01/10/2017 – Nuovo contratto nazionale collettivo: auspici per una vera semplificazione – PRIMA PARTE

Nuovo contratto nazionale collettivo: auspici per una vera semplificazione – PRIMA PARTE

 
 
La riforma del lavoro pubblico attivata col d.lgs 75/2017 fornisce l’importante occasione di riattivare la contrattazione nazionale collettiva e, soprattutto, di rivederne profondamente i criteri per la costituzione e gestione dei fondi.
E’ noto quanto inaccettabilmente ampio sia il contenzioso maturato nel corso dei quasi 18 anni di piena applicazione della “privatizzazione del rapporto di lavoro”, dovuto, certo, a una tecnica contrattuale non sempre corretta da parte delle PA (complici richieste sindacali molto spesso al di là di ogni possibile vincolo normativo e di spesa, troppe volte assecondate senza tenere conto delle conseguenze, ma anche e soprattutto all’opacità totale delle regole di gestione.

La determinazione dell’ammontare dei fondi è un rompicapo irrisolvibile. Una serie di regole tra loro affastellate, che si inseguono e si richiamano confusamente, ha reso inestricabile il rebus operativo. Tanto che i gestori operativi dovrebbero trasformarsi in molossi, che prima di permettere la contrattazione debbono rideterminare totalmente gli ammontari, per evitare che a distanza di anni siano poi le ispezioni a provvedere, spesso, per altro, con modalità e conclusioni piuttosto discutibili e per questo fonte certa di contenziosi infiniti. Che, magari, poi sfociano in decreti urgenti, come il “salva Roma”, finalizzati a sanatorie, che alla fine, invece, non sanano assolutamente nulla e rendono ancora più complicata la gestione.
Si pensi alla fonte principale della confusione estrema alla base della determinazione dei fondi: il “monte salari”. Che vi sia tutti lo sanno, cosa sia nessun lo sa, parafrasando il Così fan tutte di Mozart. Il primo soggetto a non riuscire a definire in maniera chiara in cosa consista il monte salari è l’Aran. Si legga l’orientamento applicativo SEG 046 del 2016, ad esempio: “la nozione di “monte salari”, ampiamente diffusa nell’esperienza applicativa di tutti i comparti di contrattazione collettiva, come base di calcolo per la definizione delle risorse finanziarie disponibili per i rinnovi contrattuali, ricomprende tutte le somme corrisposte nell’anno di riferimento, determinate sulla base dei dati inviati da ciascun ente, ai sensi dell’art. 60 del D.Lgsn.165/2001, in sede di rilevazione dei dati per il conto annuale, e con riferimento ai compensi corrisposti al personale destinatario del CCNL in servizio in tale anno; tali somme ricomprendono quelle corrisposte a titolo di trattamento economico sia principale che accessorio, ivi comprese le incentivazioni, al netto degli oneri accessori a carico dell’ente e con esclusione degli emolumenti non correlati ad effettive prestazioni lavorative (assegni per il nucleo familiare, indennità di trasferimento, indennità di mensa, somme corrisposte a titolo di equo indennizzo, ecc.). Come evidenziato espressamente nella Dichiarazione congiunta n.1 allegata al CCNL del personale del Comparto Regioni-Autonomie Locali dell’11.4.2008, sono esclusi, altresì, gli emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti, ove corrisposti nell’anno di riferimento”.
Per cercare di definire l’istituto del monte salari, l’Aran ha speso 168 parole per 1.233 caratteri.
Peccato che nei contratti collettivi manchi totalmente una clausola che illustri in maniera condivisa e chiara il computo da compiere per determinare la base fondamentale del computo del salario.
Leggiamo, adesso, il nuovo comma 4-ter, dell’articolo 40 del d.ògs 165/2001, come novellato dalla riforma: “Al fine di semplificare la gestione amministrativa dei fondi destinati alla contrattazione integrativa e di consentirne un utilizzo più funzionale ad obiettivi di valorizzazione degli apporti del personale, nonché di miglioramento della produttività e della qualità dei servizi, la contrattazione collettiva nazionale provvede al riordino, alla razionalizzazione ed alla semplificazione delle discipline in materia di dotazione ed utilizzo dei fondi destinati alla contrattazione integrativa”.
Un primo auspicio, dunque, è che finalmente il concetto di “monte salari” trovi una disciplina consensuale tra le parti, che vincoli qualsiasi interprete, ispettore e giudice e risulti assolutamente chiara, blindata e priva di equivoci.
Allo scopo, sarebbe più che mai opportuno la produzione di un kit informatico, concordato tra Aran e sindacati, sulla scorta del kit prodotto unilateralmente dall’Aran qualche anno fa, per il computo e la destinazione del fondo.
Un secondo auspicio riguarda, a questo punto, la determinazione del fondo, di parte stabile e di parte variabile.
Sarebbe largamente opportuno chiudere per sempre i contenziosi, stabilendo consensualmente che i fondi:
a) sono consolidati nell’importo determinato nel 2004 a valere sul 2003, prevedendo che, qualora vi siano ispezioni con esito negativo e/o contenziosi in atto sul merito, si sia corso ad una sorta di “ravvedimento operoso”, che blocchi la prosecuzione delle procedure; insomma, una revisione delle maldestre sanatorie del “salva Roma” e della stessa riforma Madia, che metta a carico dei fondi la correzione dei surplus di spesa rispetto alla corretta costituzione dei fondi, ma a partire dalla prima produzione del kit Aran, cioè il 2014. Soltanto da quella data, infatti, si è consolidato e cristallizzato un metodo “certo” (per altro, non concordato con i sindacati) per determinare il fondo; per gli anni dal 2003 al 2013, non resterebbe che concordare una forfettizzazione. E’ ovvio che questo costituirebbe una deroga alle disposizioni normative vigenti, ma la riforma Madia ha attribuito ai contratti un rinnovato potere derogatorio, che potrebbe essere ben utilizzato allo scopo;
b) per la parte variabile, siano quantificati in modo estremamente semplice, evitando i barocchismi inaccettabili attualmente vigenti.
Andiamo, quindi, al terzo auspicio: la cancellazione del devastante articolo 15, commi 2 e 5, del Ccnl 1.4.1999.
Non può seguitare a produrre effetti una norma confusa, contraddittoria, imprecisa, al punto da aver determinato gran parte dei contenziosi che, a migliaia, sono sorti.
Occorre specificare con estrema chiarezza che la parte variabile è finanziata da:
  1. ciò che non è destinato proveniente dalla parte fissa;
  2. residui non utilizzati l’anno precedente (col divieto di utilizzarli per gli anni successivi);
  3. incrementi facoltativi, stabiliti discrezionalmente da ciascuna amministrazione, semplicemente da quantificare su una percentuale determinata della spesa corrente, posta come tetto massimo; nella sostanza si tratta di eliminare la deleteria previsione del comma 5 dell’articolo 15 ed ampliare, invece, gli effetti del più chiaro comma 2. Nel caso di incrementi della dotazione organica, è opportuno indicare che aumenta la parte stabile, per una percentuale da definire in rapporto al monte salari, da controllare sempre mediante kit vincolante per tutti, ispettori e giudici contabili compresi.
Andiamo al quarto auspicio, sempre relativo alla parte variabile del fondo. Come è noto, esiste un legame tra articolo 15, articolo 17, comma 2, lettere a) e h), nonché articolo 18 del Ccnl 1.4.1999.
Anche quest’ultima norma, in particolare, è oggetto di grandissima confusione e fonte di contenzioso. E’ intrisa, infatti, di presunte modalità operative ed applicative che, al contrario, danno spazio infinito alle interpretazioni più fantasiose e suggestive. Come, in particolare, la qualificazione necessaria degli “obiettivi sfidanti”, senza che possa esistere parametro certo e definito alcuno per stabilire quando, perché e sotto quale aspetto un obiettivo possa essere qualificato come “sfidante”, se non ai soli occhi del datore di lavoro. Oppure, la questione della “ripetibilità” degli obiettivi. O, ancora, la pretesa di connettere al risultato lo svolgimento di prestazioni “aggiuntive”.
Visioni del tutto erronee e fuorvianti, molto presenti nelle interpretazioni fornite dalla Corte dei conti, che a proposito dell’utilizzo del salario accessorio ha indicato, tra gli altri, questi criteri (Sezione regionale di controllo per il Veneto, parere 4 maggio 2016, n. 263):
  1. ai maggiori stanziamenti per il fondo siano accompagnati maggiori servizi;
  2. che i miglioramenti dei servizi non siano generici, ma che siano conseguiti risultati concreti;
  3. in conseguenza della seconda condizione, occorrono risultati verificabili attraverso standard, indicatori e/o attraverso i giudizi espressi dall’utenza;
  4. è necessario che si conseguano risultati “difficili” attraverso un ruolo attivo e determinante del personale interno.
Sono tutte indicazioni derivate dall’articolo 18 del Ccnl 1.4.1999, come modificato dal Ccnl 22.1.2004, ma erronee e fuorvianti.
Il nuovo Ccnl deve chiarire che la gestione per risultati ed i conseguenti premi non può essere concepita come realizzazione di servizi “maggiori”, con “prestazioni ulteriori” lavorative e gradi di difficoltà non parametrabili.
La gestione per risultati non chiede né servizi, né prestazioni aggiuntivi: impone che l’attività lavorativa, sempre la stessa, migliori nella sua qualità e sia orientata a garantire risultati utili per la popolazione amministrata.
La contrattazione farà bene a specificare con clausole semplici e dai contenuti simili a quanto evidenziato poco sopra in cosa consista il risultato. Questo consentirà di considerare normale ed accettabile la ripetizione di progetti miranti a risultati ripetitivi nel tempo, da prevedere, comunque, espressamente nel Ccnl.
Si può, a questo punto, formulare un quinto auspicio: il Ccnl prevda:
  1. l’espressa nullità di progetti basati esclusivamente sul computo delle ore prestate: quello è l’input, i progetti debbono indicare l’output, il risultato, per essere qualificati come tali;
  2. l’espressa nullità di ogni progetto che remuneri l’ora di lavoro svolta in misura superiore a quella prevista dalla contrattazione nazionale: ciò consentirà finalmente ai comuni di avere la forza per respingere i pericolosissimi progetti “obiettivo”, spesso presentati dalla polizia municipale, che pretendono di pagare prestazioni orarie “extra” con tariffe orarie elevatissime, in spregio alla previsione che l’importo della remunerazione è esclusiva spettanza della contrattazione collettiva nazionale ed è inderogabile.
