03/03/2018 – Pubblico impiego. Congedi per intemperie, una tempesta (di neve) in un bicchier d’acqua

Pubblico impiego. Congedi per intemperie, una tempesta (di neve) in un bicchier d’acqua

 
 
Ci sono sicuramente molte ragioni per esprimere critiche nei confronti di alcuni dipendenti pubblici (è giusto sottolineare alcuni, escludendo generalizzazioni).

I casi di vigili che si assentano in massa per le feste di capodanno, “coperti” da certificati di malattia di medici compiacenti (ma non condannabili), i troppi inaccettabili casi di dipendenti infedeli che fingono la presenza in ufficio mentre sono affaccendati in altro, i troppi scortesi o non del tutto efficienti esistono, sono gravi, costituiscono una lesione insanabile al bene comune dei cittadini e arrecano danni gravissimi all’erario, ad imprese e famiglie e all’immagine degli altri dipendenti pubblici.
La premessa era dovuta, per evidenziare che, tuttavia, non sempre articoli e reprimende nei confronti dei dipendenti pubblici, ma nel caso di specie la questione è particolarmente riferita ai dipendenti del comune di Roma, colgono nel segno. Anzi, talvolta rischiano, simili articoli, di apparire esclusivamente un tiro al piccione, la ricerca affannosa dello scoop populista, utile per vellicare l’indignazione, far vendere qualche copia in più e dare fastidio ad un’amministrazione locale non troppo gradita all’editore.
I toni tipo “sono tutti fannulloni e ladri” vanno benissimo per titoloni e comparsate televisive, ma è necessariamente meglio analizzare i fatti alla luce delle regole che li governano. Nel caso di specie, la rilevante assenza di dipendenti del comune di Roma causa neve, interessa guardare alla normativa contrattuale, per capire se e a che condizione risulti possibile un’assenza retribuita.
Prima, però, un flashback proprio sugli articoli di giornale volti a creare il “caso”. Il titolo de Il Giornale dell’1 marzo è esemplificativo della volontà di creare il casus belliad ogni costo: “Stipendio pieno agli assenti «Punito» chi è andato al lavoro”. L’idea che fornisce questo titolo è che gli assenti si sono assentati dal lavoro in modo ingiustificato e, quindi, lo “stipendio pieno loro spettante è qualcosa che somiglia a un furto, mentre chi è andato al lavoro sarebbe stato punito, specie se in relazione a chi ha preso lo stipendio rimanendo assente.
Ed ecco, ora, l’invettiva dell’articolo: “Nevica e rinunci ad andare al lavoro tanto arriveresti troppo tardi? Se sei un dipendente del Comune di Roma è un’ottima idea perché per i lavoratori della pubblica amministrazione sono previsti permessi straordinari anche per motivi personali o familiari. E che cosa c’è di più personale dell’impossibilità di andare al lavoro per non bagnarsi i piedi? Dunque meglio concedersi il lusso di restare a casa e mantenere la giornata di stipendio”.
Un momento. Ma, allora, le assenze sono o non sono in frode al comune di Roma? Perché se non sono ammesse assenze nel caso di nevicate, allora si tratta di una frode e, quindi, qualsiasi reprimenda dei dipendenti assenti è corretta ed occorre, anzi, agire senza pietà sul piano disciplinare. Ma se “sono previsti permessi straordinari anche per motivi personali o familiari” la questione è un’altra e si scompone così:
1)      chi si è assentato ha lecitamente fruito di questi permessi straordinari, sì o no?;
2)      se sì, in quanto appunto i permessi straordinari sono previsti per legge o per contratto, quale sarebbe, allora, la furbizia, esattamente, a meno di non provare che in effetti il singolo dipendente avrebbe potuto senza alcuna difficoltà “logistica” essere al lavoro?;
3)      sempre se sì, laddove non sia possibile dimostrare che i dipendenti assenti abbiano abusato di una possibilità stabilita da legge o contratto, l’unica lamentela possibile sarebbe inveire contro la legge o il contratto che consente ai lavoratori di avvalersi dei permessi straordinari.
Ma, proseguiamo nella lettura dell’articolo del Il Giornale: “c’è stato chi non si è fermato davanti alla neve. Impiegati fedeli che hanno deciso di sfidare le intemperie per recarsi comunque al lavoro”.
L’assunto, inaccettabile, è che i dipendenti assenti è che siano, al contrario di quelli recatisi in ufficio, “infedeli”.
L’infedeltà si ha quando in violazione di un dovere o di un’obbligazione si vìola con sotterfugi l’adempimento cui si è tenuti: è il caso dei furbetti del cartellino, infedeli perché truffano il datore di lavoro, assentandosi dal servizio, fingendo, per altro, la propria presenza.
Nel caso di specie, tuttavia, sentenziare che ogni dipendente assente sia “infedele” appare davvero solo urlo populista e poco altro.
Non è, infatti, negabile che a Roma abbia nevicato per davvero. E basta leggere le cronache di quanto accaduto il 26 febbraio per apprendere che treni sono stati cancellati o hanno subito ritardi enormi, bus e tram hanno avuto a loro volta cancellazioni di linee e ritardi vari, vi sono stati qui e lì incidenti e parecchi disagi e disgunzioni.
