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La rinuncia ai canoni di locazione è danno erariale

di Katia Sirizzotti

“La rinuncia da parte dell’amministrazione locatrice ai crediti (certi, liquidi ed esigibili) derivanti dai contratto di locazione stipulati con associazioni no profit, lungi dal potersi inquadrare nell’alveo degli “aiuti/contributi/sovvenzioni”, configura una remissione del debito.

Per quanto tale ultima pratica sia teoricamente percorribile anche dalla Pa occorre tuttavia rammentare che “la riscossione delle entrate patrimoniali si pone come atto doveroso di recupero delle indispensabili risorse materiali necessarie a far fronte alla spesa pubblica. Al di là del principio di indisponibilità deli crediti tributari deve ritenersi, in definitiva, che tutte le entrate, anche quelle di natura patrimoniale ed extratributarie – quale quella in esame – siano finalizzate al soddisfacimento dei bisogni pubblici e come tali possono diventare oggetto di atti di disposizione da parte delle amministrazioni titolari soltanto in presenza di interesse pubblico, concreto attuale.”

La rinuncia ai canoni di locazione maturati si pone in contrasto anche con il principio di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, secondo cui la gestione dei beni patrimoniali deve tendere all’incremento del valore economico delle dotazioni stesse,  al fine di potenziare le entrate di natura non tributaria e, in tal senso “I contratti di locazione sono da considerare strumenti di incremento delle risorse pubbliche e, in tale ottica, devono essere improntati a criteri di stretta economicità (art. 1, l. n. 241/1990 e s.i.m.), con l’effetto che si dovrebbe garantire, da un lato, livelli ottimali di soddisfazione dell’interesse pubblico generale attraverso l’impiego di risorse proporzionate; dall’altro, il massimo valore ottenibile dall’impiego delle risorse a disposizione.” 

Così dispone la Corte dei Conti, Sezione II centrale di appello, con la sentenza 78 del 12 marzo 2019.”

 

 

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