06/11/2018 – Danno all’immagine per omessa timbratura del dipendente pubblico in base alla proporzione della violazione

Danno all’immagine per omessa timbratura del dipendente pubblico in base alla proporzione della violazione

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per l’Umbria, con la sentenza n. 76, del 9 ottobre 2018, ha fornito un interessante orientamento in merito al danno all’immagine, la cui quantificazione in via equitativa spetta al giudice contabile, nella pubblica amministrazione in caso di tenuità del fatto, da parte di un suo dipendente.
Il fatto
Con atto di citazione la Procura regionale ha chiamato in giudizio una dipendente per richiedere la condanna in favore del Comune dell’importo di oltre 20mila euro oltre la rivalutazione monetaria.
La dipendente impiegata in un ufficio del Comune, avrebbe falsamente attestato la propria presenza in servizio in quattro giorni tra le 17:00 e le 18:00.
Ciò sarebbe stato possibile in quanto l’Ufficio (si trattava dell’ufficio turismo del Comune) dove lavorava è separato dalla sede comunale (nella quale soltanto sono collocati gli appositi strumenti di rilevamento delle presenze), quindi i dipendenti assegnati al medesimo possono usare il badge solo per attestare l’ingresso in servizio e non invero l’uscita, essendo la sede centrale già chiusa alle 18;00.
Per tali ragioni organizzative, i dipendenti dell’Ufficio turismo attestano l’orario di uscita su modelli poi acquisiti al sistema di rilevazione automatico delle presenze.
La Procura regionale le ha contestato un danno patrimoniale pari a € 64,81, derivante dalla percezione indebita della retribuzione nei periodi per il quali è mancata la prestazione lavorativa.
In aggiunta ha chiesto la sua condanna al pagamento del danno all’immagine da liquidarsi equitativamente in € 20.000,00 ai sensi dell’art. 55-quater, comma 3-quater, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116, in attuazione dell’art. 17, comma 1, lett. s), L. 7 agosto 2015, n. 124.
La tesi difensiva della dipendente
La dipendente comunale ha contestato la fondatezza dell’atto di citazione deducendo che avrebbe sempre lavorato per tutto il giorno senza fruire di pausa pranzo, essendo oltretutto l’unica dipendente dell’Ufficio ad aver assicurato la propria disponibilità alla permanenza anche nel pomeriggio.
Circa i periodi di falsa attestazione della propria presenza in servizio, al termine della prestazione lavorativa giornaliera nei quattro giorni indicati, ha segnalato che, avendo compilato i moduli cartacei dopo svariati giorni, non avrebbe potuto ricordare con precisione l’orario di uscita. Ne ha dedotto la carenza di dolo e intenzionalità data l’impossibilità di rammentare, all’atto della compilazione, gli orari precisi di uscita effettiva. Sotto questo profilo ha sollecitato un’istruttoria presso il Comune, onde ottenere l’esibizione dei predetti moduli con l’indicazione della data di compilazione degli stessi.
Ha anche segnalato la tenuità dei fatti e l’esiguità del danno patrimoniale relativo alla retribuzione indebitamente percepita per le poche ore in contestazione (il suo stipendio mensile lordo era di € 1.679,00 e quello netto di € 1.300,00, con valore della retribuzione oraria pari rispettivamente ad € 10,76 lordi ed € 8,33 netti).
Dal punto di vista del quadro normativo su cui si basa l’accusa, la dipendente ha articolato alcune questioni di legittimità costituzionale della disposizione di cui si è detto; in particolare, per difetto di delega (art. 76 Cost.) trattandosi di previsioni di diritto sostanziale non aventi ad oggetto il procedimento disciplinare bensì quello contabile; ovvero per irragionevolezza (art. 3 Cost.) in quanto la norma equiparerebbe situazioni diverse meritevoli di trattamento eterogeneo e obbligherebbe alla irrogazione di sanzioni gravi anche in presenza di fattispecie tenui (come accade nel caso di specie).