C’è da chiedersi se si ritenga che la neve sia selettiva ed in grado di riconoscere il dipendente pubblico dal privato, così che per il dipendente pubblico la nevicata lasci sempre le strade linde e percorribili, i treni funzionanti ed in orario, i bus perfettamente ligi alle tabelle di marcia ed i tram a spaccare il secondo alle fermate; mentre per i privati, invece, no, sicchè solo eventuali assenze per le conseguenze della nevicata nel privato (si ribadisce: “eventuali”, non si vuol supporre qui che vi siano state, né si intende trinciare alcun giudizio in merito) siano giustificate da una neve davvero neve.
Sembra di poter affermare che se un dipendente pubblico abbia trovato la strada impercorribile, o gli sia stata cancellata la corsa del mezzo di trasporto, cosa perfettamente possibile visto che appunto treni, tram e bus sono stati cancellati e strade-saponetta ci sono state, e quindi si sia assentato non lo abbia fatto per infedeltà.
Dovrebbero essere Il Giornale e il datore di lavoro, nel caso di specie il Comune di Roma, a verificare con elementi fondati se, invece, per gli assenti brillava il Sole.
Ma, continuiamo. Il vero nodo gordiano sta in queste considerazioni dell’articolista: “Ebbene quei dipendenti fedeli sono stati «premiati» dal Campidoglio che ai presenti ha dato l’ordine di servizio di uscire in anticipo con l’obbligo però di recuperare le ore perse nelle prossime settimane. Chiaro? Chi non è andato a lavorare per niente incasserà lo stipendio pieno pur avendo perso una giornata di lavoro. Chi è uscito per recarsi comunque al lavoro dovrà recuperare le ore perse oltretutto non per sua scelta ma per ordine del Comune”.
Un altro attimo. Prima si inveisce contro i dipendenti restati assenti, che però, si informa incidentalmente, lo potrebbero teoricamente fare perché esisterebbero norme che glielo consentono. Poi, però, nello stesso articolo, ci si stupisce che ore di lavoro non svolte debbano essere recuperate.
L’articolo commentato fa solo “colore” e populismo, come si nota, senza centrare il punto, ma ha dato l’avvio ad altre invettive. Raccolte su Il Messaggero del 2 marzo, con l’articolo “Neve a Roma, dipendenti capitolini in rivolta: «Gli assenti hanno diritto al congedo per eventi eccezionali»”, che centra meglio i termini della questione, ma non li approfondisce e lascia sempre la sensazione che dipendenti “infedeli” abbiano abusato di qualche privilegio.
Racconta l’articolo: “Dipendenti capitolini sul piede di guerra per la modalità di gestione delle assenze nella giornata di lunedì 26 febbraio, quando a causa della nevicata gran parte dei lavoratori non sono riusciti a raggiungere gli uffici. La decisione del Campidoglio di far giustificare le assenze con la fruizione del permesso retribuito o con ferie o recupero festività. In sostanza, sostengono i lavoratori, se la sindaca Virginia Raggi chiudendo le scuole ha riconosciuto l’eccezionalità dell’evento meteorologico, non si capisce perché i lavoratori che non sono riusciti a recarsi negli uffici capitolini debbano «pagare» di tasca propria l’assenza utilizzando un giorno di ferie o un permesso per motivi familiari”.
Scopriamo, allora, che il comune di Roma ha chiesto un titolo legittimo di copertura dell’assenza dei dipendenti:
1)                          a titolo di ferie, o festitività soppresse (che sostanzialmente sono la stessa cosa delle ferie) o di permesso retribuito, per i dipendenti assenti l’intera giornata;
2)                          a titolo di permesso orario retribuito, ma da recuperare, per i dipendenti che, presentatisi in ufficio, hanno ricevuto l’ordine di uscire prima del termine orario.
Infatti, come spiegato anche da Il Giornale, informa l’articolo de Il Messaggero che i dipendenti andati in ufficio “sono stati fatti uscire dagli uffici alle 15 con una direttiva del vicesindaco Luca Bergamo” e ora “«si trovano costretti anche a dover recuperare le ore non effettivamente svolte o a dover prestare la variazione della giornata cosiddetta lunga in altra giornata lavorativa a scelta»”.
L’articolo, infine, racconta che “Il segretario di Uil Fpl Roma e Lazio, Francesco Croce, ha diffidato l’amministrazione capitolina, chiedendo che «le assenze sia parziali che per l’intero orario di lavoro del servizio, del personale capitolino, verificatesi a causa del maltempo nella giornata del 26 febbraio vengano riconosciute come congedo orario per eventi eccezionali in coerenza con la prima disposizione emessa. Qualora l’amministrazione non ottemperi a quanto dettato da legge», Uil Fpl «sarà costretta, suo malgrado, ad adottare tutte le iniziative, vertenziali e pubbliche, ritenute idonee a tutela dei lavoratori interessati»”.
Ora, uscendo dal populismo e dalla presentazione dei dipendenti pubblici come brutti e cattivi, analizziamo in maniera tecnica e disincantata i fatti e le norme.
Prima considerazione: che possa essere il vice sindaco, organo politico, come tale non dotato di nessuna competenza in merito alla gestione del personale, spettante in via esclusiva alla dirigenza ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del d.lgs 165/2001, stupisce non poco. Quella “direttiva” non aveva alcun valore giuridico e avrebbero dovuto essere i datori di lavoro, cioè i dirigenti, a dare l’indicazione ai dipendenti di concludere anticipatamente l’attività lavorativa.
Seconda considerazione: i dipendenti che sono rimasti assenti non possono in quanto tali essere tacciati di infedeltà, perché effettivamente esistono norme ben precise che consentono di usufruire di titoli legittimi di assenza.
