tratto da lavoripubblici.it - a cura di Giada Mazzanti

La disciplina legislativa posta a garanzia dei crediti di lavoro negli appalti ha subito, nel corso del tempo, importanti modifiche e si è oggi stratificata attorno a due norme fondamentali: l’articolo 1676 del codice civile e l’articolo 29, comma 2, del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

Come noto, in tema di appalti è particolarmente arduo il contemperamento tra le esigenze dei lavoratori di vedere tutelati i propri legittimi diritti, a prescindere dal datore di lavoro, e quelle dell’impresa, di adattare la struttura produttiva in base a criteri organizzativi ed economici.

La legge così, nel valutare l’operazione economica complessa che si realizza con il contratto di appalto e che coinvolge i contratti di lavoro, riconosce la sussistenza di un interesse comune in capo al committente e all’appaltatore, ed è tale interesse a giustificare l’operare della solidarietà.

La ratio delle obbligazioni solidali in materia di appalti è quella di far discendere delle conseguenze giuridiche ed economiche in capo a due imprenditori che traggono un comune vantaggio dall’utilizzo diretto e indiretto delle prestazioni lavorative. Il committente, pur rimanendo terzo rispetto al contratto di lavoro tra appaltatore e lavoratore, diventa diretto debitore del lavoratore. Dal punto di vista giuridico, l’appaltatore è l’unico datore di lavoro, titolare di tutte le situazioni attive e passive connesse al rapporto di lavoro e, nello specifico, dell’obbligazione retributiva e contributiva. Il committente, invece, resta soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro, a cui viene soltanto ricollegato ex lege, per il tramite della responsabilità solidale e in forza della stipulazione del contratto di appalto. La tecnica prescelta dal Legislatore è, dunque, quella di utilizzare la responsabilità solidale per ricollegare al rapporto di lavoro e agli obblighi che ne derivano un imprenditore (committente) che, attraverso la stipula di un contratto commerciale con un altro imprenditore (appaltatore), si inserisce nello svolgimento della prestazione lavorativa alle dipendenze di quest’ultimo, altrimenti rimanendone totalmente estraneo.

La disciplina legislativa posta a garanzia dei crediti di lavoro negli appalti ha subito, nel corso del tempo, importanti modifiche e si è oggi stratificata attorno a due norme fondamentali: l’articolo 1676 del codice civile e l’articolo 29, comma 2, del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

Queste norme hanno l’obiettivo di rafforzare la sfera patrimoniale dei lavoratori, la quale risulta garantita oltre che dal datore di lavoro appaltatore, anche dal committente e da tutti quanti assumano la veste di subappaltanti nella filiera contrattuale, attraverso il riconoscimento in capo a committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori, di diverse forme di responsabilità solidale relative ai crediti dei lavoratori utilizzati nell’appalto.

La norma più risalente, nel fissare una forma di responsabilità solidale tra committente appaltatore a tutela dei crediti dei lavoratori è l’articolo 1676 del codice civile.

Coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.

L’articolo 1676 c.c. contiene una disciplina di carattere generale, valida per ogni tutte le tipologie di appalto (come nel caso dell’art. 29 D.lgs. n. 276/2003) ed a tutti i datori di lavoro-committenti, comprese le persone fisiche non imprenditori.

La norma trova applicazione anche in riferimento al subappalto. Difatti, il subappalto altro non è che un vero e proprio appalto, con l’unica particolarità che, quale contratto derivato, dipende dal contratto che ne costituisce il presupposto, di identica natura, stipulato a monte (Cass. civ n. 24368/2017). La norma non consentirebbe invece, secondo l’opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza, l’azione diretta dei lavoratori dipendenti del subappaltatore nei confronti del committente principale. Nonostante la sua portata generale, l’articolo 1676 del codice civile prevede alcuni limiti.

Un primo limite riguarda l’oggetto dell’azione diretta. Questi crediti spettano ai lavoratori nei limiti dell’ammontare del debito che il committente ha nei confronti dell’appaltatore, al momento di proposizione della domanda, dovendosi intendere con tale termine anche la domanda stragiudiziale, ma non la semplice conoscenza che il committente abbia dell’inadempimento del datore di lavoro. La tutela prevista dall’art. 1676 c.c. ha ad oggetto i crediti retributivi maturati dai lavoratori durante l’appalto, sono invece estranei all’ambito di operatività della norma i crediti degli enti previdenziali ed assicurativi.

Un altro limite riguarda i soggetti che possono esperire l’azione diretta nei confronti del committente. In base all’interpretazione letterale della norma i legittimati attivi sono i lavoratori che hanno prestato la propria opera alle dipendenze dell’appaltatore. Sembrerebbero pertanto esclusi i lavoratori autonomi, i professionisti e in genere tutti coloro che, pur avendo prestato la propria opera nell’ambito dell’appalto, non siano legati da un vincolo di subordinazione con l’appaltatore.

