tratto da leautonomie.it - a cura di Luigi Oliveri

 

Gli incentivi per le funzioni tecniche sono da pubblicare o no? L’Anac afferma di sì. Il garante della privacy, indirettamente, risponde di no.

Col Parere su istanza di accesso civico – 8 agosto 2025 [10169170] il Garante per la privacy nella sostanza esprime un’interpretazione diametralmente opposta a quella recentemente suggerita nel Parere anticorruzione del 23 luglio 2025 – Fasc.2764.2025.

E’ necessario riassumere i termini della questione, data la non perfetta sovrapponibilità delle due interpretazioni, nonostante riguardino esattamente la medesima fattispecie.

Secondo l’Anac occorre pubblicare in Amministrazione Trasparente (sottosezione di I° livello “Personale”, sottosezione di II° livello “Incarichi conferiti ed autorizzati ai dipendenti” è obbligatoria e include anche il nominativo del dipendente (dirigente e non dirigente”) in un elenco tutti gli incarichi conferiti o autorizzati a ciascun dipendente con indicazione del nominativo, dell’oggetto, della durata e relativo compenso (cfr. Delibere Anac n. 1047/2020 e n. 1310/2016 e relativo Allegato 1), ai sensi dell’articolo 18 del d.lgs 33/2013.

Invece, il Garante della privacy considera corretto negare l’accesso civico (e civico generalizzato) in risposta ad un’istanza avente a oggetto l’«elenco dei dipendenti con [l’]attribuzione della indennità incentivante disposta dal Codice degli appalti».

Mentre l’Anac fonda la propria teoria sul menzionato articolo 18 del d.lgs 33/2013, il Garante per la protezione dei dati personali non ne fa cenno.

Tuttavia, possiamo concludere con una certa sicurezza che entrambe le loro pronunce riguardano un elenco nel quale sono contenuti i nominativi dei dipendenti che abbiano ottenuto il compenso incentivante per funzioni tecniche, disciplinato dal codice dei contratti.

Sicchè, nella sostanza, risulta altrettanto innegabile che l’Anac abbia ritenuto tale elenco “accessibile”, in quanto da pubblicare obbligatoriamente; mentre il Garante abbia, al contrario, sostenuto che i dati in questione non siano accessibili: dal che si dovrebbe concludere, coerentemente, che essi non debbano essere pubblicati.

Fermiamoci momentaneamente, a questo punto, a ricordare gli istituti interessati alla trasparenza e cioè:

  • accesso civico (semplice o non qualificato): consiste nel diritto riconosciuto a chiunque di chiedere ad una PA di pubblicare documenti, dati o informazioni che la legge obblighi a pubblicare, la cui pubblicazione tuttavia sia stata omessa;
  • accesso civico generalizzato: consiste nel diritto di chiunque di accedere a dati e documenti ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

Sicchè, se un dato è oggetto di pubblicazione obbligatoria, per esso scatta l’accesso civico. Mentre, se non è soggetto a pubblicazione obbligatoria, può essere chiesto l’esercizio dell’accesso civico generalizzato o, in assenza di una chiara correlazione dell’accesso alle forme diffuse di controllo di cui parla il d.lgs 33/2023, l’accesso civico “documentale”.

Ecco, allora, reperito il punto comune tra le indicazioni di Anac e Garante: riguarda proprio la sussistenza o meno di obblighi di pubblicazione relativi gli incentivi per funzioni tecniche.

L’Anac, laddove ritiene obbligatorio pubblicare l’elenco di tutti gli incarichi conferiti o autorizzati a ciascun dipendente con indicazione del nominativo, dell’oggetto, della durata e relativo compenso, relativi alle funzioni tecniche, indirettamente afferma la soggezione di tali dati all’accesso civico.

Il Garante, invece, poiché ritiene che tale accesso civico non sia ammissibile nei confronti di una serie di dati sostanzialmente sovrapponibile a quella indicata dall’Anac, implicitamente afferma allora che essi, non potendo essere oggetto di accesso civico, non siano soggetti ad obblighi di pubblicazione: dunque, è da concludere per l’impossibilità di applicare l’articolo 18 del d.lgs 33/2013.

A ben vedere, il Garante indirettamente ritiene non possibile l’esercizio nemmeno dell’accesso civico generalizzato, visto che conclude il parere affermando: “Resta, in ogni caso, salva la possibilità per l’istante di proporre istanza di accesso ai dati personali ai sensi degli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990”.

Ricapitolando, ci si ritrova di fronte – e pur troppo è l’ennesima volta – ad una questione interpretativa di norme, risolta in modi radicalmente inconciliabili tra essi da due distinte autorità “competenti per materia”.