Manifestando la propria disponibilità a risarcire il danno arrecato, circa la quantificazione del pregiudizio all’immagine ha rappresentato che la fattispecie concreta non sarebbe sussumibile all’interno delle previsioni dei commi 3-bis e 3-quater dell’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, non potendo affermarsi l’esistenza di un’ipotesi di flagranza, né di un accertamento della falsa attestazione attraverso strumenti di sorveglianza o di registrazione.
In via di mero subordine, ha chiesto la liquidazione del danno all’immagine nella misura minima di € 7.800,00 (€ 1.300,00 x 6).
La normativa di riferimento
L’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, è stato introdotto dall’art. 69, comma 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, nella formulazione in vigore al tempo dei fatti in questione, condotta accertata attraverso strumenti di sorveglianza e di registrazione.
Il comma 1-bis, del menzionato art. 55-quater, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116, quindi in vigore al tempo dei fatti contestati alla convenuta, prevede che “costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso”.
La condotta posta in essere dalla convenuta integra certamente la richiamata fattispecie che, allo stesso tempo, costituisce illecito penale, disciplinare e contabile.
Gli artt. 55-quater e 55-quinquiesD.Lgs. n. 165 del 2001 prevedono, inoltre, che la Procura regionale della Corte dei Conti debba perseguire i responsabili richiedendo la loro condanna al risarcimento sia del “danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione”, sia del danno all’immagine, la cui liquidazione è rimessa alla “valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione [fermo restando che] l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia”.
I dipendenti pubblici tenuti al rispetto di un orario di lavoro, in quanto la prestazione può essere svolta solo presso l’Ufficio pubblico, sono obbligati a prestarla secondo le modalità, le forme e i tempi stabiliti dal datore di lavoro pubblico, avendo l’utenza un vero e proprio diritto pubblico soggettivo all’esercizio del potere e al disbrigo delle pratiche di ufficio per tutto il periodo di apertura della Struttura.
Nel caso in esame, secondo la Procura contabile, la dipendente, invece, in violazione delle predette regole di condotta e degli obblighi di presenza in servizio, ha modificato l’orario di uscita, anticipandolo di un’ora rispetto a quello da lei dichiarato e attestato, disvelando una predeterminazione intenzionale.
L’analisi dei giudici contabili
I giudici contabili umbri osservano che al riguardo l’eccezione sollevata dalla dipendente relativa allo scollamento temporale tra il giorno dell’uscita e quello di sottoscrizione del relativo modulo cartaceo, non ha pregio atteso che la dipendente stessa ben conosceva la struttura e l’organizzazione comunale circa il rilevamento dell’orario di uscita dall’Ufficio e avrebbe dovuto annotare il momento esatto per poi riportarlo sul modulo oppure compilare immediatamente lo stesso al tempo dell’uscita per poi consegnarlo successivamente.
Per tali ragioni, la convenuta deve essere condannata al pagamento di € 64,81, pari alle retribuzioni indebitamente percepite in assenza di prestazione lavorativa.
Con riferimento al danno all’immagine, la Corte dei Conti rileva che sussistono nella fattispecie tutti gli elementi oggettivi, soggettivi e sociali della posta risarcitoria avendo avuto la vicenda risonanza nella stampa locale (puntualmente allegata da parte attrice).
Le nuove previsioni normative applicabili alla specie presentano, del resto, funzioni sanzionatorie e deterrenti onde rendere efficace il contrasto dei comportamenti assenteistici.
L’azione di responsabilità contabile intestata alla Procura regionale, ontologicamente compensativa subisce nell’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, comma 3-quater, ultima parte dell’ultimo periodo, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 116 del 2016, in attuazione dell’art. 17, comma 1, lett. s), L. 7 agosto 2015, n. 124, una evidente torsione sanzionatoria che non si presenta, sotto questo specifico profilo funzionale, costituzionalmente irragionevole in considerazione delle condotte che tende a contrastare.
