31/08/2015 – Garbuglio-mansioni nella riforma PA

Garbuglio-mansioni nella riforma PA

 

Funzionari al posto di dirigenti che non si sa presso quali amministrazioni presteranno lavoro e dirigenti che passano a funzionari, anche in questo caso in assenza di chiarezza su come e dove presteranno servizio.

La legge 124/2015, di delega per la riforma della PA, riesce in un colpo solo a creare enorme confusione sulla dirigenza pubblica, al punto da non riuscire a comprendere quali saranno le modalità per attivare il servizio dei funzionari destinati a diventare dirigenti ed i dirigenti demansionati a funzionari.

Il tutto è frutto di un’evidente confusione circa le mansioni. La legge è impostata in maniera molto evidente su un sistema di “porte flessibili” tra ruolo unico della dirigenza e qualifica di funzionario, necessaria per accedervi.

Infatti, con la regolazione dell’accesso tramite corso-concorso si prevede che l’accesso ai ruoli avvenga successivamente all’assunzione in qualità di funzionari; il sistema, invece, del demansionamento per i dirigenti, permette loro di essere “degradati” come funzionari. Un abbattimento oggettivamente confusionario, dunque, delle soglie che separano le carriere. Soglie, nel caso di specie, piuttosto forti e rilevanti, posto che la Corte costituzionale, con la celeberrima sentenza 37/2015 ha ribadito a chiarissime lettere che la carriera di funzionario e quella di dirigente è totalmente diversa, tanto che in via ordinaria ai funzionari non possono essere assegnati incarichi dirigenziali, nemmeno in applicazione dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 o di norme regolamentari a questo ispirate.

L’impostazione, dunque, della legge 124/2015 non può che essere complessa e di difficile coordinamento con i principi desunti dalla Costituzione. E’ uno dei non pochi passaggi, per altro, a forte rischio di incostituzionalità, anche se occorre necessariamente comprendere come le disposizioni in commento saranno attuate dai decreti legislativi attuativi.

Vincitori del corso-concorso o del concorso. L’articolo 11, comma 1, lettera c), numeri 1 e 2, della legge 124/2015 indica due sistemi per il reclutamento dei futuri dirigenti: il corso-concorso ed il concorso.

Nel caso del corso-concorso, chi lo supererà non verrà immediatamente inserito nei ruoli u unici: al contrario, sarà immesso in servizio come funzionario per tre anni, per accedere successivamente al ruolo unico della dirigenza, in base ad un provvedimento delle Commissioni nazionali previste dalla riforma adottato “sulla base della valutazione da parte dell’amministrazione presso la quale è stato attribuito l’incarico iniziale”.

Il problema consiste nel comprendere quale sarà l’amministrazione che avrà attribuito l’incarico iniziale, perché dal criterio di delega non è dato capirlo.

Il reclutamento immaginato dalla riforma attraverso il corso-concorso è parecchio strano. Nell’ordinamento attuale, se un funzionario pubblico partecipa ad un concorso per dirigente e lo vince, presta immediatamente servizio nei ruoli dell’amministrazione che ha indetto il concorso, lasciando l’amministrazione precedente.

Domani, un funzionario pubblico che superi il corso-concorso da dirigente, per tre anni resterebbe ancora funzionario, per tre anni, ma con un titolo diverso: per effetto del reclutamento come dirigente. Allora, dove presterebbe il proprio servizio da funzionario “aspirante dirigente”? Presso l’amministrazione con cui già conduceva il rapporto di lavoro o presso un’altra?

Il problema che si pone è di portata ancora più ampia ed investe la stessa struttura della nuova dirigenza pubblica, in quanto si tratta di capire quale sarà il datore di lavoro dei dirigenti pubblici.

Probabilmente, visto che i dirigenti condurranno con le amministrazioni solo il rapporto di servizio derivante dall’assegnazione degli incarichi periodici, il datore di lavoro saranno gli uffici che gestiranno i ruoli unici, sulla falsa riga di quanto avvenuto con l’Agenzia che gestiva il rapporto di lavoro dei segretari comunali.

Se così fosse, quindi, a seguito del superamento del corso-concorso, il funzionario sarebbe assunto dal gestore dei ruoli unici e, quindi, in ogni caso il proprio rapporto di lavoro cambierebbe titolarità.

Dovrebbe, di conseguenza, spettare al gestore dei ruoli (saranno le Commissioni chiamate a preselezionare i dirigenti da incaricare?) attivare, poi, il rapporto di servizio del funzionario vincitore del corso-concorso, immettendolo temporaneamente nei ruoli di qualche amministrazione, per fargli espletare il lavoro triennale, che preceda l’eventuale conferma in servizio.

Qui il problema si complica. Per l’amministrazione che riceva il funzionario vincitore del corso-concorso si tratterebbe di occupare a tempo determinato un posto da funzionario. In assenza di prospettiva certa di trasformare il rapporto in dirigente, risulterebbe quanto mai fastidioso vedersi calare dall’alto un funzionario che incrementi ed intasi la spesa di personale flessibile.

Quanto meno, le “missioni” dei funzionari vincitori del corso-concorso dovrebbero essere scomputate dai tetti alla spesa di personale.