Terza considerazione: i dipendenti presenti in servizio, illegittimamente fatti uscire prima con un provvedimento o decisione di organo incompetente, non ha alcun senso siano considerati come dei truffati o vittime di soprusi. Non esiste, infatti, norma alcuna che consenta a dipendenti pubblici di effettuare un ridotto numero di ore rispetto al debito orario dovuto.
Per raccontare meglio e con maggiore cognizione di causa la vicenda, sarebbe bastato andare su Google e cercare le parole “congedo straordinario eventi naturali Aran2”. L’Aran è, come noto agli addetti ai lavori, l’agenzia nazionale per la contrattazione, che esprime orientamenti applicativi per la corretta attuazione delle disposizioni dei contratti collettivi di lavoro.
Quel giornalista, ma anche quel sindacalista o lavoratore, che volesse capire meglio i termini della questione, se avesse fatto quella semplice ricerca, si sarebbe imbattuto in questo orientamento applicativo dell’Aran, relativo al comparto Ministeri (non enti locali, al quale appartiene il comune di Roma):
“Orientamenti applicativi_M50
Qualora la prestazione lavorativa non può essere effettuata per cause derivanti da eventi naturali o per provvedimenti autoritativi che impongono la chiusura dell’ amministrazione, come viene considerata l’assenza del dipendente?
Nel caso in questione occorre fare riferimento al concetto di “forza maggiore” che non è imputabile né ai lavoratori né al datore di lavoro, con la conseguenza che quest’ultimo non è tenuto a corrispondere la retribuzione per le ore di mancata prestazione (art. 2099 del codice civile e Cass. Sez.Lavoro n. 481 del 1984).
Nulla vieta, però, che l’amministrazione possa decidere di corrispondere ugualmente la retribuzione per i giorni in cui si è verificata la situazione di forza maggiore, a condizione che il dipendente utilizzi, per motivare l’assenza, gli strumenti forniti dal CCNL, quali i permessi retribuiti, di cui all’ art. 18 del CCNL del 16 maggio 1995, come modificato dall’ art. 18 del CCNL del 12 giugno 2003 o i giorni di ferie oppure altre modalità di recupero delle ore non lavorate, che devono essere concordate con il dirigente. Tale ultimo istituto può essere utilizzato soprattutto per le giornate eccedenti i permessi retribuiti ex art. 18, o qualora gli stessi siano già stati fruiti. Al riguardo occorre rammentare che, a seguito del D.L. 112 del 2008 convertito nella legge 133 del 2008, tali permessi  sono quantificati in 18 ore annuali.
In proposito, il citato art. 18, comma 5 del CCNL del 12 giugno 2003 introduce la nozione dell’ “oggettiva impossibilità del raggiungimento della sede di servizio” in caso di calamità naturali, per la quale viene riconosciuta al dipendente la facoltà di utilizzare i permessi retribuiti. Al riguardo va anche precisato che la disposizione contrattuale non ricomprende tutte le possibili fattispecie esistenti, per cui si ritiene che la stessa possa essere comunque applicata, in via analogica, ad altre situazioni, nell’ambito dell’attività gestionale svolta dall’amministrazione.
In ogni caso, a prescindere dalle analogie esistenti, occorre rammentare che i suindicati permessi possono essere richiesti, in primo luogo, per motivi personali e che questi ultimi, in quanto tali, sono riconducibili ad un’ampia casistica, tra cui può essere ricompresa anche l’oggettiva impossibilità per il dipendente di raggiungere la sede di servizio”.
Ricapitolando, dunque:
a)                          nel caso di assenza per intera giornata o per frazione di giornata dovuta a forza maggiore, non vi è alcuna infedeltà: la forza maggiore costituisce causa non imputabile al debitore che non abbia potuto, per fatti non dipendenti da propria negligenza, adempiere (come prevede l’articolo 1218 del codice civile);
b)                          la “forza maggiore” si è avuta:
1.      in conseguenza dell’impropria direttiva del vice sindaco, che ha ingiunto ai dipendenti di concludere anzitempo la prestazione lavorativa (elemento che appare provato, stando alle cronache dei giornali);
2.      in conseguenza dei disagi nei trasporti cagionati dalla neve; in questo caso, fermo restando che non è possibile, né corretto, immaginare un’infedeltà per ogni dipendente assente, spetta al dipendente provare che la strada fosse impercorribile, oppure che i mezzi di trasporto non fossero fruibili, nel caso in cui abbiano fruito del permesso per ragioni personali/familiari; se abbiano chiesto ed ottenuto un giorno di ferie, nessuna responsabilità può essere loro addebitata: semmai, occorrerebbe verificare con quanta diligenza sia stato il datore di lavoro a concedere le ferie;
c)                          la contrattazione nazionale collettiva di lavoro del comparto enti locali in effetti consente appunto di assentarsi, usufruendo di permessi retribuiti: si tratta dell’articolo 19, comma 2, del Ccnl 5 luglio 1995: “A domanda del dipendente possono inoltre essere concessi, nell’anno, 3 giorni di permesso retribuito per particolari motivi personali o familiari documentati, compresa la nascita di figli”. Sempre l’Aran, con un orientamento applicativo questa volta riferito agli enti locali, così si è espressa per il caso della nevicata:

