tratto da lapostadelsindaco.it
Un Comune non può imporre tariffe fisse per le onoranze funebri
La Rivista del Sindaco  30/04/2020
 
La libertà di prestazione dei servizi sancita dal diritto comunitario contrasta la convenzione stipulata tra un Comune e le imprese funebri al fine di consentire alla cittadinanza l’accesso ad un servizio funebre decoroso con tariffe inferiori a quelle previste dal mercato. Inoltre, tale convenzione viola il divieto di intese restrittive della concorrenza. L’Antitrust si è pronunciato con il provvedimento As 1644 pubblicato sul bollettino del 10 febbraio 2020, dopo aver esaminato la delibera di giunta e lo schema di convenzione ad essa allegato, riguardo la disciplina dei rapporti dell’ente con le imprese funebri operanti sul suo territorio.
La PA in questione era intervenuta con dei provvedimenti atti a contenere i prezzi di mercato, in quello che è un settore particolare e delicato, non privo di orribili episodi di sciacallaggio nel nostro Paese, che finiscono per gravare sui parenti del defunto. Nonostante fosse mossa da uno scopo benevolo, l’Antitrust ha fatto partire un serie di rilievi riguardo l’amministrazione ed il suo operato, annunciando anche un ricorso al Tar per il sopracitato comportamento dell’ente, che non si è poi verificato, perché la giunta comunale ha corretto lo schema di convenzione riportandolo nei confini imposti dalle osservazioni dell’Authority.
In breve, i rilievi condotti dall’Antitrust hanno portato a giudicare la convenzione in grado di falsare l’equilibrio imposto alla concorrenza per queste ragioni:

1 – nel testo originario della convenzione si prevedeva, con l’articolo 4, la fissazione di un prezzo convenzionato dei servizi funebri offerti, ottenuto dall’ente previa indagine da parte dello stesso, basandosi sui prezzi applicati nei Comuni della zona, nonché in seguito ad un confronto svolto con le imprese esercenti. L’Agcm ha giudicato anticoncorrenziale la previsione di tariffe fisse, inderogabili al ribasso, trattandosi di una convenzione riguardante l’offerta di servizi commerciali. Se un’impresa convenzionata avesse ipoteticamente praticato tariffe inferiori a quelle concordate, si sarebbe trovata però ad essere esclusa dalla convenzione: fatto che ha costituito un’aggravante alla valutazione). L’autorità ha confermato che a rimedio dell’illegittimità rilevata “il prezzo convenzionato deve intendersi come un tetto massimo derogabile al ribasso, in tal modo lasciando aperta la possibilità che si sviluppino dinamiche competitive tra i diversi operatori del mercato”.

2 – l’altra colpa della convenzione rilevata dall’Antitrust riguarda l’adesione alla stessa, consentita soltanto alle imprese del settore aventi sede nel territorio comunale. In tale discriminazione si rivela un’ingiustificata limitazione all’esercizio della libertà d’iniziativa economica, come stabilita dall’articolo 41 della Costituzione.
Nonostante la convenzione non sia mai arrivata davanti al Tar, grazie agli aggiustamenti portati dalla giunta comunale interessata, tale pronuncia merita una certa attenzione, perché dimostra che gli interventi delle PA nelle dinamiche del mercato deve sempre rispettare la libertà d’impresa e l’osservazione delle regole atte a gestire una libera ed equa concorrenza.
Articolo di Loris Pecchia

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