di Nicola Niglio
Il diritto al congedo parentale, previsto dall’art. 32 del D.Lgs. n. 151/2001, è finalizzato ad assicurare l’assistenza affettiva e materiale del genitore al figlio nei primi anni di vita. L’uso del congedo parentale per svolgere attività lavorativa, in contrasto con le sue finalità, costituisce abuso del diritto e può integrare giusta causa di licenziamento, indipendentemente dalla sovrapposizione temporale tra il periodo di congedo e l’attività lavorativa.
Secondo quanto ha affermato la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, del 04/02/2025, n.2618, per consolidata giurisprudenza della medesima Corte Suprema la “giusta causa” di licenziamento ex art. 2119 cod. civ. integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’ interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge; mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici; la sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo “standards” conformi ai valori dell’ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è dunque sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Corte di cassazione (v. tra le altre, Cass. n. 7029/2023, Cass. n. 12789/2022, Cass. n. 7426/2018 , Cass.n. 31155/2018, Cass. n. 25144/2010).
La condotta accertata, oltre a costituire grave violazione del dovere di fedeltà gravante ex art.2105 c.c. sul lavoratore, si connota per il suo particolare disvalore sociale alla luce delle specifiche finalità in relazione alle quali è modulato l’istituto del congedo parentale ed ai sacrifici e costi organizzativi che impone alla parte datoriale a fronte dell’esercizio di tale diritto potestativo da parte del titolare.
Il congedo parentale disciplinato dall’art. 32 D.Lgs. n. 151/2001 si pone, infatti, l’obiettivo di assicurare il diritto del figlio di godere dell’assistenza materiale ed affettiva di entrambi i genitori nei primi anni di vita. Si tratta di un diritto potestativo rispetto al quale la posizione del datore di lavoro è di mera soggezione nel senso che a quest’ultimo non è consentito di rifiutare unilateralmente la fruizione del congedo e neppure di dilazionarla; come evidenziato da alcuni interpreti, l’art. 32 cit. non attribuisce alcuna rilevanza giuridica alle esigenze produttive ed organizzative del datore di lavoro.
Ed è proprio la compressione della iniziativa datoriale lato sensu intesa ed il sacrificio imposto alla collettività in relazione ai costi sociali ed economici connessi alla fruizione del congedo parentale a giustificare una valutazione particolarmente rigorosa, sotto il profilo disciplinare, della condotta del lavoratore che si sia sostanziata nello sviamento dalle finalità proprie dell’ istituto ed in un utilizzazione strumentale dello stesso per la realizzazione di finalità ad esso del tutto estranee.