3.7 Ai fini della fruizione dei tre giorni di permesso retribuito previsti dall’art. 19, comma 2, del CCNL del 6.7.1995, può rappresentare una valida motivazione il verificarsi di una situazione occasionale che renda difficoltoso il raggiungimento della sede lavorativa (nevicata, sciopero dei mezzi pubblici)?

In materia, si ritiene utile precisare quanto segue:

1. data l’ampiezza e la genericità della previsione contrattuale “per particolari motivi personali o familiari”, si ritiene che nell’ambito della stessa possa essere ricondotta anche la situazione del dipendente che, in relazione alla sua particolare situazione soggettiva, possa trovarsi in una condizione di impossibilità a raggiungere la sede di lavoro (sciopero dei mezzi di trasporto; particolari situazioni metereologiche); tale possibilità è stata espressamente esplicitata nell’orientamento applicativo RAL 1211 già formulato in materia (consultabile sul sito www.aranagenzia.it, Comparto Regioni ed Autonomie Locali – Ferie e Festività);

2. in proposito, si ricorda che tale prassi applicativa era diffusa anche nel precedente regime pubblicistico relativamente modalità di possibile utilizzo dell’istituto del congedo straordinario (art.37 del DPR n.3/1957, che riconosceva a ciascun dipendente la possibilità di assentarsi a tale titolo per un massimo di 30 giorni annui retribuiti per intero);

3. la fruizione dei tre giorni di permesso retribuito è subordinata sempre alla valutazione del datore di lavoro pubblico in ordine alla insussistenza, nella giornata o nelle giornate a tal fine indicate dal dipendente, di eventuali ragioni organizzative od operative che ne impediscano la concessione;