Mentre si scatena, quindi, il “dibattito” interpretativo, molto appassionante per gli “enti competenti” e la dottrina, purtroppo chi resta disarmato, oltre che, soprattutto, attonito, è l’operatore concreto. Simili diatribe creano ovviamente disorientamento, se non panico, nelle PA che svolgono la tanto necessaria, quanto da troppo tempo reietta funzione di amministrazione attiva – sempre ritenuta vassalla, se non serva, della programmazione e del controllo, anche se è l’amministrazione attiva che genera “valore” per stare a recenti slogan – visto che letteralmente ogni comportamento ed ogni provvedimento rischia di essere oggetto di censure: dell’Anac se i dati relativi agli incentivi per le funzioni tecniche non sono pubblicati; del Garante, se detti dati sono oggetto di pubblicazione ed ostensione non sorretta dagli interessi specifici propri dell’accesso documentale.

Che fare, allora? Ecco: questo è il tipo di domanda che l’amministrazione attiva non dovrebbe mai essere messa in condizione di porsi.

Poiché l’azione dell’amministrazione attiva deve essere necessariamente vincolata al perseguimento del bene pubblico e visto che spetta solo al Legislatore il compito di stabilire quali siano gli interessi generali da perseguire, regolandoli in modo generale ed astratto con legge, anche per impedire all’amministrazione di abusare dei poteri pubblici, dovrebbe essere sempre la legge a fissare precetti, procedure ed obiettivi chiari, così da orientare le decisioni e vincolare le azioni della PA.

Come rilevato prima, invece, troppe volte si assiste all’insorgere di contrasti insanabili dovuti ad interpretazioni di norme, che letteralmente passano con disinvoltura incredibile dal bianco al nero, spesso a seconda del “bene” che una certa autorità ritenga di dover garantire.

Nel caso di specie, l’Anac sentendosi vocata alla difesa del “Foia” e della trasparenza ad ogni costo, si esprime nel senso della più ampia accessibilità agli incentivi; il Garante, chiamato invece appunto a garantire la riservatezza, legge le regole alla luce della prudenza e del rispetto degli strumenti necessari a scongiurare divulgazione di dati oltre misura.

In mezzo, dovrebbe esservi proprio il Legislatore: dovrebbe svolgere una sana funzione di prevenzione, intanto scrivendo le norme in modo chiaro e tale da non suscitare tali contrasti. Ma, purtroppo, proprio il rapporto tra trasparenza e riservatezza è trattato dalle leggi che li riguardano in maniera caotico e realmente conflittuale, per la semplice triste realtà che i soggetti autori delle leggi sulla trasparenza non hanno scritto rapportando per nulla con i formulatori delle norme sulla riservatezza e viceversa. Le norme sono scritte per compartimenti stagni, sicchè risulta impresa difficilissima trovare un punto di incontro e di compensazione.

Oltre tutto, gli operatori sono presi tra due fuochi: l’Anac, usa ad intervenire durissimamente con pesantissime e diffuse sanzioni amministrativi, laddove ravvisi la violazione ad i precetti normativi come essa li interpreta; il Garante, che applica a sua volta sanzioni che hanno, però, anche risvolti anche più gravi, perché di tipo penale.

Il Legislatore, allora, dovrebbe agire quanto meno in termini rapidissimi in via successiva, correggendo le norme, armonizzandole e rendendole coerenti, così da risolvere la diatriba in un modo o nell’altro.

Purtroppo, altro aspetto da tempo noto è l’estrema lentezza con la quale il Parlamento interviene in questi casi; anzi, molto spesso il Parlamento non interviene per nulla, lasciando che le lacerazioni tra autorità, enti e giudici si cancrenizzino.

In merito alla pubblicazione e, dunque, accesso, agli incentivi siamo già a questo punto. E adesso, operatori ed interpreti seguiranno verosimilmente logiche applicative che nulla hanno a che vedere con criteri ermeneutici.

Per un verso, si scatenerà la gara a “chi sia più autorevole”: Anac, o Garante? Le tifoserie decideranno se pubblicare gli atti in relazione alla bandiera.

Per altro verso, l’attuazione potrebbe essere influenzata dalla cosiddetta amministrazione “difensiva”: si dà retta al parere che meglio dell’altro tutela da possibili responsabilità.

Nella realtà, l’amministrazione attiva, quella che rende servizi ai cittadini, quella utile e necessaria, finirà comunque per assumersi i propri rischi, come sempre fa, a disdoro delle amministrazioni di programmazione e controllo, i cui pareri, i cui interventi sono generalmente a rischio zero, perché esenti da responsabilità.

Sta di fatto, tuttavia, che occorrerebbe applicare la legge per quel che afferma e non per quel che il ruolo o le convinzioni indurrebbero a volere che affermi, dando privilegio non all’utilitarismo o alla autorevolezza, bensì alla sostanza della norma.

Ora, l’articolo 18, comma 1, del d.lgs 33/2013 deve essere letto necessariamente in combinazione con l’articolo 53 del d.lgs 165/2001. Gli “incarichi” di cui parla non sono quelli connessi allo svolgimento delle obbligazioni lavorative discendenti dal rapporto di lavoro, ma quelli estranei agli obblighi di lavoro e, per questo, “autorizzati” o, se “conferiti” dall’amministrazione di appartenenza, riguardanti attività non rientranti nella normale ed ordinaria esplicazione delle mansioni del profilo lavorativo di appartenenza. Altrimenti, qualsiasi “incarico” che il datore conferisca al proprio dipendente nell’esercizio dello jus variandi, se accompagnato da una qualsiasi indennità, dovrebbe essere oggetto della pubblicazione prevista dall’articolo 18 del d.lgs 33/2013.

