tratto da quotidianopa.leggiditalia.it

L’incompatibilità ambientale giustifica il diniego del trasferimento ex Legge 104

di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista

La richiesta del pubblico dipendente di mutare sede di servizio al fine di consentirgli di prestare assistenza a congiunto portatore di handicap, formalizzata ai sensi dell’art. 33, comma 5, L. 5 febbraio 1992, n. 104, si appalesa recessiva rispetto alle necessità funzionali della P.A. che possono essere connesse non soltanto alla composizione organica o ad impegni tecnico – operativi dell’ufficio di provenienza e/o di desiderata destinazione, ma anche a ragioni di opportunità, allorquando la presenza del dipendente nella sede ambita sia di nocumento all’immagine e al prestigio della P.A. stessa, pregiudicando il sereno svolgimento delle attività di istituto.

A chiarirlo il TAR di Bari con la sentenza n. 1544 del 2018 in commento, per effetto della quale il G.A. levantino ha bocciato il ricorso di un appartenente alla Polizia di Stato in servizio a Bari, insorto avverso il provvedimento con cui la sua Amministrazione aveva respinto la domanda di trasferimento nella provincia di Lecce, località di stabilimento del nucleo familiare, proposta dall’interessato ai sensi della su richiamata disposizione, alla luce delle condizioni di salute del proprio figlio, affetto da disabilità grave, a mente dell’art. 3, comma 3, della citata L. n. 104 del 1992.

Nell’art. 33, cit., al comma 5, si prevede difatti che il lavoratore che assiste un parente o affine entro il secondo grado (o anche entro il terzo grado, a determinate condizioni), portatore di handicap “in situazione di gravità”, ha diritto a scegliere, “ove possibile”, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

Nella fattispecie, tuttavia, l’istante aveva visto frustrate le proprie aspirazioni dalla decisione dell’Amministrazione dell’Interno che non gli aveva accordato il caldeggiato movimento in considerazione del parere contrario del Questore della provincia ad quem, stante l’esistenza di taluni pregiudizi (penali ed amministrativi) a carico del dipendente e dei di lui cognati, relativi a fatti, relativamente recenti, commessi nel territorio di auspicata destinazione.

Il TAR barese, come si diceva, ha avallato l’operato della P.A. rigettando il gravame. La situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall’art. 33, comma 5, L. n. 104 del 1992 al dipendente, pur essendo posta a tutela di un rilevante valore quale quello dell’assistenza in favore del parente disabile, è infatti subordinata alle necessità organizzative dell’Amministrazione e ha conseguente consistenza di interesse legittimo non di diritto soggettivo assoluto, essendo espressamente previsto dalla disposizione suddetta che la istanza di trasferimento possa essere accolta solo “ove possibile”; sicché essa deve necessariamente contemperarsi con le preminenti esigenze dell’ente pubblico, dal momento che l’esigenza di tutela della persona handicappata deve essere fatta valere alla stregua del generale principio del bilanciamento degli interessi, motivo per cui il beneficio da essa previsto resta in ogni caso condizionato alla insussistenza di un contrario interesse pubblico.

Nello specifico caso dell’incompatibilità ambientale – che si ha tutte le volte in cui vi sia obiettivamente una situazione di fatto per effetto della quale la presenza o la permanenza dell’impiegato in una determinata sede è di nocumento al prestigio, al decoro o alla funzionalità dell’Amministrazione – il legittimo interesse del dipendente che ha un familiare disabile, a essere trasferito ovvero a non essere trasferito, senza il proprio consenso, ad altra sede, a norma del ripetuto art. 33, comma 5, L. n. 104 del 1992, recede pertanto di fronte a quello, espresso dall’Amministrazione, alla salvaguardia del suo prestigio e alla rimozione o prevenzione di conseguenze per essa pregiudizievoli, createsi o che si potrebbero creare proprio in tale sede e nocive al sereno svolgimento del servizio, e ciò a maggior ragione in un settore sensibile, quale è quello degli operatori delle Forze di Polizia, nel quale il rigore della condotta imposto ai dipendenti s’integra strettamente con le connesse esigenze organizzative ed operative dell’Amministrazione (in senso conforme, si vedano, ex multis, la sentenza del Cons. di Stato, Sez. III, 7 marzo 2014, n. 1073 e l’ordinanza dello stesso Supremo Consesso 2 marzo 2012, n. 905).

T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 30 novembre 2018, n. 1544

Art. 33L. 5 febbraio 1992, n. 104 (G.U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O.)

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