30/06/2021 – Abusi edilizi e sanzione alternativa alla demolizione: come si calcola?

Il Consiglio di Stato chiarisce le modalità di calcolo della sanzione alternativa alla demolizione prevista all’art. 34, comma 2 del Testo Unico Edilizia in caso di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire.

Il DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) dedica un intero titolo (il IV) alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, responsabilità e sanzioni. Benché molte delle disposizioni previste abbiano ormai superato la maggiore età, sono ancora tanti gli interventi della giustizia sugli effetti di un abuso edilizio.

Nel caso di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire l’art. 34 del testo unico edilizia offre all’amministrazione una duplice possibilità:

  • ordinanza di demolizione a spese del responsabile degli abusi entro un termine congruo dopo il quale è l’amministrazione a provvedere alla rimozione con spese a carico dei medesimi responsabili dell’abuso;
  • sanzione alternativa quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.

Come si calcola questa sanzione alternativa lo spiega il comma 2 dello stesso articolo 34 che parla di “sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale“.

L’argomento è stato, però, oggetto di diverse sentenze come l’ultima del Consiglio di Stato, n. 4463 del 10 giugno 2021, n. 4463, che ci consente di fare il punto.

Nel nuovo caso sottoposto ai giudici di Palazzo Spada, il ricorrente è un Comune contro la decisione del TAR relativa all’irrogazione della sanzione pecuniaria per interventi eseguiti in parziale difformità del permesso di costruire.

In primo grado, il ricorrente proprietario di un immobile, a seguito di trattative per l’alienazione di detto bene che aveva ricevuto per successione, ebbe notizia che quest’ultimo fosse più grande e con maggiore superficie utile lorda rispetto a quanto rappresentato nel progetto autorizzato a suo tempo dal Comune.

Per questo motivo, al fine di regolarizzare l’abuso e rendere il bene commerciabile, il proprietario chiede al Comune l’applicazione della misura sanzionatoria sostitutiva prevista all’art. 34, comma 2 del Testo Unico Edilizia, per l’impossibilità di rimuoverne le difformità senza intaccare la parte regolare. Il Comune eroga quindi una sanzione pari a € 71.178,12, con riferimento al momento dell’adozione della sanzione ed utilizzando come parametri l’aggiornamento del costo di costruzione e del costo base di produzione di cui alla delibera del Consiglio comunale n. 82 del 19 dicembre 2015, attuativa dell’art. 15 della l. 27 luglio 1978 n. 392.

Il proprietario ricorre, quindi, al TAR, ritenendo abnorme ed erronea la liquidazione di tale sanzione ed illegittimi i parametri assunti, chiedendo:

  • l’obbligo del Comune di calcolare il costo di produzione con riguardo al momento dell’abuso e non al tempo della sanzione e con l’applicazione del costo base per le costruzioni ultimate entro il 31 dicembre 1975 ai sensi dell’art. 14 della legge n. 392/1978 (£ 250.000);
  • l’applicazione di parametri di calcolo più favorevoli di cui alla delibera consiliare n. 39 del 19 luglio 2011 ed il coefficiente d’abbattimento di 0,60 (scadente, anziché mediocre), più congruente con lo stato qualitativo dell’edificio.

Il TAR accoglie il ricorso riguardo all’impossibilità d’applicare al caso in esame i parametri di calcolo della delibera n. 82 del 2015 per il costo di costruzione di produzione attualizzati (nuovi fabbricati) ad un edificio agibile fin dal 1971 che avrebbe comportato importi superiori al valore venale di esso. Il TAR rimanda il ricalcolo al Comune previa individuazione in contraddittorio con le ricorrenti dell’anno di realizzazione dell’abuso e l’applicabilità o del citato art. 14 (per gli edifici ante 31 dicembre 1975) o dei parametri previsti dal successivo art. 22 (all’attualità) della legge n. 392/1978, se del caso coi coefficienti d’abbattimento di cui agli artt. da 15 a 21.

