla GURI del 7 agosto 2021 della legge 6 agosto 2021, n. 113 con la quale è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge n. 80 del 9 giugno 2021 contenente “misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Pnrr”, ci consente di sviluppare alcune riflessioni in materia di mobilità e di fugare alcuni dubbi che avevamo avanzato all’indomani dell’approvazione da parte del Senato del maxiemendamento del Governo che ha riscritto buona parte del testo normativo originario.

Si ricorderà che con il comma 7 dell’art. 3 del decreto legge è stato soppresso il “previo assenso” dell’amministrazione di appartenenza alla domanda di mobilità dei dipendenti pubblici; in particolare, la norma è intervenuta sul testo dell’art. 30, comma 1, del d.lgs. 165/2001 (TUPI) che disciplina l’istituto della mobilità volontaria prevedendo che “le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all’art. 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento”. Il nulla osta  dell’amministrazione di appartenenza, che nel sistema vigente fino all’8  giugno 2021 era la regola, divenne l’eccezione: la lett. b) del comma 7 dell’art. 3 del decreto legge ha, infatti, aggiunto ulteriori periodi al comma 1 dell’art. 30 del TUPI specificando che “è richiesto il previo assenso dell’amministrazione di appartenenza” in 3 casi: se si tratta di posizioni infungibili, se la mobilità riguardi personale assunto da meno di tre anni o se l’amministrazione presenti carenza di organico superiore al 20% nella qualifica corrispondente a quella del richiedente.

Su tale assetto normativo, che aveva suscitato  aspre critiche da parte delle associazioni degli enti locali e degli operatori del settore che paventavano il concreto pericolo di uno svuotamento degli organici in grado di rendere carta straccia i piani triennali di fabbisogno del personale e, paradossalmente, vanificare la finalità del decreto sull’accelerazione dell’attuazione del Pnrr,  è intervenuta la legge di conversione che ha confermato  -con qualche precisazione sulle fattispecie di eccezione- l’impianto originario per tutte le pubbliche amministrazioni e ha, invece, introdotto un regime del tutto peculiare per gli enti locali che trova la sua fonte nei nuovi commi 7-bis e  7-ter dell’art. 3 del decreto legge convertito dalla legge n. 133 del 6 agosto 2021.

Le novità sono di tutto rilievo in quanto il legislatore  a decorrere dal 8 agosto 2021 (data di entrata in vigore della legge n. 113 del 2021) introduce un nuovo sistema relativo alla mobilità volontaria del personale degli enti locali che pone dubbi applicativi e questioni di diritto intertemporale, in assenza di una disciplina transitoria.

Dispone, l’art. 7-bis: “All’articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo il comma 1 è inserito il seguente:  1.1. «Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano agli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100. Per gli enti locali con un numero di dipendenti compreso tra 101 e 250, la percentuale di cui al comma 1 è stabilita al 5 per cento; per gli enti locali con un numero di dipendenti non superiore a 500, la predetta percentuale è fissata al 10 per cento. La percentuale di cui al comma 1 è da considerare all’esito della mobilità e riferita alla dotazione organica dell’ente ».

