Tratto da leautomie.it a cura di Matteo Barbero e di Luigi Oliveri

Chissà cosa hanno capito della vicenda dei tagli, veri o presunti, ai fondi per le manutenzioni stradali i tanti cittadini che quotidianamente cercano di dribblare le buche sulle provinciali?

Quasi certamente poco, perché, come sempre, si è giocato allo scaricabarile. La vicenda riguarda i programmi straordinari di manutenzione della rete viaria di province e città metropolitane per i quali la legge 27 dicembre 2017, n. 205, all’articolo 1, comma 1076, ha previsto lo stanziamento di 275 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034.

Quindi (elemento importante) la legge è del 2017 ma ha stanziato i fondi a partire dal 2025. Successivamente, dapprima la legge 30 dicembre 2024, n. 207 ha operato una riduzione delle originarie risorse corrispondente rispettivamente a 20 milioni per l’anno 2025, 15 milioni per l’anno 2026, e 275 milioni per l’anno 2029; poi con legge 21 febbraio 2025, n. 15, di conversione del decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202, è stata apportata un’ulteriore riduzione delle risorse originariamente previste, pari a 175 milioni per l’anno 2025 e 175 milioni per l’anno 2026.

Non c’è dubbio, quindi, che si tratti di un taglio, anche se fa specie che nessuno se ne sia accorto prima che il Ministero competente prendesse carta e penna per scrivere che, come ovvio, è necessario soprassedere dall’assunzione di impegni che non trovano copertura nelle risorse attualmente disponibili.

Solo a quel punto, pochi giorni fa, si è scatenata la bagarre politica, con gli amministratori locali a lamentare giustamente l’insostenibilità e anche, si potrebbe aggiungere, come già evidenziato, l’intempestività di una misura che colpisce risorse previste 8 anni prima e per di più inserite in una programmazione pluriennale ormai definita.

La levata di scudi (con tanto di coda polemica legata alla presunta destinazione delle somme tagliate a finanziare la costruzione del Ponte sullo Stretto) ha portato il Mit prima a negare l’evidenza – parlando non di taglio ma, in modo criptico, di “diversa modalità di rendicontazione della spesa” – poi a puntare il dito contro i tecnici e contro gli enti, rei a suo dire di avere una ridottissima capacità di spesa, infine a fare una mezza marcia indietro che, stando a quanto emerso dall’incontro fra lo stesso Dicastero e i rappresentanti degli enti, a prevedere una clausola di salvaguardia per le obbligazioni giuridicamente vincolanti già assunte.

Anche questa, però, pare una mezza ciofeca: se, come detto, le risorse sono state stanziate per gli anni 2025-2029 non è detto (e neppure era richiesto) che esse fossero già impegnate in questa fase.

Almeno in questo caso, quindi, sostenere che gli enti non sono in grado di “spendere” le risorse è fuorviante: tutti gli interventi hanno dovuto essere approvati da Roma e solo dopo questo placet sono diventate impegnabili. Per cui un basso livello di impegni rispetti agli stanziamenti non è sempre e necessariamente sintomo di incapacità di spesa. Ancora meno, ovviamente, contano i pagamenti, che vengono a valle degli impegni.

Ricapitolando quindi: il taglio era ed è un taglio a tutti gli effetti, è un taglio insostenibile e intempestivo e nulla ha a che fare con le velocità o le modalità di rendicontazione della spesa. Poco interessa se i fondi siano stati dirottati al Ponte o ad altro, ciò che conta è che non sono più disponibili per tappare le buche che tormentano gli ignari cittadini. 


La vicenda descritta da Matteo Barbero va oltre il grottesco e gli schemi della commedia dell’arte, così spesso caratterizzanti le modalità con le quale si decidono norme e spese.

Basta riavvolgere il nastro e tornare indietro nel tempo, di 11 anni, per capire da dove arrivano le buche, le strade provinciali impraticabili, i fondi insufficienti a manutenerle.

Per chi non ricorda subito, ricordiamo che nel 2014 si succedettero i governi Letta e Renzi, che ebbero come fattore comune Delrio, ex presidente Anci, nella funzione di Ministro. E si deve a Delrio una delle riforme più assurde, inefficienti, senza senso, devastanti e deleterie per l’organizzazione pubblica ed i servizi ai cittadini mai vista nella storia d’Italia: l’esiziale “legge Delrio”, sulla riforma delle province.

Un disastro normativo, organizzativo e finanziario, fonte di un caos spaventoso per anni. Basti ricordare solo il blocco forzato biennale delle assunzioni (tra 2015 e 2016, poi prolungato per parte del 2017), connesso ai meccanismi bizantini ed inefficienti (chi si ricorda del portale per la mobilità?) di trasferimento forzato dei circa 40.000 dipendenti provinciali coinvolti nella dissennata redistribuzione delle competenze tra enti.

Il disegno di riforma fu fallimentare, perchè immaginato per estendere a livello nazionale idee organizzative – per altro di discutibile efficacia – attivate in Emilia Romagna, ove sono sorte molte unioni di comuni: la presunzione fu che questi enti potessero essere capaci ed in grado di erogare gli stessi servizi delle province, anzi meglio, perchè direttamente governati dai sindaci.

Un’idea infondata e devastante, perseguita però con fideistica pervicacia, tanto da privare le province di metà del personale ma, soprattutto, di oltre metà dei fondi e dei finanziamenti. Tanto da mandarle tutte sull’orlo del dissesto immediatamente a seguito della riforma e da far nascere degli enti finanziariamente già morti, come le città metropolitane.

Il disastro delle strade provinciali è lì a testimoniare meglio di qualsiasi analisi ed inchiesta gli esiti devastanti di quella riforma.

E la vicenda, ora, dei tagli ai finanziamenti da destinare alle province ed alle città metropolitane per la manutenzione delle strade è la coda avvelenata di quella assurda riforma di 11 anni fa, che dopo tanto tento ancora fa sentire i propri micidiali effetti sui bilanci e sulle spalle dei cittadini.

L.O.

 

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