In secondo grado arriva l’appello del Comune che deduce l’erroneità della sentenza di primo grado per:

  • aver fatto riferimento non ad un principio di diritto ma ad un orientamento giurisprudenziale diverso da quello che mosse la P.A., non tenendo conto così né della natura dell’abuso come illecito permanente, né della funzione della sanzione pecuniaria come sostitutiva di quella demolitoria;
  • non aver colto la natura d’illecito permanente dell’abuso, che ne consente la repressione in ogni tempo (il cui interesse pubblico prevale su ogni interesse privato al mantenimento del manufatto abusivo), con la sanzione vigente al tempo in cui l’illecito è sanzionato e al di là del tempo in cui questo fu commesso;
  • la conseguente sicura applicazione della sanzione attuale in coerenza con l’art. 34, comma 2 del DPR n. 380/2001, ché in caso contrario il responsabile dell’abuso avrebbe lucrato tanto più indebito vantaggio, quanto più tardi fosse stato sanzionato (è la logica dell’arricchimento senza causa);
  • l’illogicità della motivazione, basata più sul temuto effetto “distorsivo” della sanzione vigente al momento della sua applicazione, che alla natura della sanzione stessa;
  • la perplessità del rinvio alla sede del riesame dell’indicazione dell’anno in cui fu commesso l’abuso e delle conseguenti misure, in violazione del principio per cui nella materia edilizia ricade sul privato l’onere della prova in merito alla data di ultimazione delle opere edilizie ritenute abusive.

Per rispondere al ricorso del Comune, i giudici del Consiglio di Stato premette che non sono in discussione i seguenti principi:

  • il dovere del Comune di reprimere in ogni tempo gli abusi in difformità;
  • l’onere della prova, che è posto in capo alle sole appellate, sull’ultimazione dell’edificio recante l’accertata difformità, tant’è che non è contestato che tal fabbricato fu reso agibile dal 13 dicembre 1971;
  • il carattere sostitutivo della sanzione pecuniaria a quella demolitoria (che ha natura d’eccezione per causa di forza maggiore rispetto all’ordinaria sanzione ripristinatoria).

Secondo i giudici di secondo grado, il tenore letterale del comma 2, art. 34 del DPR n. 380/2001 rende evidente che il calcolo del costo di produzione dell’edificio avvenga in base alle disposizioni della legge n. 392/1978 soltanto. Si tratta d’un rinvio in senso materiale a tal normativa, riferito ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, al di là ed indipendentemente dall’attuale loro vigenza nella materia delle locazioni urbane. Anzi, il testo unico racchiuso nel DPR n. 380 è ben successivo alla riforma dell’equo canone, ma non ha inteso adeguarsi al nuovo regime ai sensi della legge 9 dicembre 1998 n. 431 né allora, né adesso, nonostante tutte le novelle intervenute nella disciplina dell’edilizia.

Nei casi dell’art. 34, comma 2, la sanzione pecuniaria sostitutiva va calcolata applicando il valore del costo di produzione previsto dagli artt. 14 e 22 della legge n. 392/1978, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso. In tal caso, la sanzione si calcola in base sì ai citati criteri ex legge n. 392/1978, ma con riguardo all’ultimo costo di produzione stabilito dal DM aggiornato, secondo l’indice ISTAT del costo di costruzione, alla data d’esecuzione dell’abuso-

Il criterio di calcolo della sanzione sostitutiva ex art. 34, co. 2 è e resta quello posto per legge ed è inderogabile.

Quando, come nel caso in esame in particolare, si deve applicare la sanzione sostitutiva ex art. 34, co. 2 del DPR n. 380/2001, che non prese partito se il calcolo della sanzione dovesse riferirsi al tempo del commesso abuso o a quello dell’irrogata sanzione, la quantificazione è per legge affidata ai parametri di calcolo posti negli articoli da 14 a 22 della l. 392/1978. Essa, pertanto, non è, in tutto o in parte, nella volizione discrezionale del Comune, né nell’identificazione del commesso abuso (il quale, seppur permanente quanto agli effetti, fu consumato nel 1971, ossia alla data del certificato di abitabilità), né in ordine a qual tariffa fosse applicabile in quel preciso momento. Infatti la disciplina rinviata recò pure, all’art. 14, I co., lett. a) della legge n. 392, il criterio di calcolo della sanzione, ancorata al costo base di produzione, alla data d’ultimazione dell’edificio (momento consumativo dell’illecito), che è quello vigente per gli edifici ultimati prima del 1975 e va applicato alla sola superficie utile reale aggiuntiva, cioè quella in effetti abusiva.

In altri termini, il principio dell’attualità della sanzione vige quando non v’è altro che rimuovere l’abuso o la difformità e rimettere in pristino lo stato dei luoghi o, il che è logicamente lo stesso, quando v’è una sanzione edittale predefinita e non ancorabile a parametri mobili o in divenire. Il Comune ha sì la facoltà d’aggiornare le tariffe del costo di costruzione, ma, come tutte le tariffe che s’incorporano in sanzioni amministrative, esse valgono per l’avvenire e non retroagiscono al tempo del commesso abuso. E ciò soprattutto se la fonte primaria sul loro calcolo suddivida il trattamento sanzionatorio degli eventi nel tempo.

