03/08/2021 – La nuova mobilità volontaria negli enti locali. Poche luci, molte ombre

Dopo l’approvazione da parte del Senato, il prossimo 5 agosto la Camera è chiamata a “ratificare” il testo del disegno di conversione del decreto legge n. 80/2021 ( A.C. 3243) contenente misure per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni.  Il maxiemendamento sul quale il Governo ha chiesto ed ottenuto la fiducia contiene alcune disposizioni di interesse per gli enti locali in materia di mobilità volontaria. I commi 7-bis e 7-ter aggiunti all’originario art. 3 hanno dettato, infatti, una disciplina peculiare in tale materia che riguarda gli enti locali, introducendo discipline differenziate in base al numero di dipendenti a tempo indeterminato di ciascun ente locale.

E’ noto che il decreto legge ha liberalizzato la mobilità volontaria, eliminando dal comma 1 dell’art. 30 del d.lgs. 165 del 2001 la previsione del nulla osta dell’amministrazione di appartenenza ai fini del passaggio diretto di un dipendente pubblico che, partecipando ad un bando, chiede di transitare presso una amministrazione diversa da quella ove presta servizio. Dall’entrata in vigore del decreto-legge 80/2021 la regola generale per tutte le amministrazioni, salvo i comparti scuola e sanità, è, dunque, quella del diritto soggettivo del dipendente alla mobilità volontaria, senza la necessità del consenso dell’amministrazione di appartenenza. Tale regola generale subisce 3 eccezioni, introdotte dall’art. 3, comma 7 del d.l. 80/2021 mediante l’aggiunta di un secondo e terzo periodo al comma 1 dell’art. 30 del d.lgs. 165 del 2001:

  1. il caso dei dipendenti assunti da meno di tre anni;
  2. il caso del personale addetto a posizioni che l’ente abbia previamente dichiarato infungibili, attraverso un atto ricognitivo generale;
  3. il caso di dipendenti inquadrati in qualifiche per le quali a seguito della mobilità si determini una carenza di personale superiore al 20% della consistenza nella dotazione organica della qualifica rivestita dal dipendente che chiede di trasferirsi presso un’altra amministrazione.

In tali casi, la mobilità volontaria resta subordinata all’ottenimento del nulla osta da parte dell’amministrazione di appartenenza. Ne consegue, tralasciando le altre fattispecie, che i dipendenti assunti da meno di 3 anni non possono trasferirsi in altre amministrazioni se non previo consenso del datore di lavoro pubblico; e, quindi, la mobilità risulta liberalizzata per i dipendenti con anzianità di servizio nell’amministrazione di appartenenza superiore a tre anni.

Su tale previsione normativa, si innestato le disposizioni dei commi 7-bis e 7 ter aggiunti in sede di conversione.

Leggiamo le norme.

7-bis.  All’articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

  • «Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano agli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100. Per gli enti locali con un numero di dipendenti compreso tra 101 e 250, la percentuale di cui al comma 1 è stabilita al 5 per cento; per gli enti locali con un numero di dipendenti non superiore a 500, la predetta percentuale è fissata al 10 per cento. La percentuale di cui al comma 1 è da considerare all’esito della mobilità e riferita alla dotazione organica dell’ente ».

7-ter. Per gli enti locali, in caso di prima assegnazione, la permanenza minima del personale è di cinque anni. In ogni caso, la cessione del personale può essere differita, a discrezione dell’amministrazione cedente, fino all’effettiva assunzione del personale assunto a copertura dei posti vacanti e comunque per un periodo non superiore a trenta giorni successivi a tale assunzione, ove sia ritenuto necessario il previo svolgimento di un periodo di affiancamento.

Le norme non brillano per chiarezza. Il primo periodo del nuovo comma 7 bis prevede che agli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato fino a 100 non si applicano le disposizioni di cui al comma 1dell’art. 30 del d.lgs. 165/2001. Ma, allora, qual’è la disciplina di riferimento per la mobilità volontaria del personale di tali enti locali? Non si tratta di una domanda retorica, in quanto in effetti è proprio il comma 1 dell’art. 30 del d.lgs. 165 del 2001 che contiene la disciplina generale della mobilità volontaria (passaggio diretto) dei dipendenti pubblici, per la quale in via generale oggi non è più previsto il nulla osta dell’amministrazione datrice di lavoro, salve le eccezioni già esaminate. Il comma 7-bis non si limita a dire che agli enti locali non si applicano le disposizioni sulla mobilità introdotte con il comma 7 dell’art. 3 del d.l. 80/2021, ma aggiunge il comma 1.1 all’art.30 del d.lgs. 165/2001 il quale prevede che “le disposizioni di cui al comma 1 ( TUTTE LE DISPOSIZIONI DEL COMMA 1, ERGO ANCHE QUELLE CHE PREVEDONO LA MOBILITA’!non si applicano agli enti locali” fino  100 dipendenti a tempo indeterminato. E’ evidente che l’intento del legislatore era di escludere l’applicazione a tali enti  del nuovo regime liberalizzato della mobilità volontaria; ma nei fatti la norma esclude l’applicazione agli enti locali più piccoli dell’intero comma 1 dell’art. 30 del d.lgs. 165 del 2001 .Quid iuris?

