19/07/2016 – Comporta danno erariale l’incarico dell’Asl a soggetti esterni senza procedure comparative

Comporta danno erariale l’incarico dell’Asl a soggetti esterni senza procedure comparative
di Michele Nico – Dirigente amministrativo di ente locale

 

Con la sentenza del 4 luglio 2016 la Corte dei Conti, III Sezione giurisdizionale centrale d’appello, conferma la decisione di primo grado n. 2061 del 2012 della Sezione Campania e condanna il direttore generale di un’azienda sanitaria al pagamento di 50 mila euro per danno erariale, a causa dell’incarico dirigenziale conferito a un soggetto esterno, con contratto triennale, in assenza dei presupposti di legge.

A fondamento della pronuncia in commento il collegio ribadisce che “il concorso pubblico costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’Amministrazione”.

Si tratta di un principio che ammette deroghe solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, come evidenzia la disciplina posta dall’art. 7, D.Lgs. n. 165 del 2001 in tema di incarichi di collaborazione esterna da parte della Pa.

Il disposto delimita entro un ambito assai circoscritto la discrezionalità dell’ente pubblico in materia, dacché il conferimento dell’incarico a terzi può aver luogo esclusivamente in presenza dei seguenti presupposti:

a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e a obiettivi e progetti specifici e determinati;

b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

In aggiunta a ciò, il comma 6-bis della medesima norma stringe il cerchio disponendo che “le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.

Nell’ambito del giudizio in esame, la difesa del direttore generale chiamato al banco degli imputati sostiene che un siffatto impianto normativo non troverebbe applicazione in ambito sanitario, dato che quest’ultimo è regolato dal D.Lgs. n. 502 del 1992, il cui art. 15-septies, comma 2, nulla dispone circa l’obbligo di procedura comparativa per la fattispecie de qua.

La tesi viene confutata dai giudici, secondo i quali il silenzio della suddetta disposizione non può deporre a favore di una esenzione dall’obbligo di procedure selettive per gli incarichi esterni in ambito sanitario.

La sola eccezione ammessa al riguardo fa rinvio a una pacifica giurisprudenza contabile in materia, secondo cui l’incarico può essere conferito intuitu personae soltanto nei seguenti casi:

– procedura comparativa andata deserta;

– unicità della presentazione sotto il profilo soggettivo;

– assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o a un evento eccezionale, ove la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico” (deliberazione Sez. Contr. Lombardia n. 67/2012/IADC).

Proprio questa rigida griglia di requisiti induce la Sezione a ritenere illegittimo l’incarico dirigenziale conferito per via diretta nel caso in questione, sia per l’assenza di oggettive ragioni d’urgenza, sia la carenza di una comprovata esperienza e professionalità nel curriculum del consulente prescelto.

L’unico motivo di ricorso che la Corte accoglie riguarda la compensatio lucri cum damno, con l’effetto di una riduzione dell’importo del danno erariale, che permane però quantificato in un consistente importo anche per il fatto che il collegio non ravvisa i presupposti per l’esercizio del potere riduttivo di cui all’art. 52, R.D. n. 1214 del 1934.

Ancora una volta, dunque, viene posto in primo piano l’obbligo di procedure comparative per accedere alla Pubblica amministrazione, nel contesto di un quadro normativo fondato sulle seguenti disposizioni di principio:

1) l’art. 97 della Costituzione che sancisce l’obbligo di accedere agli impieghi nella Pa mediante concorso, salvo casi stabiliti dalla legge;

2) l’art. 35, D.Lgs. n. 165 del 2001, che prevede la pubblicità, la trasparenza e l’oggettività dei meccanismi di selezione quali principi essenziali delle procedure di reclutamento nella Pa;

3) artt. 2828-bis del testo unico sul pubblico impiego, riguardanti la nuova disciplina per l’accesso alla qualifica di dirigente di seconda e di prima fascia nella Pa.

In altre parole, l’obbligo di procedure selettive in materia è talmente radicato da prevalere anche negli ambiti della Pa ove la specifica disciplina di settore non evoca espressamente tale principio, che va pertanto rispettato quale regola generale, salvo eccezioni limitate e circoscritte.

Si consideri, per inciso, che l’obbligo di comparazione delle offerte non viene meno in presenza di incarichi conferiti a fronte di un corrispettivo esiguo, come la magistratura contabile ha più volte affermato.

A titolo esemplificativo, la Corte dei conti, sezione di controllo per il Piemonte, con la Delib. n. 98 del 2015 ha preso in esame l’affidamento in via diretta di un incarico di consulenza per un importo di 5000 euro (oltre contributi previdenziali, Iva ed eventuali rimborsi spese), finalizzato a supportare un ente pubblico in ordine alle decisioni da assumere per la gestione ottimale di una partecipazione societaria.

Tra i rilievi che il magistrato istruttore muove all’operato dell’ente sta il fatto che tale incarico, ancorché di importo esiguo, viene conferito senza la previa procedura comparativa prescritta dall’art. 7, comma 6-bis, D.Lgs. n. 165 del 2001, ai sensi del quale le amministrazioni “disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.

Ne consegue che non è legittimo il conferimento di incarichi esterni senza una procedura comparativa ancorché al di sotto di una predeterminata soglia monetaria, per cui il regolamento che preveda tale opzione deve essere disapplicato, fermo restando il dovere per l’ente di rimuovere la clausola contra legem.

Il giudizio della Sezione Piemonte considera inadeguate le giustificazioni fornite dall’ente in ordine all’affidamento diretto dell’incarico, e richiama la giurisprudenza contabile secondo cui “l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei requisiti di legge (…) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Corte dei conti, Sezione di contr. Lombardia, delibera n. 244/2008/PAR).

I magistrati rilevano che non risulta compatibile con il vigente quadro normativo la disciplina prevista dal regolamento dell’ente, secondo cui sarebbe possibile procedere ad affidamenti senza procedura di comparazione per incarico di esiguo importo (sotto i 5000 euro), con l’effetto che tale disposto deve essere puntualmente disapplicato, a fronte di quanto prevede l’art. 7, comma 6-bis, D.Lgs. n. 165 del 2001.

Il punto merita attenta considerazione, perché rispetto agli incarichi esterni i principi dell’agire amministrativo sono ormai ben chiari e delineati, con l’effetto che le condotte irregolari integrano inequivocabilmente una violazione dei doveri di servizio connotata da colpa grave, rilevante ai fini della responsabilità erariale.

Corte dei Conti, III sezione giurisdizionale centrale d’appello, 4 luglio 2016, n. 287

 

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