Si badi: ciò non viola il principio, sotteso alla sanzione, della repressione dell’illecito arricchimento grazie all’abuso, ma essa va graduata, secondo ragionevole proporzionalità, in base alle regole vigenti del commesso abuso, onde resta ferma la statuizione del TAR, che correttamente rinvia al Comune il preciso calcolo del quantum debeatur dalle appellate. Per questo motivo, l’appello è stato respinto.

Pubblicato il 10/06/2021

N. 04463/2021REG.PROV.COLL.

N. 08310/2017 REG.RIC.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 8310/2017, proposto dal Comune di Civitanova Marche (MC), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Cristina Cingolani, con domicilio eletto in Roma, via Tacito n. 10, presso l’avv. Enrico Dante,

contro

-OMISSIS-, rappresentate e difesi dall’avv. Susanna Santini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, c.so Italia 45, presso l’avv. Claudio Guccione,

per la riforma

della sentenza del TAR Marche, n. -OMISSIS-/2017,

resa tra le parti e relativa all’irrogazione di sanzione pecuniaria per interventi eseguiti in parziale difformità del permesso di costruire;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle sigg. -OMISSIS- e-OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza pubblica dell’8 ottobre 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Erica Dumontel (per delega di Cingolani) e Santini;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – Le sigg. -OMISSIS- (nel presente giudizio rappresentata dalla sorella e sua procuratrice speciale sig. -OMISSIS-) e -OMISSIS-, residenti in Rovigo, dichiarano d’esser proprietarie jure successionis di un appartamento al 2° p. di vani sei nello stabile sito in Civitanova Marche (MC), -OMISSIS- e distinto al CF fg. -OMISSIS-, part. -OMISSIS- /sub. -OMISSIS-, finito nel 1969 e reso agibile col certificato del 13 dicembre 1971. A seguito di trattative per l’alienazione di detto bene, la sig. -OMISSIS- e consorte ebbero notizia che quest’ultimo fosse più grande e con maggiore SUL di quanto rappresentato nel progetto autorizzato a suo tempo dal Comune di Civitanova Marche.

Sicché il 14 luglio 2015 la sig. -OMISSIS- e consorte, al fine di regolarizzare e rendere circolabile l’immobile, chiesero al Comune l’applicazione della misura sanzionatoria sostitutiva ex art. 34, co. 2 del DPR 6 giugno 2001 n. 380, per l’impossibilità di rimuoverne le difformità senza intaccare la parte regolare. Il Comune, con provvedimento prot. n. 13521 del 15 marzo 2016, irrogò tal sanzione pecuniaria alla sig. -OMISSIS- e consorte nella misura di € 71.178,12, con riferimento al momento dell’adozione della sanzione ed utilizzando come parametri l’aggiornamento del costo di costruzione e del costo base di produzione di cui alla delibera del Consiglio comunale n. 82 del 19 dicembre 2015, attuativa dell’art. 15 della l. 27 luglio 1978 n. 392.

2. – Ritenendo abnorme ed erronea la liquidazione di tal sanzione ed illegittimi i parametri assunti dalla delibera n. 82/2015, la sig. -OMISSIS- e consorte si gravarono contro tali provvedimenti innanzi al TAR Marche, col ricorso NRG 405/2016, deducendo in diritto:

a) l’obbligo del Comune di calcolare il costo di produzione con riguardo al momento dell’abuso e non al tempo della sanzione e con l’applicazione del costo base per le costruzioni ultimate entro il 31 dicembre 1975 ai sensi dell’art. 14 della l. 392/1978 (£ 250.000);

