tratto da camminodiritto.it
Prime osservazioni sul Decreto Legge n. 19 del 25 MARZO 2020: abolito criminis e art. 260 T.U. Leggi sanitarie (TULS)
 Giuseppe Ferlisi 1.606 -(Avvocato)
Nel decreto legge il legislatore ha sostituito la sanzione penale dell’art. 650 c.p. con una nuova sanzione amministrativa. Al contempo, ha ripreso una norma del Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934, inasprendone la pena, per punire la violazione della quarantena. (A cura degli Avv.ti Marco Nigro e Giuseppe Ferlisi)
 sabato 28 marzo 2020
 
Sommario: 1. Il D.L. 25 marzo 2020 quale copertura costituzionale dei prossimi DPCM; 2. L’abolitio criminis contenuta nel Decreto Legge; 3. La nuova sanzione amministrativa; 4. Quid iuris per le denunce raccolte in forza del precedente regime sanzionatorio?;  5. Il “nuovo” reato : art. 260 T.U. Leggi Sanitarie Tuls.; 6. Gli altri reati 
1. Il D.L. 25 marzo 2020 quale copertura costituzionale dei prossimi DPCM
E’ stato pubblicato in G.U. il D.L. 25 marzo 2020, n. 19 recante “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”, con vigenza dal 26 marzo 2020 (disponibile qui).
Nella sua prima parte, il decreto tende a garantire omogeneità ai futuri provvedimenti del Governo volti all’introduzione di misure di contenimento.  

Fino ad oggi, lo stato emergenziale era stato “gestito” ricorrendo ai DPCM (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), generando non poche polemiche in quanto emanati in difetto di una specifica attribuzione di rango primario.

Infatti, i decreti del presidente del Consiglio dei ministri si differenziano notevolmente dai decreti legge, usati comunemente dai Governi italiani: il DPCM entra in vigore direttamente, “saltando” sia il vaglio del Parlamento, sia quello del Presidente della Repubblica in ordine alla costituzionalità; i decreti-legge, invece, sono votati a maggioranza da Camera e Senato entro 60 giorni e devono, prima della loro emanazione, passare per la verifica di costituzionalità del Quirinale.
Tale questione, sollevata da numerosi costituzionalisti, è scevra dall’essere un esercizio di stile per il mondo giuridico, affondando, piuttosto, i propri interrogativi nella Costituzione stessa e quindi nelle regole auree che disciplinano il vivere sociale, quello che Rousseau chiamava appunto “patto sociale”.
Attraverso dei provvedimenti secondari (i DPCM), infatti, sono state limitate libertà costituzionali e previsti reati, laddove l’art. 13 Cost. subordina tale previsione alle fonti primarie: legge, decreti-legge e decreti legislativi.
Sulla scorta di ciò, e per contemperare le esigenze emergenziali determinate dal Covid-19 ed allo stesso tempo non disapplicare totalmente le norme ordinamentali, il Governo ha prima rassicurato il Parlamento attraverso un confronto con le camere ogni 15 giorni e poi emanato un vero e proprio Decreto-legge, al fine di porre sotto l’ombrello della piena efficacia tutte le norme atte a contrastare l’emergenza sanitaria.
Nel decreto del 25 Marzo viene stabilito quindi che, d’ora in avanti, l’adozione delle misure di contenimento, analiticamente descritte all’articolo 1 del decreto, verranno attuate “con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia (…)”.

In questo modo, tutti i futuri provvedimenti del Governo troveranno la propria fonte attributiva in una legge (in questo caso in un atto ad essa equiparato, ovvero un decreto-legge) garantendo, quindi, che il potere regolamentare attribuito al Governo, disciplinato dall’art. 17 della Legge 23 agosto 1988, n. 400 verrà esercitato attraverso una specifica attribuzione di rango primario.

2. L’abolitio criminis contenuta nel Decreto-legge.
Degne di nota, tuttavia, sono le disposizioni di carattere sanzionatorio previste all’art. 4, comma 8: “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Il decreto, infatti, stabilisce che il “mancato rispetto delle misure di contenimento”, individuate ed applicate con i provvedimenti adottati, verrà punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e contestualmente, nell’abito di una vera e propria abolitio criminis, prevede che non si applicheranno più le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge.
La fattispecie dell’abolitio criminis è disciplinata nell’ordinamento dall’art. 2 c.p. comma secondo e si realizza quando un fatto costituente reato secondo la legge vigente nel momento in cui esso si verifica, smette di essere considerato tale in forza di una legge successiva per abrogazione totale o parziale.  
Ai sensi dell’art. 2 c.p., quindi, si determina la non punibilità di coloro che, in questo periodo, abbiano subito la denuncia per il reato di cui all’art. 650 c.p.
Orbene, la norma introduce una singolare applicazione retroattiva della neo-introdotta sanzione amministrativa nell’ambito di una depenalizzazione del fatto tipico.

