12/12/2019 – Le verifiche per le mansioni superiori del dipendente pubblico

Le verifiche per le mansioni superiori del dipendente pubblico
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30580, del 22 novembre 2019, proposta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha accolto il ricorso ribadendo un consolidato concetto che consiste nel fatto che ai fini del riconoscimento delle mansioni superiori il dipendente pubblico deve dimostrare il superamento di tre distinte fasi di verifica e tra loro ben collegate.
Il caso
La Corte di Appello in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca al pagamento in favore di un proprio dipendente delle differenze retributive collegate all’avvenuto svolgimento di mansioni rientranti nell’Area B del CCNL Comparto delle Istituzioni di Alta Formazione e Specializzazione.
La Corte territoriale ha rilevato che dalla istruttoria era emerso che una dipendente dal periodo da gennaio 2002 a maggio 2005 aveva svolto compiti di segretaria del Direttore che si erano compendiati nel ricevere i docenti che le rappresentavano le ragioni per le quali avevano necessità di parlare con il Direttore, nel copiare “in bella le lettere redatte in brutta dal direttore” e nel curarne la spedizione; ha aggiunto che era anche emerso che utilizzava un p.c. “con la p.w. del direttore”.
La Corte territoriale ha ritenuto che tali mansioni erano inquadrabili in quelle proprie dell’Area B del CCNL Comparto delle Istituzioni di Alta Formazione e Specializzazione, ricomprendenti i compiti da svolgere sulla base di direttive assegnate e di procedure stabilite e, in particolare, nel l’ambito del profilo dell’assistente amministrativo; ha aggiunto che nell’Area B è ricompresa anche la figura della segretaria di azienda, alla quale ha ritenuto assimilabile quella di segretaria del Direttore del Conservatorio, rivestita dalla dipendente.
Avverso la sentenza il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ed un istituto di Conservatorio in cui la dipendente svolgeva le proprie mansioni hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
Cosa afferma in materia il T.U. impiego pubblico
L’art. 52 del T.U. impiego pubblico, relativamente alla parte che interessa il presente commento, afferma che “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’art. 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione.
1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell’attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l’accesso all’area superiore.
Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza (…).
5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave (….).”.
L’analisi della Cassazione
I soggetti ricorrenti (Ministero e Conservatoria) contestano la violazione e falsa applicazione dell’art. 52D.Lgs. n. 165 del 2001 e del CCNL relativo al Personale del Comparto di Alta Formazione e Specializzazione. In particolare affermano che ai sensi dell’art. 52D.Lgs. n. 165 del 2001, l’esercizio di mansioni superiori può venire in rilievo solo ove sia stato prevalente rispetto alle mansioni proprie del profilo di appartenenza, carattere che deducono non rinvenibile nelle mansioni svolte dalla dipendente; ritengono , inoltre, che la figura della “segretaria della Direzione del Conservatorio” non è contemplata dal CCNL di Comparto e che il possesso delle password del Direttore per l’accesso al sistema informatico e l’attività di ricevimento dei Docenti che attendevano di interloquire con il Direttore sono riconducibili alla qualifica ed al profilo propri della dipendente (collaboratore scolastico-coadiutore) e non alla qualifica e al profilo superiori rivendicati.
Per la Corte di Cassazione il motivo di ricorso è fondato.
Per i giudici di legittimità lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta, in forza del disposto dell’art. 52, comma 5, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore ove i compiti svolti siano stati svolti in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale e, dunque ove le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni.
I giudici di legittimità hanno da tempo affermato che il procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.
In particolare è stato precisato, osserva la Corte di Cassazione, che l’osservanza dell’anzidetto criterio “trifasico” non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, essendo sufficiente che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione trovi ingresso nel ragionamento decisorio.
Per la Corte di Cassazione , in particolare, la Corte territoriale non ha , tra l’altro, preso in esame le mansioni della qualifica di appartenenza della ricorrente, rapportandovi l’attività svolta, al fine di verificare la pertinenza o meno dell’attività svolta ai compiti della posizione superiore di cui era stata chiesta l’attribuzione e non ha dato conto delle caratteristiche professionali del profilo di “segretaria di azienda” come risultanti dalla contrattazione collettiva per riferirvi le mansioni svolte dalla lavoratrice e non ha indagato sulla prevalenza, dal punto di vista quantitativo, dei compiti assunti come svolti rispetto a quelli riferibili al livello ed alla qualifica superiori.
La Corte di Cassazione, in conclusione, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

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