Per gli enti locali che hanno più di 100 dipendenti a tempo interminato, la norma non dispone l’esclusione dall’applicazione del comma 1 come novellato dal decreto legge 80/2021, ma interviene solo sull’eccezione di cui alla superiore lettera c). In buona sostanza,  il personale di tali enti locali può trasferirsi per mobilità volontaria senza richiedere il nulla osta del comune di appartenenza, fatte salve le eccezioni previste dal secondo periodo del comma 1 dell’art. 30.E, pertanto, il nulla osta è sempre necessario nell’ipotesi in cui il dipendente sia addetto a posizioni dichiarate infungibili oppure si tratti di personale assunto da meno di tre anni ( salvo quanto diremo fra poco). Per quanto riguarda l’altra fattispecie in cui è prevista l’eccezione alla regola della mobilità volontaria libera, la nuova norma distingue 3 classi di comuni in base alla consistenza del personale a tempo indeterminato:

  1. nel caso di comuni da 100 a 250 dipendenti, il nulla osta è necessario ove all’esito della mobilità si determini una carenza nella dotazione organica di personale della qualifica del soggetto richiedente superiore al 5%;
  2. nel caso di comuni da 251 a 500 dipendenti il nulla osta è necessario se la mobilità determini una carenza d’organico del 10%;
  3. nel caso di comuni con oltre 500 dipendenti si applica la regola generale della carenza superiore al 20% dei posti della dotazione organica nella qualifica posseduta dal dipendente che chiede il nulla osta.

Quindi, ferma restando la disciplina prevista per i profili dichiarati in via generale infungibili e per i casi di carenze d’organico superiori alle percentuali indicate, sembrerebbe di poter concludere che il nulla osta per la mobilità volontaria è sempre necessario anche nei comuni con oltre 100 dipendenti quando la richiesta di trasferimento è avanzata da un dipendente assunto da meno di tre anni.

Tale ultima previsione deve essere, tuttavia, coordinata con la disposizione introdotta dal comma 7-ter a mente del quale “per gli enti locali, in caso di prima assegnazione, la permanenza minima del personale è di cinque anni”. La norma sembra ricalcare la disposizione dell’art. 3, comma 5-septies del D.L. 90/2014, introdotta dal D.L. 4 del 2019, secondo la quale “i vincitori dei concorsi banditi dalle regioni  e  dagli enti locali, anche se sprovvisti di articolazione territoriale,  sono tenuti a permanere nella sede di prima destinazione  per  un  periodo non inferiore a cinque anni”. Entrambe le disposizioni normative prevedono un periodo di permanenza minima di 5 anni nell’ente locale da parte dei vincitori di concorso o di personale “di prima assegnazione”. Ora, se la disposizione del 2019 essendo riferita espressamente ai soli vincitori di concorso, rendeva comunque possibile la concessione del nulla osta al trasferimento di dipendenti assunti per mobilità entro i tre anni dall’assunzione, risultando invece liberalizzata -in base alle nuove norme- la mobilità di tali dipendenti una volta trascorso tale termine, la nuova previsione normativa di cui al comma 7-ter nella parte in cui fa riferimento alla “prima assegnazione” sembra rendere obbligatoria la permanenza nell’ente per cinque anni anche del personale assunto per mobilità e non solo per concorso. In tal senso, ad una prima lettura, sembra di poter affermare che la nuova previsione normativa abroga la precedente disposizione del 2019 in quanto interviene a disciplinare la medesima materia estendendo il campo di applicazione non solo ai vincitori di concorso ma a tutti i dipendenti comunque assunti e assegnati per la prima volta all’ente locale da cui intendono trasferirsi per mobilità volontaria. Con la conseguenza che, per il personale degli enti locali, la previsione del nulla osta alla mobilità in uscita per chi è assunto da meno di tre anni pare non poter trovare applicazione, in quanto il legislatore ha previsto una permanenza minimanell’ente di “assegnazione” di cinque anni, con la conseguenza che durante il primo quinquennio di assegnazione il dipendente non è legittimato a chiedere il nulla osta per il trasferimento in altro ente né l’amministrazione è, comunque, abilitata a rilasciarlo

La norma introduce, infine, la possibilità per l’amministrazione definita “cedente” ( ma il cedente nello schema della mobilità volontaria è il lavoratore, non il suo datore di lavoro) di differire la mobilità fino “all’effettiva assunzione” del personale che andrà a coprire il posto che rimane vacante a seguito del trasferimento, con la possibilità di allungare tale periodo fino a 30 giorni dall’assunzione del nuovo dipendente ove sia riconosciuto necessario un periodo di affiancamento.

. Si tratta di una netta inversione di rotta rispetto alla policy dello scorso mese di giugno. Resta l’incognita della disciplina applicabile negli enti locali fino a 100 dipendenti a tempo indeterminato.

 

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