29/03/2019 – Confisca “antimafia” tra definitività del trasferimento del bene allo Stato e diritti dei terzi

Confisca “antimafia” tra definitività del trasferimento del bene allo Stato e diritti dei terzi

di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

In sentenza il Consiglio di Stato è chiamato a soffermarsi (tra l’altro) sulla corretta esegesi dell’art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011(Codice Antimafia) il quale stabilisce: «Il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. In ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale. Se il tribunale non dispone la confisca, può applicare anche d’ufficio le misure di cui agli artt. 34 e 34-bisove ricorrano i presupposti ivi previsti».

Tre, sono, quindi, i soggetti destinatari della confisca:

a) la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento che non possa giustificare la legittima provenienza del bene confiscabile (tale ipotesi, ha come ovvio presupposto che il proposto sia il titolare del bene di cui, però, non possa giustificare la legittima provenienza);

b) la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento che risulti essere titolare, anche per interposta persona fisica o giuridica, del bene confiscabile di cui non possa giustificare la legittima provenienza (tale ipotesi, presuppone che il proposto sia il titolare del bene «per interposta persona fisica o giuridica»: quindi, la norma prende in considerazione l’ipotesi che il proposto abbia alienato il bene confiscabile intestandolo, in modo simulato, ad un terzo);

c) la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento che risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo del bene confiscabile di cui non possa giustificare la legittima provenienza; questa ipotesi si differenzia da quella precedente (ossia dalla simulazione), perché prevede una fattispecie del tutto peculiare (mera disponibilità del bene) che funge come una sorta di norma di chiusura dell’intero sistema volto a sottrarre i beni a soggetti pericolosi socialmente.

La giurisprudenza ha chiarito il concetto di «disponibilità» nei seguenti testuali termini: «in tema di misure di prevenzione patrimoniale, la “disponibilità” dei beni – che costituisce il presupposto per la confisca in capo alla persona pericolosa di quelli di cui si sospetta la provenienza illecita – non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto possa di fatto utilizzarli, anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne fosse il vero proprietario» (ex plurimis Cass. pen., n. 8922 del 2016 Rv. 266142; Cass. pen., n. 13193 del 2017).

E’ chiara, quindi, la ratio sottesa alla suddetta norma: il Legislatore ha inteso prendere in considerazione proprio le ipotesi più frequenti e, quindi, più pericolose, che si verificano quando il proposto, pur non apparendo mai nei vari passaggi di proprietà dei beni confiscabili, di fatto, li gestisca come un vero e proprio dominus (si tratta, come detto, di una vera e propria norma di chiusura con la quale si è inteso evitare un vuoto legislativo attraverso il quale il proposto avrebbe potuto eludere facilmente le rigide disposizioni dettate per la confisca) (Cass. pen., Sez. II, 27 marzo 2018, n. 14163).

Si è detto: «Considerato che in tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’onere di allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non può essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza della provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo invece, essere indicati gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attività illecita ovvero ricorrendo ad esborsi non sproporzionati rispetto alla capacità reddituale del proposto (Cass. pen., Sez. VI, 9 giugno 2015, n. 31751, Rv. 264461, Cass. pen., Sez. V, n. 20743 del 7 marzo 2014, Rv. 260402), non è, quindi, sufficiente allegare l’accensione di un mutuo per dimostrare la lecita provenienza della provvista necessaria a far fronte all’acquisto, occorrendo dimostrare la disponibilità di risorse sufficienti a sostenere il pagamento delle rate mensili, nella specie mancante.

Si è, infatti, affermato che la presunzione relativa di illecita accumulazione, fondata sulla sproporzione dei beni confiscati e sull’assenza di prova della loro legittima provenienza, opera anche nel caso in cui l’acquisto del bene confiscato sia avvenuto mediante ricorso al credito bancario, posto che tale finanziamento deve essere rimborsato ed ha un costo, sicchè è in relazione a tale onere finanziario che deve essere valutata l’eventuale incapienza di risorse lecite da parte del prevenuto e del suo nucleo familiare (Cass. pen., Sez. V, n. 33038 del 8 giugno 2017, terzi in proc. Valle, Rv. 271217)» (Cass. pen., Sez. VI, 14 maggio 2018, n. 21347).

Ed ancora: «in tema di confisca di prevenzione di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575art. 2-ter (attualmente D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159art. 24), la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche dei proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso (Cass. pen. Sez. U, n. 33451 del 29 maggio-29 luglio 2014, Repaci e altri, Rv. 260244; Cass. pen., Sez. V, n. 2671 del 12 dicembre 2006-25 gennaio 2007, Mallia Concetta e altro, Rv. 236312). Né rileva la circostanza che la posizione fiscale del ricorrente era stata regolarizzata attraverso l’accesso alla procedura di “condono”. Sul punto il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui è legittimo il provvedimento di confisca di beni del prevenuto che ne giustifichi il possesso dichiarando di averli acquistati con i proventi dell’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto; né assume rilievo, in proposito, la circostanza che a seguito del perfezionamento dell'”iter” amministrativo previsto dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413 (c.d. condono “tombale”) le somme di cui all’evasione fiscale siano entrate a far parte legittimamente dei patrimonio del prevenuto medesimo, dai momento che l’illiceità originaria del comportamento con cui se le è procurate continua a dispiegare i suoi effetti ai fini della confisca (Cass. pen. Sez. II, n. 2181 del 6 maggio – 26 maggio 1999, Sannino, Rv. 213853).

La regolarizzazione postuma della situazione fiscale non elide infatti la illiceità dei proventi da evasione che hanno composto l’asse patrimoniale del proposto ed hanno consentito, nel periodo storico durante ii quale erano disponibili, acquisti di beni che altrimenti non sarebbero stati effettuabili per carenza di risorse.

Deve pertanto essere ribadito che l’adesione al condono fiscale produce una regolarizzazione postuma della situazione tributaria che non incide sulla qualifica come “illeciti” dei proventi da evasione fiscale che contribuiscono a comporre l’asse patrimoniale del proposto nel periodo in cui si consuma l’evasione» (Cass. pen., Sez. II, 28 marzo 2018, n. 14346).

Ad ogni modo il mero status di evasore fiscale non è sufficiente ai fini del giudizio di pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca, considerato che i requisiti di stretta interpretazione necessari per l’assoggettabilità a tale misura sono indicati dal D.Lgs. n. 159 del 2011artt. 1 e 4, e concernono i soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi e che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, requisiti non automaticamente e necessariamente sovrapponibili all’evasore fiscale, in sè e per sè considerato (Cass. pen., Sez. V, 22 marzo 2018, n. 13438).

Orbene, si precisa poi nella sentenza in esame resa dal Consiglio di Stato come l’art. 28 del Codice Antimafia, che ha introdotto la “revocazione della confisca”, si ispiri al principio secondo cui una volta divenuto definitivo un provvedimento di confisca, eventuali diritti di coloro nei cui confronti è stata disposta o di terzi, non intaccano la definitività del trasferimento del bene allo Stato.

Cons. di Stato, Sez. III, 4 marzo 2019, n. 1499

Artt. 24 e 28D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (G.U. 28 settembre 2011, n. 226, S.O.)

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