In buona sostanza, l’azione diretta si fonda su quattro presupposti fondamentali:

  1. l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un imprenditore che, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, esercita un’attività diretta al compimento di un’opera o di un servizio nei confronti di un determinato committente verso un corrispettivo (ex art. 1655 c.c.);
  2. l’esecuzione della prestazione lavorativa per il compimento di quella particolare opera o di quello specifico servizio commissionati da quel determinato committente;
  3. l’esistenza di un credito di lavoro in capo ai suddetti lavoratori, inadempiuto da parte dell’appaltatore o datore di lavoro (articolo 2099 e segg. c.c.);
  4. l’esistenza di un credito dell’appaltatore verso il committente in relazione al compimento dell’opera o del servizio commissionatogli (articolo 1657 c.c.).

La norma è applicabile in caso di appalto pubblico (ai sensi della Cass. civ. n. 10439/2012 la disposizione in questione si applica anche al subappalto di lavori pubblici) e non ha prescrizioni o decadenze particolari o più brevi di quella ordinaria, se non quella quinquennale del credito retributivo di cui all’art. 2948 del codice civile.

A seguito dell’abrogazione della Legge n. 1369/19608, la norma cardine in materia di responsabilità solidale negli appalti è l’articolo 29, comma 2, D.lgs. n. 276/2003.

In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento”.

Un’interpretazione letterale dell’articolo 29, comma 2 D.lgs. n. 276/2003, ai cui sensi l’appaltatore è tenuto “a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti”, dovrebbe far pensare che soggetti beneficiari dell’obbligazione solidale di committente, appaltatore e subappaltatore siano i lavoratori e non gli enti previdenziali (ed assicurativi). La dottrina concordemente ritiene però che tale obbligazione operi a favore degli Enti, è pertanto pacificamente ammesso che tra i soggetti legittimati a far valere la responsabilità solidale di committente, appaltatore e subappaltatori per i contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori, vadano ricompresi gli Enti preposti alla riscossione contributiva, INPS, INAIL e Cassa Edile. Il rapporto previdenziale è un rapporto trilatero che vede protagonisti tre soggetti: il lavoratore dipendente, il datore di lavoro, l’ente previdenziale. Va riconosciuta l’autonomia del rapporto previdenziale dal rapporto di lavoro. La responsabilità solidale esplica, in questo ambito, la funzione di offrire una garanzia rafforzata ai crediti degli Enti, giustificata dalla particolare natura dei crediti che vengono in rilievo. Gli Enti previdenziali, pur essendo soggetti terzi rispetto al contratto di lavoro, sono titolari di crediti connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro e tali crediti sono considerati meritevoli di particolare tutela quando siano connessi ad un rapporto di lavoro afferente ad un contratto di appalto.

La legge 20 aprile 2017 n. 49, di conversione del D.L. n. 25/2017, ha escluso la possibilità per i Contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore, di prevedere metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, alternativi rispetto alla responsabilità solidale del committente.

La legge in questione ha inoltre soppresso la possibilità per il committente di eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore o del subappaltatore. Lavoratori ed Enti previdenziali possono liberamente scegliere di agire direttamente in giudizio nei soli confronti del committente, che spesso offre garanzie di solvibilità ben più ampie rispetto all’appaltatore, chiedendo direttamente nei suoi confronti il pagamento di quanto loro dovuto dall’appaltatore. Resta la possibilità per il committente che abbia pagato quanto dovuto in luogo dell’appaltatore, di agire in via di regresso nei confronti di quest’ultimo secondo le regole generali.

L’articolo 29 comma 2, D.lgs. 276/2003 si applica ad ogni tipologia di appalto ed è illimitato dal punto di vista quantitativo.

La disciplina vigente in materia di responsabilità solidale non è applicabile solo ai contratti di appalto di opere e servizi, ma anche a tutte quelle ipotesi in cui il rischio d’impresa viene traslato, pur in presenza di una genuina segmentazione del tessuto produttivo, dall’imprenditore economicamente più solido a quello più fragile, a garanzia delle obbligazioni retributive e contributive dei lavoratori. La domanda, formulata dai dipendenti del subappaltatore nei confronti del committente, deve essere respinta qualora il subappalto sia avvenuto in violazione delle disposizioni di cui al contratto tra committente e appaltatore.

La responsabilità solidale ex articolo 29, comma 2, di committente, appaltatore e subappaltatori è limitata ai soli trattamenti retributivi ed ai contributi previdenziali (e assicurativi) dovuti ai lavoratori dal datore di lavoro (appaltatore o subappaltatore) in virtù di previsioni di legge (si pensi al trattamento di fine rapporto), di contratto collettivo (si pensi alle clausole che individuano i trattamenti minimi) e delle clausole del contratto individuale (è il caso dei superminimi individuali). Con Sentenza n. 25679 e n. 25680, dell’11 ottobre 2019, la Corte di Cassazione ha chiarito che “nella dizione “contributi previdenziali” contenuta nel testo dell’articolo 29 anteriore alla riforma del 2012 debbano ritenersi compresi anche i premi INAIL”.

