27/06/2016 – Cosa insegna il referendum del Regno Unito

Cosa insegna il referendum del Regno Unito

di Salvatore Sfrecola

 

Ancora una volta la democrazia sulle rive del Tamigi c’insegna qualcosa. Stavolta in tema di referendum, i cui risultati, analizzati come stanno facendo i tecnici della politica e della comunicazione, dimostrano molte cose che hanno un significato politico importante: un contrasto culturale e generazionale, i laureati ed i giovani votano prevalentemente per restare in Europa, come gli abitanti della Scozia e dell’Irlanda del nord, mentre gli anziani e gli abitanti delle piccole città e delle campagne hanno dato voti alla Brexit. Si dice che siano i nostalgici dell’Impero.

Il referendum, tuttavia, insegna altre cose alla democrazia. In primo luogo che il quesito referendario deve essere chiaro e facilmente percepibile dall’elettorato anche nelle sue conseguenze immediate ed in prospettiva. Altrimenti la chiamata referendaria è una truffa perché il popolo vota come indica chi propone il messaggio più accattivante indipendentemente dalla realtà delle cose. In sostanza se il messaggio non dà conto della realtà della scelta che propone il SI il NO vengono sottoscritti senza consapevolezza della scelta. E questo non è democrazia.

Si spiega, dunque, perché la Costituzione vigente, dopo aver previsto al primo comma dell’art. 75 la possibilità che sia indetto un referendum popolare “per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”, al comma successivo lo esclude “per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Le ragioni dell’esclusione delle leggi tributarie è evidente, sarebbero abrogate tutte. Le leggi di bilancio, “alle quali sono necessariamente connesse quelle in materia finanziaria” (Mortati), costituiscono il documento fondamentale sul quale si basa il funzionamento dello Stato. Inoltre il bilancio è “legge formale”, non ha carattere innovativo, limitandosi a recepire le prescrizioni contenute nelle leggi di spesa. Quanto all’amnistia e all’indulto si tratta di scelte politiche che attengono all’esercizio del potere punitivo dello Stato, essenziale al mantenimento dell’ordine pubblico. Ugualmente si comprende l’esclusione delle leggi che autorizzano la ratifica di trattati internazionali, documenti complessi, di elevato contenuto politico, che comportano scelte spesso oggetto di lunghe e complesse trattative che incidono su situazioni di carattere economico e commerciale e di sicurezza internazionale. Abrogare un testo complesso come un trattato internazionale, intorno al quale si articola tutto il sistema dei rapporti con gli altri stati è materia che appare incompatibile con una risposta secca, come prevista in un quesito referendario. Inoltre un trattato disciplina situazioni diverse. Un pacchetto che può essere in parte accettato, in parte respinto. S’intende che non è materia da rimettere alle decisioni del popolo che, come insegna la Confederazione Svizzera dove i referendum sono molto frequenti, deve essere chiamato ad una scelta non equivoca.

Concludendo, neppure in un referendum consultivo, come quello del 23 giugno nel Regno Unito, appare utile sperimentare il ricorso al voto popolare che nella stragrande maggioranza non è sorretto da una conoscenza compiuta del trattato e delle sue conseguenze. Il Regno Unito ne è la dimostrazione plastica. Non ha aderito alla moneta unica ed ha, proprio di recente, ottenuto da Bruxelles delle significative deroghe che hanno soddisfatto la sua antica volontà di stare a margine dell’Unione. In sostanza aveva ottenuto di godere dei vantaggi e di minimizzare i condizionamenti dovuti al mercato unico.

Questo non vuol dire che non sia autentico il disagio dei sudditi di Sua Maestà in un’Europa che stenta a realizzare quell’unione che le darebbe un ruolo determinante nelle politiche economiche e della sicurezza a fronte della globalizzazione dei mercati e delle crisi che insanguinano il mondo. L’Europa è una grande realtà, storica, culturale, economica, ma ha paura di esserlo e lascia ai governi nazionali, che si riuniscono nel Consiglio dei ministri, decisioni timide e più spesso contraddittorie per cui segna il passo.

È probabile che la brexit, che ritengo non si realizzerà, sia l’occasione per rivedere trattati e politiche, un campanello d’allarme che non sarebbe stato necessario se la classe dirigente europea fosse all’altezza del ruolo e di quanti la vollero a cominciare dal dopoguerra, da De Gasperi a Schuman, da Monnet ad Adenauer. I quali ebbero un sogno che non vogliamo sia interrotto.

26 giugno 2016

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