b) in ogni caso, si sarebbero dovuti applicare nella specie i parametri di calcolo più favorevoli di cui alla delibera consiliare n. 39 del 19 luglio 2011 ed il coefficiente d’abbattimento di 0,60 (scadente, anziché mediocre), più congruente con lo stato qualitativo dell’edificio. L’adito TAR, con sentenza n. -OMISSIS- del 30 giugno 2017 e pur escludendo ogni metodo che potesse determinare un indebito lucro per il responsabile dell’abuso, accolse la pretesa così azionata con riguardo all’impossibilità d’applicare al caso in esame i parametri di calcolo della delibera n. 82 del 2015 per il costo di costruzione di produzione attualizzati (nuovi fabbricati) ad un edificio agibile fin dal 1971 sì da comportare importi superiori al valore venale di esso (cose, queste, non corrispondenti al dato testuale e alla ratio della norma), donde il rinvio al Comune per il ricalcolo degli importi, previa individuazione in contraddittorio con le ricorrenti dell’anno di realizzazione dell’abuso e l’applicabilità o del citato art. 14 (per gli edifici ante 31 dicembre 1975) o dei parametri previsti dal successivo art. 22 (all’attualità) della legge n. 392, se del caso coi coefficienti d’abbattimento di cui agli artt. da 15 a 21.

3. – Appellò quindi il Comune di Civitanova Marche, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per:

1) – aver fatto riferimento non ad un principio di diritto ma ad un orientamento giurisprudenziale diverso da quello che mosse la P.A., non tenendo conto così né della natura dell’abuso come illecito permanente, né della funzione della sanzione pecuniaria come sostitutiva di quella demolitoria;

2) – non aver colto la natura d’illecito permanente dell’abuso, che ne consente la repressione in ogni tempo (il cui interesse pubblico prevale su ogni interesse privato al mantenimento del manufatto abusivo), con la sanzione vigente al tempo in cui l’illecito è sanzionato e al di là del tempo in cui questo fu commesso;

3) – la conseguente sicura applicazione della sanzione attuale in coerenza con l’art. 34, co. 2 del DPR 380/2001, ché in caso contrario il responsabile dell’abuso avrebbe lucrato tanto più indebito vantaggio, quanto più tardi fosse stato sanzionato (è la logica dell’arricchimento senza causa);

4) – l’illogicità della motivazione, basata più sul temuto effetto “distorsivo” della sanzione vigente al momento della sua applicazione, che alla natura della sanzione stessa;

5) – la perplessità del rinvio alla sede del riesame dell’indicazione dell’anno in cui fu commesso l’abuso e delle conseguenti misure, in violazione del principio per cui nella materia edilizia ricade sul privato l’onere della prova in merito alla data di ultimazione delle opere edilizie ritenute abusive;

6) – l’infondatezza di tutti i motivi di primo grado. Resistono nel presente giudizio la sig. -OMISSIS- e consorte, concludendo per il rigetto dell’appello e, allo stesso tempo rammentando il principio per cui il rinvio dell’art. 34, co. 2 del DPR 380/2001 alla l. 392/1978 dev’esser inteso in senso materiale, ossia alla metodologia di calcolo del costo di produzione degli edifici, utilizzabile anche dopo le modifiche dell’equo canone e differenziato a seconda del periodo di costruzione del manufatto abusivo.

4. – L’appello non è condivisibile e va respinto. Giova anzitutto sgombrare il campo da ogni equivoco, non essendo qui in discussione:

a) il dovere del Comune di reprimere in ogni tempo gli abusi in difformità;

b) l’onere della prova, che è posto in capo alle sole appellate, sull’ultimazione dell’edificio recante l’accertata difformità, tant’è che non è contestato che tal fabbricato fu reso agibile dal 13 dicembre 1971;

c) il carattere sostitutivo della sanzione pecuniaria a quella demolitoria (che ha natura d’eccezione per causa di forza maggiore rispetto all’ordinaria sanzione ripristinatoria).

Ma, se in sostanza non v’è controversia sull’an della misura pecuniaria, peraltro già accordata, v’è un equivoco di fondo da parte del Comune circa il quantum di tal sanzione. Il dato testuale dell’art. 34, co. 2 del DPR 380/2001 («…quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale…») rende evidente che il calcolo del costo di produzione dell’edificio avvenga in base alle disposizioni della l. 392/1978 soltanto. Si tratta d’un rinvio in senso materiale a tal normativa, riferito ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, al di là ed indipendentemente dall’attuale loro vigenza nella materia delle locazioni urbane (cfr. Cons. St., St., IV, 12 marzo 2007 n. 1203). Anzi, il testo unico racchiuso nel DPR n. 380 è ben successivo alla riforma dell’equo canone, ma non ha inteso adeguarsi al nuovo regime ex l. 9 dicembre 1998 n. 431 né allora, né adesso, nonostante tutte le novelle intervenute nella disciplina dell’edilizia. Tanto a differenza del simile, ma non identico sistema, pur esso basato sul rinvio materiale alla legge n. 392, stabilito dall’art. 33, co. 2, I per. del DPR 380/2001. Invero, in quest’ultimo caso, la sanzione pecuniaria sostitutiva va calcolata applicando il valore del costo di produzione previsto dagli artt. 14 e 22 della l. 392/1978, ma «… aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso…». In tal caso, la sanzione si calcola in base sì ai citati criteri ex l. 392/1978, ma con riguardo all’ultimo costo di produzione stabilito dal DM aggiornato, secondo l’indice ISTAT del costo di costruzione, alla data d’esecuzione dell’abuso-