Soffermiamoci sul primo periodo del nuovo comma 1.1 dell’art. 30 del TUPI, il quale esclude l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 agli enti locali fino a 100 dipendenti a tempo indeterminato. La conseguenza di tale disposizione è l’esclusione dei dipendenti degli enti locali con organico fino a 100 dipendenti a tempo indeterminato dalla mobilità volontaria, istituto che trova la propria disciplina nel comma 1 dell’art. 30 del TUPI che, appunto, non si applica più a tali enti .  A fronte del dato letterale della norma non si comprende come autorevole dottrina possa sostenere che l’effetto del comma 7-bis è quello di “ripristinare” o “recuperare” per tali enti locali il tradizionale nulla osta obbligatorio; ciò sarebbe stato possibile se il legislatore avesse escluso l’applicazione a tali enti del comma 7 dell’art. 3 del decreto legge, non già avendo escluso -con una modifica interna all’art. 30 del TUPI- l’applicazione del comma 1 di tale norma che disciplina l’istituto della  mobilità-volontaria. La lettura qui propugnata è, del resto, condivisa dal dossier predisposto dal Dipartimento Istituzioni degli uffici della Camera dei deputati il 3 agosto 2021,  nel quale c’è un richiamo -rimasto inascoltato a causa dei tempi contingentati per la conversione in legge in quello che appare un monocameralismo imperfetto e alternato- a valutare “l’opportunità di chiarire se tale esclusione concerna anche il medesimo ente locale (rientrante nella soglia dimensionale suddetta), con riferimento alla possibilità di ricorso alla mobilità in ingresso”.  In effetti, la norma esclude l’applicazione agli enti locali delle disposizioni di cui al comma 1 dell’art. 30 del TUPI, per cui sembra doversi privilegiare l’interpretazione secondo la quale sono proprio tali enti locali a non poter far ricorso alla mobilità volontaria e non già (solo) i loro dipendenti, con la conseguenza che tali enti  nell’attuazione dei loro Piani assunzionali non possono più fare ricorso all’istituto della mobilità volontaria. E’ una modifica sostanziale, un ribaltamento di prospettiva rispetto alla scelta di due mesi fa che, probabilmente, va oltre le stesse richieste dei comuni.

Per quanto riguarda gli altri enti locali, che sono certamente una minoranza, la disciplina della mobilità volontaria è improntata a termini più restrittivi rispetto alle altre pubbliche amministrazioni, tra i quali spicca la conferma dell’esclusione dell’applicazione di tale istituto per i cinque anni successivi alla prima assegnazione del dipendente.  Va, innanzi tutto, chiarito che l’assenso alla mobilità volontaria costituisce un’eccezione, come per le altre pubbliche amministrazioni. Ma la formulazione delle fattispecie in cui esso opera, consentono di affermare che il campo del nulla osta è assai più vasto di quello relativo alle altre amministrazioni pubbliche.

L’assenso dell’amministrazione è richiesto quando:

  1. il dipendente richiedente che risulti vincitore di una procedura di mobilità volontaria indetta da un altro ente occupa una posizione “dichiarata motivatamente infungibile” dal comune cedente ( ma il termine utilizzato dal legislatore è improprio). Quindi, gli enti locali debbono procedere con atto generale, di competenza della giunta municipale,  ad individuare al più presto quali sono le posizioni all’interno della propria dotazione organica da dichiarare infungibili ai fini dell’obbligo del nulla osta alla mobilità volontaria, non potendosi procedere caso per caso a denegare i nulla osta o a bloccare passaggi diretti di personale presso altri enti locali sul presupposto dell’infungibilità della posizione lavorativa occupata dal dipendente che richiede il nulla osta o che comunica il trasferimento presso un altro ente locale;
  2. le amministrazioni registrano, a causa della concessione del nulla osta alla mobilità volontaria, una carenza di personale del 5% ( in caso di enti locali fino a 250 dipendenti), del 10%  ( in caso di enti locali fino a 500 dipendenti) o del 20% ( per gli enti locali con più di 500 dipendenti). Due notazioni su tale fattispecie. La norma non specifica, come nel caso dei comuni fino a 100 dipendenti, se deve farsi riferimento a tutti i dipendenti o solo a quelli a tempo indeterminato. Inoltre, sulla base della formulazione letterale della norma, la base di calcolo sembra riferita alla consistenza post mobilità dell’intera dotazione organica dell’ente e non, come nell’ipotesi generale, della sola qualifica di appartenenza del personale richiedente il nulla osta;
  3. nel caso di dipendente assunto da meno di tre anni. In realtà, l’operatività di tale previsione per gli enti locali è subordinata all’interpretazione della disposizione di cui al comma 7-ter dell’art. 3 del d.l. 80/2021 nel testo aggiunto dalla legge di conversione nel senso di ritenere che la locuzione “prima assegnazione” sia riferita alla prima assunzione per concorso o per scorrimento di graduatoria anche da altri enti, e non già anche come assunzione per mobilità.