La soluzione appare discutibile ma certamente necessaria, e se ne comprendono gli scopi.

Ad oggi, da quanto è iniziato lo stato emergenziale con l’emanazione di decreti contenenti restrizioni, si sono registrate oltre 100.000 denunce per non aver osservato l’ordine dell’autorità (650 c.p.). [1]
Si comprende che per ogni notizia di reato, c’è ci sarà un fascicolo, l’acquisizione del certificato di nascita e residenza, il casellario, l’assegnazione ad un sostituto, la richiesta di archiviazione, il decreto di archiviazione; un lavoro forse inutile che rischiava di ingolfare ancor di più la macchina giudiziaria proprio in un momento di emergenza.
Crediamo che questi siano stati i motivi che abbia spinto il Governo ad optare per la depenalizzazione più rapida della storia.
Di tal che, se la retroattività della sanzione amministrativa non fosse stata espressamente prevista, vigendo il principio di irretroattività di cui all’art. 1, 1° co., L. 24.11.1981, n. 689 tutte le violazioni finora accertata sarebbero rimaste impunite.
Da segnalare che il mancato richiamo dell’art. 2, co. 2 – attribuibile a una svista (?) – rende in modo irragionevole non sanzionabile ai sensi dell’art. 4, co. 1 d.l. n. 19/2020 l’inosservanza delle misure adottate con ordinanza del Ministro della Salute.
3. La nuova sanzione amministrativa.
Secondo la regola generale di cui all’art. 3, co. 1 l. n. 689/1981, il nuovo illecito amministrativo può essere realizzato sia con dolo sia con colpa.  
L’agente verrà punito con la presupposizione della conoscenza o conoscibilità del provvedimento che la dispone; ciò che potrà scusare il soggetto agente sarà l’errore incolpevole (art. 3 comma 2 L. n. 689/1981) ovvero se il fatto viene commesso per stato di necessità ai sensi dell’art. 4 L. n. 689/1981 (a titolo di esempio: allontanamento dell’abitazione, pericolo di danno per la persona propria o altrui, acquistare un farmaco, soccorrere persona in pericolo).
Sempre secondo quanto disposto dal citato articolo, potranno applicarsi le cause di giustificazione del caso quali la legittima difesa, l’adempimento di dovere o l’esercizio di una facoltà legittima.
Inoltre, è applicabile in base all’art. 5 della predetta Legge il concorso di persone nell’illecito amministrativo, con l’effetto che ciascuno dei soggetti agenti (concorrenti) saranno sottoposti alla medesima sanzione.
Dal punto di vista economico, la sanzione pecuniaria va da 400 a 3000 euro, raddoppiata per la reiterazione.
Il Decreto in commento prevede anche una circostanza aggravante da applicarsi allorquando il mancato rispetto delle misure di contenimento avvenga attraverso l’uso di un veicolo, prevedendo per tale ipotesi un aumento fino ad un terzo della sanzione, facendo sì che la pena pecuniaria possa essere aumentata fino a 4000 euro.
Per ciò che concerne la competenza delle sanzioni, queste vengono attribuite al Prefetto, con la residuale competenza della Regione per le misure eventualmente più restrittiva da esse adottate.
Per l’esecuzione e l’accertamento, il Prefetto si avvale delle Forze di Polizia o delle Forze Armate, con espresso richiamo, per fortuna, della disciplina introdotta dall’art. 103 d.l. n. 18/2020 per quanto riguarda la sospensione dei termini del procedimento amministrativo fino al 15 aprile 2020.
È possibile il pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta, prevista con opportuno rinvio all’art. 202 commi 1 e 2 del codice della strada, con la possibilità, quindi, di pagare entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione la sanzione pecuniaria nell’ammontare minimo di 400 euro oppure, se il pagamento avviene entro 5 giorni, con la riduzione del 30%, quindi con 280 euro.
4. Quid iuris per le denunce raccolte in forza del precedente regime sanzionatorio?
Senza dubbio alcuno, i fatti non costituiscono più reato e i pubblici ministeri dovranno procedere con rituale richiesta di archiviazione; contestualmente gli atti dell’accertamento dovranno (o dovrebbero) essere trasmessi al Prefetto territorialmente competente affinché si possano irrogare le sanzioni amministrative, ridotte della metà (e salvo il pagamento in misura ridotta), per effetto dell’art. 4/8 D.L. 19/20.   
Dal punto di vista tecnico-giuridico, la depenalizzazione operata dal Legislatore può definirsi impropria, giacché non si è trasformata una contravvenzione in illecito amministrativo ma, in caso di mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, si è abolito il reato e si sono introdotte, in sua sostituzione, un illecito amministrativo ed un delitto, diversi a seconda del regime di applicabilità e, quindi, rispetto alla condotta del soggetto agente.
Come parzialmente già evidenziato in questo elaborato, grazie al richiamo degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999 n. 507, si realizzano due esigenze: da una parte si prevede un automatismo della trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente da parte dell’autorità giudiziaria; dall’altra, in assenza di tale disciplina transitoria, per il principio di irretroattività – operante anche per gli illeciti amministrativi – si evita l’impunità di coloro che in questo periodo sono stati colti in violazione delle disposizioni di contenimento e distanziamento sociale (Corte Cost. sent. nn. 196/2010 e 223/2018).
Pertanto, coloro che sono stati nelle scorse settimane denunciate per l’art. 650 c.p., si verificherà la possibilità, dopo la notificazione da parte del Prefetto, di effettuare un pagamento previsto dal legislatore stesso nel Decreto del 25 marzo di 200,00 euro, visto che nel citato provvedimento si statuisce che “le sanzioni applicate retroattivamente siano irrogate nella misura minima, ridotta della metà.”
Tale previsione è stata, infatti, inserita per rendere la disciplina dell’art. 4, co. 8 d.l. n. 19/2020 con il principio di irretroattività di cui all’art. 25, co. 2 Cost., secondo il quale possa applicarsi la nuova sanzione senza violarlo allorquando non comporti una punizione dell’agente più severa di quella al quale lo stesso sarebbe andato incontro sulla base della legge vigente al tempo del fatto.   
5. Il “nuovo” reato: l’art. 260 T.U. Leggi Sanitarie (T.U.L.S.)
Resta, invece, penalmente rilevante la violazione della misura di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e) (divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus) la quale verrà punita, salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie).
A tal fine il decreto muta il regime sanzionatorio della citata disposizione prevedendo che all’art. 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, le parole «con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a lire 800.000» siano sostituite dalle seguenti: «con l’arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000».
Tale reato non sarà integrato, invece, da coloro che non osservano la quarantena precauzionale, i quali saranno puniti a mezzo dell’illecito amministrativo già descritto.
La previsione congiunta di arresto e ammenda esclude di fatto la possibilità di oblazione e, trattandosi di contravvenzione, potrà essere commessa con dolo ma anche solo con colpa; non applicabili, invece, tentativo e recidiva.
Dal punto di vista dell’inquadramento, quello contenuto all’art. 260 del T.U. è un reato di pericolo per la salute pubblica, un pericolo astratto che si fonda sulla presunzione ragionevole e sorretta da evidenze scientifiche note, con la conseguenza che il giudice non dovrà accertare in concreto il pericolo causato dalla persona allontanatasi dall’abitazione.
Tuttavia, tale reato presenta un vero e proprio punto debole proprio nel provvedimento a “sostegno” della sanzione penale.
Infatti, esso presenta il vero e proprio neo del nuovo Decreto a causa dei dubbi, già sollevati da autorevoli commentatori, circa la legittimità del provvedimento che dispone la quarantena.
Trattandosi di misura che limita la libertà personale, l’articolo 13 della Costituzione riserva alla sola legge i casi e dei modi in cui la misura può essere disposta, con provvedimento motivato dell’Autorità giudiziaria, quanto meno nella forma della convalida.
Difatti, nell’attuale quadro normativo manca una disciplina organica della misura della quarantena.