Per quanto sopra, dalla documentazione versata in atti emerge che la dipendente ha posto in essere la condotta contestata dalla Procura regionale e, per tale ragione, deve essere condannata a risarcire al Comune, oltre al danno patrimoniale relativo alla retribuzione percepita in assenza di prestazione lavorativa, il pregiudizio all’immagine inferto all’Amministrazione locale.
La quantificazione del danno all’immagine rende tuttavia rilevante risolvere la questione di legittimità costituzionale della normativa introdotta dalla riforma del 2016 (di cui la Procura regionale ha invocato l’applicazione).
Il D.Lgs. 20 giugno 2016, n. 116, in attuazione della delega posta dalla L. 7 agosto 2015, n. 124, ha disciplinato, in caso di falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze (ipotesi che si ravvisa nel caso concreto essendo stata accertata la falsa attestazione attraverso i sistemi di sorveglianza predisposti dalle Forze dell’ordine), la procedura sanzionatoria etichettata in dottrina “licenziamento abbreviato o per direttissima” in virtù della quale il responsabile della Struttura in cui il dipendente lavora è tenuto a disporne immediatamente la sospensione cautelare dal servizio, provvedendo nel contempo alla contestazione per iscritto dell’addebito e alla convocazione del dipendente stesso presso l’Ufficio per i procedimenti disciplinari dal quale, previo contraddittorio ed esercizio del diritto di difesa procedimentale, sarà poi irrogato, in caso di fondatezza, il provvedimento sanzionatorio (licenziamento disciplinare).
Il comma 3-quater, poi, prevede che la Procura della Corte dei Conti sia tenuta a emettere l’invito a dedurre per danno all’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. Circa la quantificazione del pregiudizio all’immagine l’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, dispone che: “l’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia”.
La Corte dei Conti umbra evidenzia che non vi è alcun dubbio, quindi, circa l’applicabilità della norma censurata alla fattispecie controversa in quanto la falsa attestazione della presenza in servizio commessa dalla convenuta è stata accertata attraverso strumenti di sorveglianza e registrazione degli accessi e delle presenze.
Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità dell’art. 55-quaterD.Lgs. n. 165 del 2001, sollevate dalla difesa della convenuta, oltre ad essere rilevanti (dovendo il Collegio dare applicazione al caso di specie dell’art. 55-quater, comma 3-quater, ultima parte, D.Lgs. n. 165 del 2001), le motivazioni sono non manifestamente infondate.
La norma, pur rimettendo la determinazione del danno all’immagine alla valutazione equitativa del giudice, obbliga, in caso di fondatezza dell’azione risarcitoria pubblicistica esperita dalla Procura regionale, a condannare il convenuto nella misura minima non inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento.
L’obbligatorietà del minimo edittale sanzionatorio rende impossibile ogni adeguamento al caso concreto, precludendo l’operatività del principio di proporzionalità della sanzione che impone l’adeguamento della tipologia e consistenza della misura sanzionatoria al grado, natura e carattere della violazione riscontrata.
Nel caso concreto la Corte dei Conti, stante la fondatezza dell’azione e nonostante la tenuità del fatto e il carattere lieve delle violazioni riscontrate (pochissime ore di falsa attestazione in relazione a quattro giornate non reiterate), dovrebbe applicare il minimo sanzionatorio che appare, alla luce della fattispecie concreta, eccessivo, sproporzionato e irragionevole.
Le conclusioni
La Corte dei Conti dell’Umbria condanna la dipendente al pagamento, in favore del Comune, di € 64,81 (sessantaquattro/81) a titolo di danno patrimoniale da indebita percezione della retribuzione in assenza di prestazione lavorativa, unitamente agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria. Condanna, altresì, la dipendente a risarcire il Comune del danno all’immagine, riservando la quantificazione dell’importo di detta obbligazione e, di conseguenza, degli accessori dovuti sul medesimo, all’esito della definizione del processo costituzionale attivato con la presente sentenza non definitiva ordinanza.

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