In quali casi un contratto di appalto può essere modificato senza la necessità di indire una nuova procedura?
L’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti), che disciplina i casi nei quali un contratto di appalto può essere modificato senza la necessità di indire una nuova procedura, ha destato perplessità tra gli operatori del settore sin dalla sua entrata in vigore per la formulazione poco chiara e a tratti contraddittoria che lo caratterizza.
Di recente l’ANAC, con il Comunicato del Presidente del 23 marzo 2021, ha avuto modo di fornire alcune indicazioni interpretative del comma 12 dell’art. 106, che ha ad oggetto le modifiche contrattuali fino alla concorrenza del c.d. quinto d’obbligo.
Il comma 12 dell’art. 106, infatti, individua un importo massimo coincidente con il quinto del valore dell’appalto (c.d. quinto d’obbligo), al di sotto del quale la committente può imporre all’appaltatore l’esecuzione di sopravvenute lavorazioni alle stesse condizioni previste nel contratto originario e, dunque, già stabilite in fase di aggiudicazione. La norma specifica che in questo caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto.
Dal punto di vista strettamente esecutivo, dunque, in considerazione anche di quanto previsto dall’art. 8, comma 4, del d.M. n. 49/2018, nei casi di modifica dell’opera di valore non superiore al quinto d’obbligo (20%), l’approvazione della perizia avverrà di diritto e l’appaltatore sarà conseguentemente obbligato a eseguire le lavorazioni in variante attenendosi alle condizioni previste nel contratto originario. La “perizia suppletiva” sarà accompagnata da un atto di sottomissione che l’esecutore è tenuto a sottoscrivere in segno di accettazione o di motivato dissenso, il che non impedisce appunto all’esecutore di formulare contestazioni.
Come è facile intuire, l’art. 106 del Codice individua delle vere e proprie deroghe alle regole generali dei contratti: l’art. 1372, comma 1, c.c., sancisce infatti che il contratto “ha forza di legge tra le parti”.
In base ai principi e alle regole proprie dell’evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono ampliare l’oggetto del contratto o cambiare il contraente solo previa indizione di una gara.
Di qui la necessità di considerare le ipotesi previste dall’art. 106 come tassative.
Come si è accennato in apertura, l’art. 106, comma 12 (quinto d’obbligo), è stato di recente oggetto di un intervento chiarificatorio da parte dell’ANAC.
La questione dirimente attiene alla possibilità di considerare il c.d. quinto d’obbligo come ipotesi autonoma e ulteriore di modifica contrattuale rispetto ai casi previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 106 e, in caso positivo, alla possibilità di accedere a tale istituto anche a prescindere dalla ricorrenza dei presupposti ivi individuati.
L’ANAC ritiene che la possibilità di modificare il contratto senza necessità di ricorrere a una nuova procedura nei modi previsti dall’art. 106, comma 12, debba essere applicata nei soli casi specificamente e tassativamente indicati. Di conseguenza, specifica l’Autorità, la previsione del comma 12 non può configurare una fattispecie autonoma di modifica contrattuale, ma deve essere intesa “come volta a specificare che, al ricorrere di una delle ipotesi previste dai commi 1, lettera c) e 2 dell’articolo 106, qualora la modifica del contratto resti contenuta entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante potrà imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario senza che lo stesso possa far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.
Contrariamente ad alcuni indirizzi giurisprudenziali, l’Autorità, previo confronto con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, ritiene di aderire ad una interpretazione restrittiva e comunitariamente orientata della norma in esame.
La giurisprudenza amministrativa, infatti, tende a tenere distinte le ipotesi di modifiche contrattuali presenti nei commi 1 e 2 dell’art. 106 (a titolo esemplificativo, art. 106, comma 1, lett. c) dove la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili) da quella sancita dal comma 12.
Per fare qualche esempio, nella sentenza TAR Lazio n. 13539/2020, il giudice ha sottolineato che sussiste una vera e propria distinzione tra le ipotesi previste dall’art. 106. In particolare, il TAR ha sottolineato che la differenza tra l’ipotesi descritta al comma 1 e, in particolare dalla lett. c) e il comma 12, “è data dal fatto che mentre nel caso della lett. c) è necessario comunque un accordo delle parti per modificare l’oggetto del contratto (fermo restando che la modifica non deve alterare “la natura generale del contratto”), l’applicazione del comma 12, con l’aumento o la diminuzione delle prestazioni “fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto”, è solo la conseguenza dell’esercizio di un diritto potestativo dell’Amministrazione, che può infatti “imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario”; per cui in tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.
Pare mostrarsi dello stesso avviso anche il TAR Campania che, con sentenza n. 5595/2020, ha specificato che l’ipotesi contemplata dal comma 12 riguarda esclusivamente le circostanze sopravvenute nel corso dell’esecuzione del rapporto (non potendo “in alcun modo essere utilizzata per rimediare ad errori originari compiuti dalla stazione appaltante in sede di valutazione del fabbisogno ovvero per eludere gli obblighi discendenti dal rispetto delle procedure ad evidenza pubblica attraverso un artificioso frazionamento del contenuto delle prestazioni”).
E’ bene richiamare anche una recente pronuncia del Consiglio di Stato, n. 1394/2020, secondo cui l’art. 106, comma 12, pur se ritenuta applicabile in caso di errore della stazione appaltante, e non solo in caso di sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, presuppone sempre che l’esigenza di aumento o di diminuzione delle prestazioni contrattuali emerga “in corso di esecuzione”, non essendo consentita una previsione di modifica ex art. 106, comma 12, a monte della stipulazione del contratto; diversamente invece, l’art. 106, comma 1, lett. e), consente di estendere già nei documenti di gara il contratto, ma solo se si tratta di modifiche non essenziali, e dunque che non alterano l’equilibrio economico del contratto a favore dell’aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale.
