Tratto da: leautonomie.it

Non è lecita la revoca della mobilità volontaria una volta che si sia perfezionata. Per molte amministrazioni la disciplina della mobilità volontaria resta ancora confusa, anche a causa, del resto, della caotica normazione contenuta nell’articolo 30 del d.lgs 165/2001.

Sebbene si tratti, nella sostanza, di un’ipotesi di cessione del contratto, resta pur sempre il fatto che l’istituto regolato dalla norma dia luogo ad una fattispecie particolare e speciale, un negozio regolato da una normativa speciale, proprio l’articolo 30 del d.lgs 165/2001, che va quindi coordinata con le disposizioni del codice civile e in particolare l’articolo 1406.

La specialità della disciplina del richiamato articolo 30, tuttavia, non può valere per considerare la mobilità volontaria come una procedura mista pubblico-privata.

Come noto, ai fini della mobilità volontaria occorre pubblicare un avviso pubblico a mente dell’articolo 30, comma 1, sesto periodo, del d.lgs 165/2001: “Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere”. Tale norma desta per molti l’impressione che la mobilità possa strutturarsi in due fasi: una, quella sorretta dalla pubblicazione dell’avviso, della ricezione delle domande e della loro valutazione ai fini della scelta del lavoratore da assumere in mobilità, di carattere pubblicistico; l’altra, quella successiva alla scelta e alla definizione dell’accordo, di natura privatistica.

A ben vedere, invece, l’intera gestione della mobilità volontaria si connota per la sua natura totalmente privatistica. La giurisprudenza, d’altra parte, è granitica nel considerare la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario e non quella del giudice amministrativo, proprio perché si tratta di gestione del rapporto di lavoro, sebbene preceduta da formalità e pubblicazioni.

La sentenza della Corte di Cassazione 28 settembre 2021, n. 26265, fornisce molte utili coordinate per comprendere gli aspetti essenziali dell’istituto, così da convincere che le PA non agiscono nell’esercizio delle potestà autoritative, sicchè non si applica la legge 241/1990. Il che impedisce, quindi, di adottare atti di autotutela di carattere pubblicistico e unilaterale, quale la “revoca” della mobilità, disposta dall’ente cessionario, quello che ha attivato la procedura con la pubblicazione dell’avviso.

La Cassazione non accoglie il motivo di ricorso dell’amministrazione ricorrente, che aveva appunto revocato la mobilità, evidenziando che non si può accogliere l’idea secondo la quale nella mobilità volontaria vi sarebbe una netta distinzione tra una fase pubblicistica di scelta del contraente e una fase privatistica.

Spiega la sentenza come “ormai è pacifico (Cass. 10 gennaio 2009, n. 431; Cass. 25 luglio 2017, n. 18299) che il trasferimento volontario del dipendente tra Pubbliche Amministrazioni si attua attraverso una cessione del contratto secondo moduli civilistici (art. 1406 c.c.), salve le integrazioni derivanti dall’art. 30 d.lgs. 165/2001, non è corretto ritenere che vi sia una fase pubblicistica nella procedura di selezione dei candidati”.

Tale affermazione conferma quanto rilevato sopra: la mobilità volontaria è un istituto speciale di regolazione del rapporto di lavoro, nel quale occorre coordinare l’articolo 1406 del codice dei contratti, che non può operare da solo, ma necessariamente con le “integrazioni” disposte nell’articolo 30 del d.lgs 165/2001.

Con la mobilità volontaria, l’ente cessionario esplica una capacità di diritto privato di acquisizione e gestione del personale, da esercitare secondo le regole previste, senza coinvolgere poteri autoritativi, sicchè l’avviso può considerarsi una forma di offerta al pubblico. Non potendosi trattare l’istituto come procedura pubblica sorretta dalla legge 241/1990, allora, come e quando si perfeziona la cessione?

La normativa crea una disciplina peculiare che vede:

  • il cessionario, cioè l’ente di destinazione del lavoratore, come promotore della cessione, attraverso la pubblicazione dell’avviso;
  • il cedente, cioè il lavoratore che risponde all’avviso candidandosi e chiedendo all’ente presso il quale conduce il rapporto di lavoro il consenso al trasferimento;
  • il ceduto, cioè l’ente di provenienza che presti il consenso al trasferimento (esprimendo il cosiddetto “nulla osta”).

Combinando l’articolo 1406 del codice civile con l’articolo 30 del d.lgs 165/2001, trattandosi di un negozio trilaterale, il trasferimento si costituisce quando tutte e tre le parti prestino consenso alla cessione. L’ente cessionario manifesta il proprio consenso a valle della scelta discrezionale del candidato, che ritiene idoneo a conclusione della selezione (di diritto privato) svolta; il lavoratore cedente esprime consenso nei confronti dell’ente di destinazione accettando il trasferimento e chiedendo (ma tale richiesta può anche essere prodotta dall’ente cessionario) il nulla osta; l’ente ceduto esprime il consenso finale che perfeziona il negozio, una volta a conoscenza dell’accordo tra cedente e cessionario, producendo il nulla osta o “assenso”.

Col nulla osta, quindi, il trasferimento si è compiuto e il rapporto di lavoro del lavoratore cedente prosegue con l’ente cessionario alle condizioni concordate.

Conclude la Cassazione: “una volta ritenuto perfezionato il contratto di cessione, […] non può avere pregio, come afferma anche la Corte territoriale, l’esercizio di poteri di revoca della proposta riconnessi a scelte diverse del Consiglio di Amministrazione, comunque inidonee a vanificare, unilateralmente, gli effetti di un contratto ormai concluso”.

Col nulla osta, restano obbligate tutte le tre parti. Il ceduto ha prestato consenso al trasferimento e non piò più opporsi con strumenti di autotutela pubblicistica; lo stesso vale per il cessionario: non può revocare il trasferimento, né adottare alcun atto unilaterale a rimedio; anche il lavoratore risulta obbligato a prestare servizio presso il cessionario, alla data concordata.

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