tratto da quotidianopa.leggiditalia.it

Divieto di cumulo di funzioni e incarichi all’interno delle Commissioni di gara: deve prevalere l’approccio sostanziale

di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Un Comune ha indetto una gara mediante procedura aperta per l’affidamento del servizio di raccolta e gestione dei rifiuti solidi urbani nel territorio comunale. A tale scopo, venivano approvati il capitolato speciale d’appalto, il bando di gara, il disciplinare di gara nonché lo schema del contratto di appalto. Successivamente, la gestione della procedura è stata affidata alla Centrale Unica di Committenza (CUC), quale stazione appaltante per un raggruppamento di Comuni della zona.
L’atto di nomina della Commissione giudicatrice ha individuato, prima come componente e poi come presidente, il responsabile tecnico di uno dei Comuni associati, nonché responsabile della CUC. A seguito dei lavori, la Commissione escludeva una partecipante per non aver fornito i documenti richiesti in sede di soccorso istruttorio e predisponeva la graduatoria finale.
Il giudizio davanti al T.A.R.
La ditta esclusa ha impugnato davanti al T.A.R. il provvedimento di esclusione, lamentando più profili di illegittimità. In primo luogo, è stata rilevata l’incompatibilità ai sensi dell’art. 77, comma 4, D.Lgs. n. 50 del 2016 del presidente della Commissione, avendo approvato gli atti di gara e risposto alle domande degli operatori economici nella veste di responsabile della CUC.
Con gli altri motivi di doglianza, la ricorrente ha lamentato che l’omessa integrazione al soccorso istruttorio nel termine fissato era dovuta ad un malfunzionamento di una casella PEC, evidenziando anche che la richiesta integrativa non era dovuta in quanto la documentazione risultava completa. Infine, è stata contestato il bando nella parte in cui ha prescritto a pena di esclusione di indicare la tipologia e le caratteristiche dei mezzi che ciascun operatore economico avrebbe adoperato nell’esercizio dell’appalto.
Il Collegio di primo grado ha deciso per l’accoglimento del ricorso.
L’appello davanti al Consiglio di Stato
Incassata la soccombenza, il Comune ha deciso di presentare appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 5958 del 18 ottobre 2018 lo ha accolto.
Tra i diversi motivi di appello, è stata sollevata l’inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica al controinteressato, individuato nel presidente della Commissione di gara, che avrebbe interesse a contraddire nel giudizio in cui si discute della validità del suo provvedimento di nomina in quanto l’accertata incompatibilità potrebbe anche integrare il reato di cui all’art. 323 c.p. (abuso d’ufficio) e, comunque, comportare una responsabilità di carattere risarcitorio. Ma il Collegio d’appello ha ritenuto che la notifica del ricorso di primo grado sia avvenuta correttamente. Questo perché nel caso in cui insieme al provvedimento finale siano impugnati anche atti di natura endoprocedimentale la cui illegittimità si suppone riflessa sull’atto conclusivo, la sussistenza di eventuali controinteressati va verificata soltanto rispetto al provvedimento finale. E’ questo l’atto che produce effetti definitivi per il destinatario e perciò risulta idoneo a generare l’interesse del ricorrente alla sua contestazione, mentre per gli altri operatori l’interesse è nel senso della sua conservazione.
Il Collegio richiama anche altri casi sottoposti al vaglio della giurisprudenza, in cui insieme all’atto finale di aggiudicazione erano stati impugnati i verbali della Commissione giudicatrice che nominavano, oltre all’aggiudicatario, anche altri operatori economici. Nei confronti di questi ultimi è stata esclusa la veste di controinteressati per l’inidoneità degli atti endoprocedimentali ad attribuire una situazione di vantaggio definitiva. Questi atti, come non ledono in modo immediato e diretto il ricorrente, che difatti non può autonomamente impugnarli, così non producono in altri uno speculare interessa alla conservazione.
Pertanto, il provvedimento di nomina della Commissione, atto endoprocedimentale adottato dalla stazione appaltante nella procedura di gara, non produce effetti definitivi per gli operatori economici, né vantaggiosi né lesivi. A fare difetto è dunque l’onere di immediata impugnazione di tale atto, anche se dovessero emergere profili di illegittimità, che potranno essere fatti valere in sede di impugnazione del provvedimento conclusivo, e cioè l’atto di esclusione emesso nei confronti della domanda di partecipazione alla gara. Anche qui valgono i principi sopra esposti in linea generale: non potendosi riconoscere alcun vantaggio all’eliminazione di un atto di mero valore endoprocedimentale che non ha prodotto effetti nei riguardi dei terzi, nemmeno sussistono posizioni di controinteresse per mancanza di un interesse speculare alla conservazione del provvedimento.
Ipotesi di immediata lesività dell’atto di nomina della Commissione giudicatrice