E’ possibile che il soggetto gestore dei ruoli avvii i vincitori del corso-concorso verso l’ente che poi li incarichi come dirigenti? In linea logica apparirebbe corretto. Ma, vi sono almeno due problemi. Inizialmente, il vincitore del corso-concorso non coprirebbe il fabbisogno di dirigenti manifestato, perché per tre anni lavorerebbe come funzionario. In secondo luogo: se l’ente manifesta un fabbisogno di dirigenti, allora dovrebbe attivare la procedura ad evidenza pubblica per innescare le manifestazione di interesse dei vari dirigenti a candidarsi per essere incaricati: nulla, quindi, garantirebbe che il funzionario vincitore del corso-concorso possa restare presso l’ente verso il quale sia stato avviato dal soggetto gestore dei ruoli. Del resto, una volta confermato come dirigente, il vincitore del corso-concorso dovrebbe partecipare alle procedure pubbliche per ottenere gli incarichi dirigenziali esattamente come ogni altro dirigente.

Come si nota, il criterio di delega appare semplice e razionale, ma la sua concreta attuazione deve superare una quantità rilevante di problemi, che appaiono essere stati rilevati ed affrontati con estrema superficialità.

E per i vincitori del concorso? La norma parla di “assunzione a tempo determinato”, anche in questo caso senza specificare chi assuma. L’assunzione a tempo indeterminato giungerà previo nuovo esame di conferma: ma, è ovvio che se il vincitore del concorso non viene assunto a tempo determinato ed immediatamente immesso in servizio, sarà impossibile valutare il suo operato. Sicchè si ripropongono i temi visti prima: per i vincitori del concorso, almeno per la prima immissione in servizio, non varrà, dunque, il sistema degli interpelli e saranno immessi direttamente in servizio, senza l’operato delle Commissioni ai fini dell’incarico, presso gli enti che ne faranno richiesta? E saranno confermati presso questi stessi enti? In questo caso, allora, la loro permanenza in servizio presso un medesimo ente, senza partecipare alle procedure pubbliche selettive per gli incarichi, potrebbe durare molto oltre i 4 anni più 2, previsti per i dirigenti.

La confusione, come si nota, è davvero tanta, se non totale e si tratta di nodi complicatissimi che dovrà sciogliere il legislatore delegato.

Demansionamento. La lettera i) dell’articolo 11 demanda al legislatore delegato la possibilità di prevedere la “possibilità, per i dirigenti collocati in disponibilità, di formulare istanza di ricollocazione in qualità di funzionario, in deroga all’articolo 2103 del codice civile, nei ruoli delle pubbliche amministrazioni”.

La disposizione dovrebbe riguardare i dirigenti collocati in disponibilità nei ruoli unici a seguito di valutazione negativa, in quanto questi sono destinati a decadere dai ruoli stessi ed al conseguente licenziamento: la misura del demansionamento, proprio perché finalizzata alla “ricollocazione” dovrebbe considerarsi riferita quindi esclusivamente ai dirigenti in procinto di perdere il lavoro.

Anche in questo caso non è chiaro dove il dirigente demansionato potrà prestare servizio. In prima approssimazione si potrebbe essere portati a ritenere che detto dirigente potrebbe chiedere di continuare a prestare servizio presso il medesimo ente ove ha lavorato come dirigente, in coerenza appunto con l’istituto del demansionamento, che postula la continuità del lavoro col medesimo datore, ma ad un livello più basso.

A meglio leggere la previsione normativa, le cose non sembrano stiano così. La norma della lettera i) dispone: “previsione della possibilità, per i dirigenti collocati in disponibilità, di formulare istanza di ricollocazione in qualità di funzionario, in deroga all’articolo 2103 del codice civile, nei ruoli delle pubbliche amministrazioni”.

Come si nota, si parla espressamente di ricollocazione “nei ruoli” delle amministrazioni. Il chè è corretto: col demansionamento, l’interessato esce dal ruolo unico della dirigenza e passa alla qualifica di funzionario. Ma, per poter prestare attività lavorativa dovrà entrare in un ruolo, cioè essere assunto a tempo indeterminato da parte di qualche ente.

Manca del tutto, nella legge delega, l’indicazione del processo da seguire. Sarà il soggetto gestore del ruolo a svolgere la funzione di agenzia di ricollocazione, per provare a far assumere il dirigente demansionato? Non è nemmeno chiaro a chi il dirigente “decaduto” dovrà presentare l’istanza di demansionamento: pare di capire alle Commissioni, ma queste, però, dovrebbero interessarsi della sola gestione del ruolo.

Potrebbe darsi che, accolta – non si sa bene da chi – l’istanza di demansionamento, il dirigente decaduto allora transiti negli elenchi dei lavoratori in disponibilità di cui all’articolo 34 del d.lgs 165/2001, per essere ricollocato secondo quella disciplina. Ma, allora, la ricollocazione dovrebbe intervenire entro 24 mesi, altrimenti il rapporto di lavoro comunque si risolverebbe. Verrebbe a mancare, così, la stessa utilità del demansionamento, che consiste in un tentativo proprio di evitare la perdita del lavoro.

L’assenza di dettaglio lascia tutto nella più ampia incertezza e mette il decreto legislativo attuativo a rischio di illegittimità costituzionale, perché la delega appare oggettivamente “in bianco” troppo ampia e generica, tale da rendere molto facile il vizio di eccesso di delega.

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