Ma, le cose stanno diversamente e lo spiega molto bene il parere del Garante, quando afferma che le somme assegnate come incentivi per funzioni tecniche “come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, hanno «natura retributiva» (cfr. Corte di Cassazione, sez. civ. sentt. nn. 10222/2020, 21398/2019, 8522/2015, 19328/2012, 8344/2011, 17536/2010)”.

Ma, se hanno natura “retributiva” non sono un compenso per un incarico non attinente i doveri d’ufficio, bensì costituiscono il sinallagma contrattuale dell’ordinario rapporto di lavoro!

Infatti, il parere subito dopo sancisce: “La disciplina statale in materia di trasparenza, non prevede obblighi di pubblicazione in generale delle retribuzioni, attività e ruoli svolti da tutti i dipendenti pubblici, ma solo per soggetti che ricoprono specifici incarichi, quali ad esempio gli organi di vertice, i dirigenti, i consulenti, i collaboratori secondo quanto previsto dagli artt. 14 e 15 del d. lgs. n. 33/2013. Per tali soggetti sussiste una specifica disciplina di settore che prevede specifici oneri di trasparenza fra cui la pubblicità dei relativi compensi connessi all’assunzione della carica e agli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica, con la conseguenza che per questi dati non è possibile richiamare alcun motivo di protezione dei dati personali”.

Pur non citando mai l’articolo 18 del d.lgs 33/2013, nella sostanza il Garante spiega che le retribuzioni connesse allo svolgimento dell’attività lavorativa ordinaria dei dipendenti non è soggetta ad alcun obbligo di pubblicazione, compresi quindi gli incentivi per le funzioni tecniche.

Il Garante, ancora, ricorda come “questa Autorità si è già espressa con ampiezza di argomentazioni in numerosi casi sull’accesso civico ad attività lavorative, retribuzioni, buste paga, cedolini dello stipendio, tipologia contrattuale, costo ore lavorate, straordinari, valutazioni, progressioni economiche, ecc., ritenendo sussistere il limite previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d. lgs. n. 33/2013”.

Alla luce di queste corrette e condivisibili analisi, il parere spiega perché i dati sulla corresponsione degli incentivi per funzioni tecniche non sono oggetto di accesso civico e, dunque, non vanno pubblicati. Il Garante spiega che la PA in esame ha “correttamente respinto l’accesso civico ai dati richiesti, che contengono dettagli relativi alle attività lavorative esercitate (come la partecipazione a procedure di appalto) e alla retribuzione ricevuta, indicativa peraltro anche situazione economico-patrimoniale dei dipendenti. La relativa ostensione infatti – tenendo conto della tipologia dei dati e delle informazioni personali ivi contenuti nonché del particolare regime di pubblicità dei dati oggetto di accesso civico – determina un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà dei dipendenti controinteressati, i quali potrebbero subire ripercussioni negative sul piano professionale, sociale e relazionale, esponendoli a possibili difficoltà relazionali con i colleghi di lavoro e creando ingiustificati pregiudizi da parte di terzi esterni all’ambiente lavorativo”.

Queste indicazioni stanno su un piano più alto di valutazioni sul “peso” dell’autorevolezza di Anac o Garante: sono frutto di un’analisi giuridica approfondita e seria e soprattutto non condizionata da pregiudizi connessi al ruolo di “difesa” di un certo tipo di visione del bene pubblico.

Sicchè, non si può fare a meno di ritenere che sia il Garante ad aver colto nel segno, mentre l’Anac ha proposto una lettura erronea e da respingere.

Tuttavia: proprio per le dinamiche sintetizzate sopra, sarebbe meglio che, almeno nelle more dell’auspicato intervento risolutivo del Legislatore, i tanti, troppi, variegati e talora anche improvvisati “parerifici” che dalle loro torri d’avorio e corroborati dall’assenza di alcuna responsabilità connessa alla loro azione, prima di esprimere appunto “pareri” al volgo dell’amministrazione attiva, quanto meno si parlino. Che finalmente i parerifici, finalmente, prima di obbedire alla compulsione del parere, direttiva, circolare, Faq, linee guida o che altro, si riuniscano, affrontino i temi, ciascuno dal proprio punto di vista, li compongano e diano una visione unitaria. E’ vero che sono entità autonome, talora persino “indipendenti”: ma pare cosa fin troppo seria e delicata concertare avvisi comuni si materie trasversalmente inerenti i loro mandati, per scongiurare i contrasti interpretativi, ma soprattutto applicativi, come quelli che da giorni mettono in ambasce – senza nessuna utilità evidente – le amministrazioni pubbliche, sul tema degli incentivi per le funzioni tecniche.

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