Secondo il recente Comunicato dell’ANAC invece, considerare il comma 12 come un’ipotesi autonoma andrebbe in contrasto proprio con il comma 1, lettera c) dell’art. 106, che prevede la possibilità di modifica per fatti imprevisti e imprevedibili senza limiti di importo per i settori speciali e con limiti superiori (50%) per i settori ordinari, sia rispetto al comma 1, lettere a) ed e) del medesimo articolo. Come ricorda l’Autorità, tale ultima disposizione consente di prevedere, già nei documenti di gara, la possibilità di una futura modifica contrattuale senza limiti di importo, utilizzabile, ad esempio, nei casi in cui non sia possibile stimare con certezza il fabbisogno futuro.
Non permetterebbe di considerare il comma 12 come ipotesi autonoma nemmeno una possibile lettura del comma tesa a riferirlo ai soli casi di modifica meramente quantitativa del contratto. Tale interpretazione, secondo l’ANAC, non è supportata dal dato normativo: l’incipit del comma 1 e le successive previsioni si riferiscono, infatti, in modo generico alle modifiche, senza distinguere tra modifiche qualitative e quantitative.
Peraltro, a corroborare la tesi dell’Autorità, militerebbe il fatto che a considerare il comma 12 come ipotesi autonoma si rischia il cumulo delle diverse ipotesi di modifica contrattuale, con il superamento dei limiti di importo previsti dall’art. 106 e il conseguente illegittimo ampliamento delle ipotesi derogatorie della normativa europea e nazionale in materia di affidamenti pubblici.
In tal senso, il riferimento normativo è dato dall’art. 72 della Direttiva 24/2014 che non contempla un caso analogo a quello di cui al comma 12, ma che specifica al paragrafo 5 che “Una nuova procedura d’appalto in conformità della presente direttiva è richiesta per modifiche delle disposizioni di un contratto pubblico e di un accordo quadro durante il periodo della sua validità diverse da quelle previste ai paragrafi 1 e 2”. Accanto a ciò, dalla stessa relazione illustrativa al codice dei contratti pubblici emerge l’intenzione del legislatore di disciplinare la fattispecie in continuità con il previgente codice – ossia con l’art. 132, comma 4, del d.lgs. 163/2006 e con l’art. 311, comma 4, del d.P.R. 207/2010 – secondo cui la stazione appaltante poteva chiedere all’esecutore la modifica delle prestazioni nei limiti del quinto nelle sole ipotesi previste all’articolo 132, senza configurarsi come ipotesi autonoma ma come modalità esecutiva delle modifiche previste dal codice.
È evidente dunque la peculiarità della questione e la sua attualità.
Pur trattandosi di un Comunicato – dalla valenza non vincolante – l’interpretazione fornita dall’ANAC è destinata a creare un forte dibattito che inevitabilmente coinvolgerà non solo la giurisprudenza, ma anche il legislatore. La stessa ANAC dà infatti conto nel proprio Comunicato di aver avanzato al Governo delle proposte di modifica dell’art. 106, al fine di semplificare e razionalizzare la normativa.
L’art. 106 rappresenta una norma fondamentale anche laddove si consideri l’attuale scenario caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 (ne discutiamo sin dai primi giorni della dichiarata emergenza sanitaria).
L’evento pandemico può infatti soddisfare una delle condizioni previste dal comma 1, lett. c), dell’art. 106, secondo cui i contratti di appalto possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento, a patto che ricorrano contestualmente due condizioni, ossia la presenza di circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore e che la modifica non vada ad alterare la natura generale del contratto.
Si noti che tra le circostanze imprevedibili la norma contempla il c.d. factum principis o se vogliamo l’act of god (clicca qui per live), ossia la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative, regolamentari o provvedimenti di autorità o enti preposti alla tutela di interessi rilevanti. In tal senso, l’ultimo anno caratterizzato dalla cd. “Decretografia Conte” prima, e dai provvedimenti del Primo Ministro Draghi poi, che naturalmente hanno avuto conseguenze anche nel settore delle commesse pubbliche, può rappresentare senz’altro una fattispecie rientrante nella lett. c).
A seconda della fase in cui si trova l’esecuzione dell’appalto, occorrerà porre attenzione allo strumento da adoperarsi. Ad esempio, consideriamo che nell’ottobre 2020 sia stato emesso un SAL sottoscritto senza riserve e che nelle more dell’adozione del II SAL si sia registrato un aumento significativo dell’acciaio, tanto potrebbe legittimare l’iscrizione della relativa riserva essendo l’insorgenza del danno verificatasi e percepita successivamente al I SAL dall’operatore.
Ancora, non è difficile immaginare che nel nostro Paese possano intercorrere anche 24 mesi tra l’aggiudicazione (e il momento in cui l’impresa ha formulato l’offerta basandosi su determinati prezzi e costi) e la stipula del contratto. Calando l’ipotesi descritta nello scenario attuale alcuni operatori potrebbero trovarsi oggi a dover sottoscrivere un contratto predisposto sulla scorta di una procedura bandita ante covid-19 e quindi con ogni evidenza incoerente con il mercato attuale con conseguente danno e perdita economica per gli operatori.
A questo punto si potrebbe optare per il suggerimento alla stazione appaltante di rivedere le clausole contrattuali o sottoscrivere il contratto contestualmente ad un atto aggiuntivo che tenga conto dei costi extra covid-19 o ancora, laddove fossero decorsi i termini di efficacia dell’offerta e al ricorrere dei presupposti richiesti dalla norma di settore, per il recesso dell’operatore, mediante atto notificato alla stazione appaltante, con il rimborso delle spese contrattuali documentate.
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