La Suprema Corte ha stabilito che, al pari della disposizione generale di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, anche quella di cui all’art. 4, comma 7, della I. n. 412/1991, persegue la finalità di garantire l’imparzialità, l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione, in ottemperanza a quanto prescritto dall’art. 97 Cost., nonché quella di evitare la creazione di centri d’interesse alternativi all’ufficio pubblico in capo al sanitario, che lo distoglierebbero dai propri doveri istituzionali.
Dovendosi valorizzare la portata rigorosa della previsione di una incompatibilità ex ante per il sola titolarità da parte del X di quote di maggioranza della società Y, tanto bastava a far ritenere integrata la situazione di incompatibilità di cui al sopracitato art. 4, comma 7, della I, n. 412/1992.
Non era certo l’Azienda sanitaria a dover dimostrare altro (conflitto di interessi in concreto ovvero effettivo danno per l’azienda) perché la partecipazione maggioritaria avente un oggetto sociale chiaramente indicativo di un interesse distinto se non inconciliabile rispetto alle attività del servizio sanitario nazionale è già in sé integrativa del divieto legislativamente previsto ed espressiva di una situazione di contrasto; tutt’al più era il X a dover dimostrare che a quel dato formale non corrispondesse alcuna realtà fattuale.
Né appare risolutiva la circostanza che l’Azienda fosse a conoscenza della indicata partecipazione azionaria del X sin dal momento della sua assunzione in servizio avvenuta nel 2004, atteso che la stessa al più poteva rilevare ai fini di una tardività della contestazione disciplinare non certo ai fini di un’autorizzazione implicita dell’azienda ad un comportamento contra legem.
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