4. infatti, nell’ambito della complessiva disciplina dell’istituto, il lavoratore non è titolare di un diritto soggettivo perfetto alla fruizione del permesso ed il datore di lavoro pubblico non è in nessun caso obbligato a concedere il permesso. Quest’ultimo, ben può, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, anche negare la fruizione dello stesso in presenza di ragioni organizzative e di servizio ritenute prevalenti rispetto all’interesse del lavoratore evidenziato nella domanda;

5. appare evidente, pertanto, che quanto più sarà motivata e giustificata la richiesta del dipendente tanto più sarà agevole la comparazione degli interessi contrapposti e la concessione del permesso;

6. conseguentemente, ove la richiesta non appaia del tutto motivata o adeguatamente giustificata, a seguito della comparazione degli interessi coinvolti di cui si è detto, il datore di lavoro potrà far valere la prevalenza delle esigenze di servizio, negando la concessione del permesso;

7. la domanda di fruizione del permesso, secondo le regole generali dovrebbe essere presentata con congruo anticipo rispetto al momento della fruizione;

8. tuttavia, in casi straordinari la domanda potrebbe essere presentata anche nella stessa giornata in cui il dipendente intende avvalersi del permesso; a tal fine l’ente, in un proprio regolamento “aziendale” di stampo privatistico, nel disciplinare gli adempimenti formali per la richiesta e la concessione dei permessi di cui si tratta, al fine di evitare applicazioni differenziate da parte dei diversi dirigenti dell’ente, potrebbe fornire anche indicazioni sulla casistica delle situazioni, di carattere eccezionale, che potrebbero legittimare la domanda del dipendente nella stessa giornata in cui intende fruire del permesso;

9. anche in questa specifica ipotesi, il datore di lavoro pubblico non può non procedere alla comparazione dell’interesse del dipendente con proprie esigenze organizzative, negando la fruizione del permesso retribuito, ove queste ultime debbano ritenersi prevalenti”.

d)                          il “congedo orario per eventi eccezionali” chiesto dal sindacato semplicemente non esiste: i dipendenti del comune di Roma che si sono presentati al lavoro si trovano di fronte a due alterantive:
1.      la prima consiste nell’accettare che il datore di lavoro ha esercitato legittimamente lo ius variandi organizzativo, impartendo loro la direttiva (sia pure proveniente da organo incompetente) ad interrompere il lavoro alle 15,00 a titolo di permesso breve, come tale obbligatoriamente da recuperare entro il mese successivo, ai sensi della normativa contrattuale;
2.      oppure, considerare che la causa di forza maggiore, come ricorda l’Aran, comporta la sospensione sia dell’obbligazione lavorativa del lavoratore, sia l’obbligazione del datore di pagare la retribuzione, a meno che la sospensione dell’attività lavorativa non sia imputabile al datore; e sulla base di questo assunto, rivendicare che il comune di Roma, con la direttiva del vice sindaco, è stato causa della forza maggiore da cui è derivato l’impedimento alla conclusione regolare dell’orario di lavoro e pretendere che non vi sia il recupero delle ore non svolte, a titolo di risarcimento del danno dovuto al fatto del creditore, che ha impedito al debitore di adempiere.
Questi sono i fatti, queste sono le norme. Il “colore” non c’entra nulla. Il comune di Roma ha il dovere di pretendere dai dipendenti che si sono assentati con i permessi consentiti dal contratto collettivo la prova dell’oggettiva impossibilità di raggiungere le sedi di lavoro; nulla può chiedere, invece, se abbia concesso ferie.
Il comune, ancora, deve chiarire a quale titolo abbia preteso che i dipendenti presenti, chiudessero le attività anzitempo.
Parlare di dipendenti infedeli o fedeli, nel caso di specie, significa solo sparare nel mucchio. Recriminare, poi, che la contrattazione collettiva consenta il privilegio di permessi personali che lo stesso datore di lavoro pubblico, rappresentato dall’Aran, considera esplicitamente fruibili esattamente per l’ipotesi di nevicata, può essere fondato, non si capisce, però, quanto utile.
Si può ulteriormente recriminare che nel privato avversità meteorologiche che impediscano, per fatto non imputabile né al datore, né al lavoratore, di espletare l’attività lavorativa di fatto consentano assenze non retribuite. Ma si può anche osservare che occorra valutare la questione caso per caso, azienda per azienda, contratto per contratto, perché anche il privato ha la possibilità di riconoscere al lavoratore un titolo giustificativo dell’assenza retribuita. Generalizzare ai fini della caccia allo scoop non è mai particolarmente interessante.
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