Pur non essendo un vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio, si può tuttavia per analogia paragonare la quarantena al TSO per far notare le sue “mancanze”: nel caso di TSO il Sindaco può si disporre la misura, ma con l’obbligo di trasmettere entro 48h al Giudice Tutelare il provvedimento, che deve essere convalidato entro le successive 48 ore (cfr. l’art. 35 della l. n. 833/1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale)[2].

Di contro, chi viene oggi ristretto in quarantena nella propria abitazione, ovvero in ospedale o albergo requisito che sia, non ha la garanzia di una convalida come quella operante per un ristretto per TSO.
La mancanza di una Legge o comunque di un atto avente forza di legge pone in rilievo molti dubbi sulla legittimità del provvedimento di quarantena quale presupposto per il nuovo reato, con la conseguenza che il giudice penale, qualora ritenuto illegittimo il provvedimento di restrizione in quarantena, potrà escludere la responsabilità del soggetto agente per l’inosservanza.
A tal riguardo, decisivo per colmare il vuoto legislativo sarà un intervento del Parlamento in sede di conversione del Decreto n. 19/2020; il rischio è quello di pregiudicare l’effettiva applicazione della norma incriminatrice posta a presidio della più importante misura di contenimento dell’epidemia da coronavirus.
6. Gli altri reati
Per il rapporto con gli altri reati, resta salvo la possibilità che il soggetto agente incorra in sanzioni più gravi, soprattutto per coloro già ristretti in quarantena o coloro risultati positivi al test per il Covid-19. Per queste si rinvia all’articolo pubblicato su questo portale raggiungibile a questo link.

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