La sentenza n. 5958 del 2018 rileva tuttavia che anche l’atto di nomina della Commissione possa assumere valenza di atto immediatamente lesivo. E’ il caso in cui l’atto di nomina sia impugnato da un aspirante alla nomina per contestare la scelta di altro commissario. In tale ipotesi la nomina non è mero presupposto dei successivi atti procedimentali, ma è immediatamente lesiva, e rispetto ad essa vanno verificati i contrapposti interessi alla conservazione (da parte di chi è stato nominato) e alla caducazione (da parte di chi non lo è stato).
Un caso di autonoma lesività dell’atto di nomina della Commissione è quello trattato dalla sentenza del Cons. di Stato n. 4793 del 2016. Il provvedimento di nomina era stato impugnato insieme all’aggiudicazione da uno degli operatori economici in gara, allo scopo di evidenziare la posizione di incompatibilità del presidente della Commissione in rapporto di parentela con una ex collaboratrice della società aggiudicataria. Nell’occasione venne riconosciuta l’efficacia immediatamente lesiva della nomina della Commissione, ammettendo l’autonoma impugnazione senza attendere o condizionare l’impugnazione all’esito dell’aggiudicazione dell’appalto. Coerentemente, il commissario della cui compatibilità si dubitava, veniva indicato come controinteressato nel giudizio.
Nel caso oggetto della sentenza n. 5958 del 2018, il Collegio ha invece ritenuto assente l’autonomia lesività della nomina, e di conseguenza è stata esclusa la qualità di litisconsorte necessario del presidente della Commissione in quanto controinteressato rispetto agli atti impugnati.
La questione della legittimazione a impugnare gli atti di gara da parte di un operatore escluso
Per tale questione, affrontata più volte dalla Giurisprudenza, l’orientamento prevalente è nel senso che il concorrente definitivamente escluso non è legittimato a ricorrere avverso gli atti di aggiudicazione conclusivi della procedura. Tale impostazione trova il conforto della Giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia Unione europea, sentenza 21 dicembre 2016, causa C-355-15).
La sentenza n. 5958 del 2018 chiarisce però che tale orientamento non vale nel caso in questione, poiché sono in contestazione non gli atti successivi all’esclusione, come l’aggiudicazione della procedura ad altro operatore economico, ma l’esclusione stessa e gli atti precedenti l’esclusione. Qui è più corretto richiamare – sostiene il Consiglio di Stato – il diverso orientamento, sempre di matrice europea, elaborato nella sentenza 10 maggio 2017, C-131/16 Archus, in cui in presenza di ricorso proposto da un’impresa contro la propria esclusione e l’aggiudicazione all’impresa concorrente, è stata riconosciuta la legittimazione ad impugnare anche l’aggiudicazione all’altra impresa perché non poteva considerarsi definitiva l’esclusione, dal momento che non era stata ancora confermata con sentenza passata in giudicato. Anche nel caso di cui alla sentenza n. 5958 del 2018 l’esclusione dell’operatore ricorrente dalla procedura non è definitivamente stabilita ed anzi è sub iudice. Ne consegue che ove fosse annullata egli rientrerebbe pienamente in gara e sarebbe legittimato all’impugnazione degli atti successivi, compresa l’aggiudicazione.
La valutazione del divieto di cumulo di incarichi
L’art. 77, comma 4, D.Lgs. n. 50 del 2016 vieta a coloro che hanno svolto altra funzione, incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto da affidare, di assumere il ruolo di commissari. La disposizione mira a garantire l’imparzialità dei componenti la Commissione giudicatrice al momento della valutazione delle offerte, preservando l’integrità del giudizio da possibili condizionamenti indotti dai precedenti interventi sulla gara, come la redazione del progetto o del bando di gara. Chiarita la ratio della disposizione, il Collegio d’appello ha ritenuto che nella sua applicazione vada escluso qualsiasi automatismo, e si debba valutare caso per caso se i pregressi incarichi possano condizionare le scelte da assumere in veste di componente della commissione. Nel caso concreto, tutti gli elaborati di gara, inclusi bando e disciplinare, nonché le risposte alle FAQ e ai quesiti degli operatori economici sono stati predisposti e redatti dal RUP e non dal presidente della Commissione nonché responsabile della CUC. Il responsabile comunale ha redatto gli atti e gli ha rimessi alla CUC per il solo inserimento di alcuni dati mancanti contrassegnati da “XXXX” per la loro pubblicazione. Dunque, il responsabile della CUC si è limitato ad interventi meramente formali, senza svolgere alcuna attività di valutazione e giudizio in relazione agli atti assunti.
In conclusione, il Collegio ha considerato che alla luce dei fatti, non c’è stato rischio di condizionamento. La modalità adottata è stata coerente con la scelta del Comune di avvalersi degli uffici della Centrale unica di committenza per lo svolgimento della procedura, con conseguente conservazione della responsabilità sul contenuto degli atti in capo ai tecnici del Comune che hanno provveduto alla loro predisposizione.

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