5. – Non è allora perspicuo il senso della censura di cui ai primi due mezzi di gravame. Infatti, in primo grado non fu mai contestato che l’abuso accertato non avesse natura d’illecito permanente (quindi, perseguibile in ogni tempo), né che la sanzione pecuniaria fosse sostitutiva di quella demolitoria. La questione che solleva l’appellante è che esso vorrebbe inferire dai noti ed incontestati principi di diritto —il cui uso strumentale in questa sede quasi indurrebbe il Collegio ad esperire altri rimedi per far fronte alle inerzie colpevoli dei Comuni— una regola, invero malamente intesa, per cui va applicata la sanzione vigente al momento dell’esercizio del potere sanzionatorio. A ben vedere, la sanzione da applicare è appunto quella posta dall’art. 34, co. 2 del DPR 380/2001, il cui dato testuale è quello dianzi riportato ratione temporis, è tuttora vigente ed il cui contenuto non è nella libera disponibilità del Comune. Sicché il criterio di calcolo della sanzione sostitutiva ex art. 34, co. 2 è e resta quello posto per legge ed è inderogabile, in relazione sì alla lettura che ne ha dato la giurisprudenza, pure della Sezione, ma il cui significato così reso esplicito dal dato testuale attraverso gli arresti di questo Consiglio si appalesa con ogni evidenza l’unico che abbia un senso logico ed efficace. Ebbene, quando, come nel caso in esame in particolare, si deve applicare la sanzione sostitutiva ex art. 34, co. 2 del DPR 380/2001, che non prese partito se il calcolo della sanzione dovesse riferirsi al tempo del commesso abuso o a quello dell’irrogata sanzione, la quantificazione è per legge affidata ai parametri di calcolo posti negli articoli da 14 a 22 della l. 392/1978. Essa, pertanto, non è, in tutto o in parte, nella volizione discrezionale del Comune, né nell’identificazione del commesso abuso (il quale, seppur permanente quanto agli effetti, fu consumato nel 1971, ossia alla data del certificato di abitabilità), né in ordine a qual tariffa fosse applicabile in quel preciso momento. Infatti la disciplina rinviata recò pure, all’art. 14, I co., lett. a) della legge n. 392, il criterio di calcolo della sanzione, ancorata al costo base di produzione, per i Comuni della Regione Marche, alla data d’ultimazione dell’edificio (momento consumativo dell’illecito), che è quello vigente per gli edifici ultimati prima del 1975 e va applicato alla sola superficie utile reale aggiuntiva, cioè quella in effetti abusiva. In altri termini, il principio dell’attualità della sanzione vige quando non v’è altro che rimuovere l’abuso o la difformità e rimettere in pristino lo stato dei luoghi o, il che è logicamente lo stesso, quando v’è una sanzione edittale predefinita e non ancorabile a parametri mobili o in divenire. Il Comune ha sì la facoltà d’aggiornare le tariffe del costo di costruzione, ma, come tutte le tariffe che s’incorporano in sanzioni amministrative, esse valgono per l’avvenire e non retroagiscono al tempo del commesso abuso. E ciò soprattutto se la fonte primaria sul loro calcolo suddivida il trattamento sanzionatorio degli eventi nel tempo. Si badi: ciò non viola il principio, sotteso alla sanzione, della repressione dell’illecito arricchimento grazie all’abuso, ma essa va graduata, secondo ragionevole proporzionalità, in base alle regole vigenti del commesso abuso, onde resta ferma la statuizione del TAR, che correttamente rinvia al Comune il preciso calcolo del quantum debeatur dalle appellate.

6. – In definitiva, l’appello va così respinto. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, s’appalesano inidonei a fondare una conclusione di segno diverso. Giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 8310/2017 in epigrafe), lo respinge. Spese del grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di tutte le parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio dell’8 ottobre 2020, con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

L’ESTENSORE Silvestro Maria Russo

IL PRESIDENTE Giancarlo Montedoro

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