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Incarichi «impossibili» per gli avvocati degli enti pubblici

di Antonella Trentini (*)

 

Tra le tante novità portate dalla manovra 2016 amministrazioni è stata inserita al Senato una disposizione, diventata il comma 221 del testo definitivo, in cui si dice che «le regioni e gli enti locali provvedono alla ricognizione delle proprie dotazioni organiche dirigenziali secondo i rispettivi ordinamenti, nonché al riordino delle competenze degli uffici dirigenziali, eliminando eventuali duplicazioni. Allo scopo di garantire la maggior flessibilità della figura dirigenziale nonché il corretto funzionamento degli uffici, il conferimento degli incarichi dirigenziali può essere attribuito senza alcun vincolo di esclusività anche ai dirigenti dell’avvocatura civica e della polizia municipale. Per la medesima finalità, non trovano applicazione le disposizioni adottate ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ove la dimensione dell’ente risulti incompatibile con la rotazione dell’incarico dirigenziale».

Il vincolo dell’esclusiva

Durante l’iter parlamentare è stato fatto presente ai tecnici e politici l’incongruenza della disposizione, in quanto risulta in contrasto con una legge speciale, da ultimo l’articolo 23 della legge 247/2012, che non può essere derogata da una legge generale.

Per gli avvocati degli enti pubblici è infatti prevista la necessaria iscrizione a un elenco speciale. L’ente deve costituire un ufficio legale autonomo nell’ambito della propria pianta organica e inquadrare gli addetti all’ufficio legale in via esclusiva allo svolgimento delle funzioni legali di competenza, in piena libertà ed autonomia. 

Questi principi sono ribaditi costantemente dalla Cassazione, che ha più volte ricordato che gli avvocati pubblici devono occuparsi, in autonomia e indipendenza da ogni altro ufficio, esclusivamente della trattazione degli affari legali dell’ente, con esclusione di ogni attività di gestione amministrativa (si vedano sezioni Unite, sentenze 28049/08, 5559/02, 19547/10).

Il conflitto d’interessi 

Questo comma 221, oltre a mettere in discussione la ratio dell’articolo 23, comporta il rischio di una commistione di funzioni amministrative con quelle proprie dell’avvocato dell’ente pubblico (e il conseguente pericolo di cancellazione dagli Albi), unita alla necessità di reperire all’esterno la professionalità interna dispersa. Quest’ultimo fattore (incarichi legali esterni) è stato evidenziato quale area a rischio di corruzione, da ultimo, dall’Anac nella determinazione n. 12/2015(su cui si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 4 novembre). 

I criteri per l’interpretazione

La trascuratezza nella qualità e nella tecnica redazionale dei testi normativi degli ultimi anni non è una novità. Il “sistema delle fonti”, accezione con cui si intende un modo particolare di ordinazione degli atti con cui si producono norme, fa riferimento al principio per cui una fonte prevale su un’altra, configurandosi come condizione di validità/invalidità o vigenza o non vigenza dell’altra.

L’insieme delle fonti vigenti in un dato ordinamento costituisce un sistema rappresentabile idealmente come una piramide, al cui vertice stanno uno o più atti o parti di atti e sui cui gradini via via discendenti si dispone la serie degli altri.

Con «disposizione» si indica la proposizione scritta dal legislatore, il testo normativo licenziato da chi detiene il potere legislativo; con ‘norma’ ci si riferisce invece al significato ricavato attraverso l’interpretazione del testo. 

Quando i testi normativi in vigore sono incoerenti (come accade al comma 221), ossia producono “norme” tra loro incompatibili, allora si ricorre a un complesso di argomenti predisposto alla soluzione delleantinomie, ossia alla scelta della norma da privilegiare nel caso specifico.

Le preleggi forniscono agli articoli 1, 12 (e anche 15), i criteri per l’interpretazione della legge nei casi di incoerenza, che nel nostro ordinamento sono così riassumibili:

• il criterio cronologico, la cui applicazione porta a dichiarare l’abrogazione della legge meno recente; 

• il criterio gerarchico, che conduce invece a dichiarare l’invalidità della norma di grado inferiore; 

• il criterio della specialità, che conduce a privilegiare nel contrasto la norma particolare rispetto a quella più generale; 

• il criterio della competenza, che porta a risolvere il contrasto normativo decidendo quale sia l’atto o l’ordinamento competente a disciplinare la materia: questi sono appunto gli strumenti di base con cui l’interprete seleziona la norma da applicare al caso concreto, così da riportare a coerenza, a “sistema”, un insieme di norme che è realistico attendersi altamente contraddittorio.

La conseguenza 

Dal momento che il comma 221 della legge di stabilità 2016 contiene una chiara incoerenza e illegittimità – unita alla lettura che l’ufficio studi della stessa Camera ha dato, facendo riferimento al «dirigente amministrativo dell’Avvocatura civica» (pagina 132 delle schede di lettura, dossier Camera dei Deputati novembre 2015) – occorre interpretare la disposizione secondo il criterio della specialità.

Sulla base di questo criterio della specialità è da preferire la norma speciale (articolo 23 della legge 247/2012), a quella generale (legge di stabilità), anche se questa è successiva. In tal modo, sia le preleggi del Codice civile, sia l’interpretazione del legislatore determinano il significato da dare al comma 221: al dirigente amministrativo possono essere affidati «incarichi dirigenziali senza vincolo di esclusività», quel vincolo di esclusività che il dirigente amministrativo non ha mai avuto.

Ci troviamo di fronte ad un ennesimo mutamento “apparentemente” senza contenuti, che come direbbe il principe Salina «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

(*) Presidente Unaep, Unione nazionale avvocati enti pubblici 

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