Va, infatti, chiarito -come sopra sinteticamente accennato- che il richiamato comma 7 -ter  dispone che “per gli enti locali, in caso di prima assegnazione, la permanenza minima del personale è di cinque anni”. La norma sembra ricalcare la disposizione dell’art. 3, comma 5-septies del D.L. 90/2014, introdotta dal D.L. 4 del 2019, secondo la quale “i vincitori dei concorsi banditi dalle regioni  e  dagli enti locali, anche se sprovvisti di articolazione territoriale,  sono tenuti a permanere nella sede di prima destinazione  per  un  periodo non inferiore a cinque anni”. Entrambe le disposizioni normative prevedono un periodo di permanenza minima di cinque anni nell’ente locale da parte dei vincitori di concorso o di personale “di prima assegnazione”. Sebbene la formulazione letterale delle norme sia diversa, sembra potersi ritenere la legge n. 113 del 2021 abbia confermato la previgente disciplina, prevedendo un periodo di permanenza minima nell’ente locale per il dipendente che risulti “assegnato” per la prima volta ad un ente del comparto e, quindi, escludendo tale obbligo per quei dipendenti che sono transitati per mobilità volontaria o obbligatoria da altri enti locali. Tale interpretazione, che conferma l’esclusione dell’istituto della mobilità volontaria nei primi cinque anni di servizio, consente di ritenere applicabile anche agli enti locali la previsione di cui al novellato secondo periodo del comma 1 dell’art. 30 del TUPI che prevede l’obbligo del nulla osta alla mobilità nel caso in cui il richiedente sia stato assunto “per mobilità” da meno di tre anni.

In tutte le ipotesi esaminate, non è vietata la mobilità volontaria; ma essa è subordinata al rilascio del nulla osta dell’amministrazione di appartenenza. Il nulla osta è richiesto non per partecipare alle procedure di mobilità volontaria indette dagli enti locali, ma per il trasferimento del dipendente  e, quindi, va richiesto solo dopo essere risultati vincitori della procedura selettiva[1].

Una ulteriore restrizione all’operatività della mobilità volontaria è contenuta nel secondo periodo del comma 7 ter citato, in base al quale “in ogni caso, la cessione del personale può essere differita, a discrezione dell’amministrazione cedente, fino all’effettiva assunzione del personale assunto a copertura dei posti vacanti e comunque per un periodo non superiore a trenta giorni successivi a tale assunzione, ove sia ritenuto necessario il previo svolgimento di un periodo di affiancamento”. La norma avrebbe dovuto essere formulata come novella all’art. 30 del TUPI in quanto di fatto si tratta di una ipotesi derogatoria rispetto alla previsione generale del comma 1 della norma generale. Per tutte le pubbliche amministrazioni è prevista, infatti, la possibilità di differire la mobilità ( anche nel caso in cui non è richiesto il nulla osta) fino ad un massimo di 60 giorni dalla ricezione dell’istanza di passaggio diretto. Per gli enti locali, invece, la norma prevede la possibilità di un differimento fino alla data dell’effettiva assunzione del personale che dovrà coprire il posto che si rende vacante con la mobilità o, addirittura, fino a 30 giorni successivi a tale assunzione ove l’amministrazione ritenga necessario il previo svolgimento di un periodo di affiancamento.

In sintesi. Nei comuni più piccoli ( fino a 100 dipendenti a tempo indeterminato) non esiste più l’istituto della mobilità in uscita e, a parere di chi scrive, anche in entrata. Per tutti gli altri comuni, la mobilità volontaria è subordinata al previo nulla osta nei casi eccezionali e, comunque, la sua operatività può essere differita fino a 30 giorni successivi all’effettiva assunzione del personale che dovrà sostituire il dipendente che si trasferisce per mobilità. Resta fermo il divieto quinquennale per i neoassunti di trasferirsi in altri enti locali con al mobilità volontaria.

 

[1] per quanto concerne la pubblicazione dei  bandi di mobilità, si veda l’articolo 1, comma 10-octies, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 2020, n. 8, e il comma 17- bis – dell’artr. 1 della legge in commento  sul Portale del reclutamento.

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