Il sesto auspicio riguarda ancora l’incentivazione al risultato. La riforma Madia ha modificato il testo dell’articolo 40 del d.lgs 165/2001, in particolare nel seguente periodo: “la contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l’ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati ai sensi dell’articolo 45, comma 3”.
Occorre chiarire che le risorse destinate alla valorizzazione del risultato sono esclusivamente:
a) quelle stabili, non specificamente destinate ad altri istituti;
b) quelle di parte variabile, che per loro natura non possono che essere destinate in via esclusiva al premio per il risultato.
A ben vedere, in effetti, la disposizione della riforma Madia vista prima è inutile: per forza va destinata al risultato la quota prevalente delle risorse destinate ai trattamenti accessori. Va, infatti, destinata, allo scopo, l’intera quota disponibile, secondo quanto visto poco sopra alle lettere a) e b).
Semmai, questo l’auspicio, è opportuno che i contratti diano indicazioni sulla ripartizione della quota del salario accessorio destinata al risultato, tra premi individuali e premi collettivi per l’organizzazione, stabilendo, per esempio, che il primo debba essere finanziato con una certa percentuale (il 30%) minima del totale.
E’ conseguente il settimo auspicio: nella parte relativa alla definizione delle relazioni sindacali, il Ccnl chiarisca in modo inequivocabile che la relazione della contrattazione non è ammessa mai per:
  1. la determinazione delle risorse di parte variabile;
  2. la la loro destinazione, che è vincolata necessariamente al risultato;
  3. la ripartizione delle risorse tra risultato individuale e collettivo, che può essere solo oggetto di concertazione, poiché transita nel sistema di valutazione permanente;
  4. la definizione dei risultati e dei progetti connessi e del personale da coinvolgere.
In questo modo, si riuscirebbe a chiarire una volta e per sempre un ambito non ammesso alla contrattazione e renderla, finalmente, più spedita.
A proposito: è il caso, finalmente, di dare concreta attuazione alle previsioni dell’articolo 40 del Tupi, ai sensi del quale i contratti collettivi:
  1. prevedono le procedure negoziali;
  2. definiscono il termine delle sessioni negoziali (e alla scadenza e parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione);
  3. individuano un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l’amministrazione interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo.
Ne consegue l’ottavo auspicio: sia finalmente definita la procedura per la contrattazione, nei tempi e nelle modalità.
Si chiarisca che:
  1. la sessione negoziale deve attivarsi entro il mese di ottobre precedente l’anno di riferimento;
  2. la costituzione del fondo, elemento sempre rischiosissimo e foriero di problemi anche per effetto dei principi contabili, sia automaticamente determinata nella determinazione della consistenza del fondo prevista nel bilancio pluriennale, riferita all’anno di riferimento della contrattazione, in modo da evitare il problema (prevalentemente formale e burocratico) della mancata costituzione del fondo; con la precisazione che in corso d’anno esso possa essere modificato e rettificato col bilancio e successive variazioni necessarie;
  3. si inserisca un principio di decremento ed aumento automatico del fondo, connesso all’andamento del turn over;
  4. si precisi che il fondo è disposto in via esclusivamente unilaterale da parte dell’ente, che non confluisce nell’accordo contrattuale e che è messo solo in visione alle parti sindacali, precisando ancora che il fondo non può costituire allegato al contratto;
  5. la contrattazione si concluda obbligatoriamente entro il febbraio dell’anno di riferimento; in assenza, è attivabile l’atto unilaterale.
Il nono auspicio è che il Ccnl intervenga anche a chiarire quale sia l’oggetto del contratto collettivo decentrato: esclusivamente i criteri per destinare le risorse annualmente costituite, col divieto di determinare le somme ed individuare singolarmente dipendenti destinatari.
Il decimo auspicio è più complesso. Agendo sui contenuti del ccdi, la contrattazione collettiva deve dirimere alcuni dei problemi suscitati da discutibili rilievi in sede ispettiva, per altro molto sovente smentiti dal giudice del lavoro.

 

Dunque è necessario che il Ccnl chiarisca che il fondo va comunque necessariamente destinato in modo congruo agli opportuni istituti se sul piano organizzativo l’amministrazione abbia deciso di attivare strumenti organizzativi per turni o mediante reperibilità. Ancora, va determinata in un ammontare certo l’indennità di disagio. Va chiarita l’espressa possibilità di cumulare indennità di rischio e disagio in casi definiti dal Ccdi, permettendo il di cumulo di queste indennità con quella di vigilanza ed altre connesse al profilo professionale.
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