tratto da Il Sole 24 Ore - 28 Ottobre 2019
Per il professionista dipendente della Pa l’Albo non è un costo
di Guglielmo Saporito – Il Sole 24 Ore – 28 Ottobre 2019
I professionisti dipendenti pubblici possono ribaltare sul datore di lavoro il costo dell’ iscrizione all’ Albo professionale. E ciò, in particolare, se l’ attività pubblica viene esercitata in regime di esclusiva. Le spese di iscrizione all’ Albo riguardano non solo avvocati e ingegneri, ma tutti coloro che da un lato “firmano”, quali professionisti abilitati, atti della pubblica amministrazione e dall’ altro abbiano un vincolo che impedisca l’ attività esterna a favore di terzi. Il caso più recente è quello deciso dal tribunale di Pordenone (sentenza 116 del 6 settembre 2019) e si riferisce ad alcuni infermieri professionali, legati da obbligo di esclusività con una Ausl.
In tal caso l’ iscrizione all’ Albo è stata riconosciuta a carico dell’ ente pubblico in quanto è stata ritenuta un requisito indispensabile per lo svolgimento dell’ attività. Nel caso, invece, l’ iscrizione all’ Albo non sia necessaria, ma sia sufficiente aver conseguito l’ abilitazione (superando l’ esame di Stato), non vi è alcun problema di oneri a carico della Pa. Ciò accade ad esempio per gli avvocati dello Stato, che non sono iscritti ad alcun Albo, o per alcuni medici del ministero della Salute; e questa è anche l’ opinione del Consiglio nazionale degli ingegneri (circolare 6340 del 21 ottobre 2015), che distingue tra professionisti abilitati e iscritti all’ Albo.
Ai fini del rimborso, occorre distinguere tra i titoli acquisiti per accedere e mantenere una posizione lavorativa (qual è, appunto, l’ iscrizione a un Albo professionale) e i titoli che, una volta acquisiti, diventano dote specifica del dipendente . Per esempio, la laurea, di cui il lavoratore beneficia sotto vari aspetti, non solo lavorativi: il costo per conseguirla non può, perciò, essere ribaltato sul datore di lavoro (Corte conti Puglia, deliberazione 29/2008). Stesso ragionamento per i titoli di qualificazione non indispensabili alla carriera (specializzazioni, master, ecc.) ma utili solo ai fini di punteggi o avanzamenti: non essendo obbligatori, quei titoli non possono essere a carico dell’ ente. I primi professionisti che hanno battagliato per ribaltare sul datore di lavoro gli oneri di iscrizione all’ Albo sono stati gli avvocati dell’ Inps e dell’ Inail (Cassazione, sentenze 7776/2015 e 3928/2007), seguiti dagli avvocati interni dei Comuni (Consiglio di Stato, parere 1081/2011).
Un’ importante estensione del principio riguarda i ruoli tecnici e di progettazione di opere pubbliche, in quanto il dipendente iscritto all’ Albo e con un rapporto esclusivo con la Pa, fruisce a spese dell’ ente di una copertura assicurativa sui rischi progettuali di natura professionale (articolo 24, comma 4, del Dlgs 50/2016, testo unico sugli appalti). Ragionamento che si può fare anche per i corsi di formazione obbligatori: se il dipendente non si può giovare di tali corsi in rapporti esterni (ad esempio, nella libera professione autorizzata) a causa di un vincolo di esclusività con la Pa, i relativi costi sono a carico di quest’ ultima.
L’ iscrizione dei dipendenti ad Albi pone al datore di lavoro pubblico problemi contabili per il pagamento dell’ Irap: secondo l’ articolo 3 del Dlgs 446/1977 tale imposta è a carico del datore di lavoro e ciò innesca un meccanismo di rivalsa verso i terzi quando, ad esempio, una lite si conclude con una sentenza che riconosca il rimborso delle “spese di lite” a favore dell’ ente pubblico. Insieme all’ importo quantificato dal giudice, l’ ente pubblico può chiedere anche una somma a titolo di Irap (circa il 20%) come onere accessorio riflesso (Consiglio di Stato, decisione 3738/2018 e Cassazione, sentenza 29375/2018).
Ciò sempre in forza del principio che ritiene accessoria e separata, rispetto alla retribuzione, ogni somma indispensabile e attinente alla professione. Come accadeva per l’ indennità di “cavalcatura” di medici e veterinari condotti che dovevano per raggiungere gli assistiti.
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