Restano ovviamente escluse dalla responsabilità solidale di cui all’articolo 29, comma 2, le somme dovute ai lavoratori che non rientrino in queste categorie di crediti, come, per esempio le indennità risarcitorie per licenziamento illegittimo. Infine, la responsabilità solidale del committente per i trattamenti retributivi dei lavoratori addetti all’appalto non si estende ai buoni pasto e all’indennità sostitutiva di ferie non godute, mentre comprende il c.d. rol (riduzione mensile orario di lavoro).

L’articolo 29 comma 2, D.lgs. 276/2003 è esteso anche ai sub-fornitori, secondo la sentenza della Corte costituzionale 6 dicembre 2017, n. 254.

Con la decisione n. 6299 del 5/3/2020, la Suprema Corte sez. Lav., ha ritenuto applicabile “la responsabilità solidale del committente anche con il subfornitore relativamente ai crediti lavorativi, contributivi e assicurativi dei dipendenti di questi”. Ai sensi della Sentenza Cass. n. 14431 del 2008 “il rapporto di subfornitura, enucleato al fine di dare adeguata tutela, a fronte di abusi che determinino un eccessivo squilibrio nei diritti e negli obblighi delle parti, alle imprese che lavorino in stato di dipendenza economica rispetto alle altre, riguarda il fenomeno meramente economico della cosidetta integrazione verticale tra imprese, ma è riferibile ad una molteplicità di figure negoziali” (vedi anche la Sent. Cass. n. 18186 del 2014).

In tal senso la nota dell’INL n. 9943 del 19/11/2019 e la nota della Direzione Centrale Rapporto Assicurativo – Ufficio vigilanza assicurativa dell’INAIL, del 26/11/2019.

L’articolo 29, comma 2 trova applicazione solo con riferimento al committente imprenditore o datore di lavoro, mentre in base al successivo comma 3-ter è esentato dall’obbligazione solidale il committente persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale.

«Fermo restando quando previsto dagli articoli 18 e 19, le disposizioni di cui al comma 2 non trovano applicazione qualora il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale».

Dalla lettura congiunta dei commi 2 e 3-ter dell’articolo 29 deriva che il regime di responsabilità solidale ivi previsto trova innanzitutto applicazione in tutti i casi nei quali il committente sia datore di lavoro e imprenditore, dotato di una propria organizzazione d’impresa. Inoltre, la responsabilità solidale opera anche in tutti quei casi in cui il committente datore di lavoro non sia dotato di una organizzazione strutturata in forma di impresa, ma sia comunque dotato di un apparato organizzativo materiale e/o personale che presenti le caratteristiche di un’attività svolta professionalmente. Infatti, in forza della disposizione del comma 3-ter, la responsabilità solidale si estende anche al committente che eserciti solo un’attività «professionale», requisito, questo, consistente nella stabilità e non occasionalità dell’attività esercitata.

In definitiva, resta esonerato dall’obbligo di responsabilità solidale solo il committente che, non dotato di alcuna organizzazione, stipuli un contratto di appalto per fini privati.

Viene inoltre ampliato il novero dei soggetti sottoposti al regime di responsabilità solidale: il lavoratore impiegato nell’ultimo subappalto può avanzare le proprie pretese creditorie nei confronti, oltre che del proprio datore di lavoro (appaltatore o subappaltatore), anche del committente, nonché di tutti i subappaltanti collocati «a monte» del subappalto per il quale presta la propria opera.

La disposizione non si applica alle Pubbliche amministrazioni, in forza dell’articolo 9, comma 1, Legge n. 99 del 2013.

La responsabilità solidale ex articolo 29, c. 2 è soggetta al limite temporale di due anni dalla cessazione dell’appalto.

Con Nota prot. n. 441 del 17 marzo 2021 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro rileva che la decadenza dettata nella fattispecie di cui all’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 possa essere “impedita dall’iniziativa del lavoratore intrapresa nel suddetto termine biennale attraverso il deposito del ricorso giudiziario ovvero, nell’accezione giurisprudenziale più ampia, anche per mezzo di un prodromico atto scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente”.

Il termine di decadenza di due anni dalla cessazione dell’appalto, entro il quale il committente può essere chiamato a rispondere in solido con l’appaltatore, è stato anche di recente oggetto di dibattito giurisprudenziale.

Con la sentenza del 4 Luglio 2019 n. 18004 la Suprema Corte ha sancito il principio secondo cui il termine di decadenza biennale, contemplato dall’art. 29, comma 2, del D.lgs. 276/2003, non è applicabile all’azione promossa dagli Enti previdenziali, essendo la stessa soggetta alla sola prescrizione quinquennale: “l’obbligazione contributiva, derivante dalla legge e che fa capo all’INPS, è distinta ed autonoma rispetto a quella retributiva (Cass. 8662/2019) essa (Cass. 13650/2019) ha natura indisponibile e va commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente (cd «minimale contributivo»)”. 

Con la Sentenza n. 22110 del 4 settembre 2019, la Cassazione ha nuovamente affermato che il termine biennale di decadenza previsto per la responsabilità solidale negli appalti riguarda solo i crediti retributivi vantati dai lavoratori e non anche i crediti contributivi degli Enti previdenziali, soggetti soltanto alla prescrizione ordinaria.

Con la sentenza sez. Lavoro n. 31144 del 28 novembre 2019 la Corte di Cassazione ha ribadito che il termine decadenziale di due anni previsto dall’art. 29, comma 2, del D.Lgs. 276/2003, va riferito solo all’esercizio dell’azione proposta dal lavoratore nei confronti del responsabile solidale e non è, invece, applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali ai fini del recupero della contribuzione dovuta “perché in tal caso il regime previdenziale, di per se indisponibile (da ultimo v. Cass. n. 13650 del 2019), sarebbe condizionato all’iniziativa del lavoratore che denunci l’irregolarità, mentre è risalente il principio in base al quale il rapporto di lavoro e quello previdenziale, per quanto tra loro connessi, rimangono del tutto diversi”.

Da tale quadro complessivo deriva che l’articolo 29, comma 2 è azionabile quando ricorrano presupposti oggettivi e soggettivi diversi rispetto a quelli previsti dall’articolo 1676 del Codice civile. Tra le due norme, dunque, non sussiste alcuna incompatibilità logica o giuridica. Anzi, considerati i rispettivi ambiti di applicazione oggettivi e soggettivi, sarebbe possibile per i lavoratori utilizzati nell’appalto, laddove ne sussistano i presupposti giuridici, procedere alternativamente all’azione ex articolo 1676 c.c. e a quella ex articolo 29, comma 2, D.lgs. n. 276/2003. Infatti, l’articolo 1676 c.c. mantiene sempre una funzione di garanzia generale, seppur limitata, a tutela del credito dei lavoratori subordinati impiegati negli appalti. In tutta una serie di casi nei quali la norma potenzialmente di maggior tutela (l’articolo 29, comma 2) non può essere applicata, la pretesa creditoria potrà essere fatta valere dai lavoratori per il tramite della disciplina del Codice civile. Inoltre, decorso il termine di decadenza di due anni posto dall’articolo 29, comma 2, il lavoratore potrebbe ricorrere all’azione diretta di cui all’articolo 1676 c.c., che non pone alcun termine di decadenza. Da questo punto di vista l’articolo 1676 c.c., mantiene, dunque, una portata «residuale» relativamente alle ipotesi non contemplate dall’articolo 29, comma 2 e rappresenta una vera e propria «norma di chiusura» del sistema di tutela del credito per i lavoratori subordinati impiegati negli appalti. L’art. 29, D.lgs. n. 276/2003 predispone una tutela di più ampio raggio rispetto alla norma del codice civile poiché si applica anche ai lavoratori diversi da quelli subordinati, oltre che alle imprese coinvolte nella catena degli appalti, che non siano dirette da committenti del datore di lavoro appaltatore.

L’art. 12-bis del D.L. n. 76/2020, introdotto in sede di conversione dalla Legge n. 120/2020, ha previsto una serie di novità in materia di diffide accertative per crediti patrimoniali (art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004) e di potere di disposizione (art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004).

Con Circolare n. 5 del 30 settembre 2020 e con Circolare n. 6 del 5 ottobre 2020, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito prime indicazioni al proprio personale ispettivo per un corretto utilizzo della diffida accertativa in caso di esternalizzazioni.

Un primo elemento di novità risiede nella estensione della platea dei destinatari della diffida. Il legislatore ha infatti espressamente previsto che “la diffida trova altresì applicazione nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, da ritenersi solidalmente responsabili dei crediti accertati”. Ciò comporta che la diffida accertativa, nell’ambito di un appalto o di una somministrazione di manodopera, avrà in ogni caso come destinatari sia il datore di lavoro sia il responsabile in solido, ai quali il lavoratore potrà dunque, indifferentemente, rivolgersi per dare esecuzione al titolo esecutivo.

Occorre verificare se, e in quale misura, la ratio e le funzioni della tecnica di tutela della responsabilità solidale, così come descritte nell’ambito delle ipotesi genuine di appalto, si accordino con l’apparato sanzionatorio «diretto» previsto per le ipotesi illecite di appalto e, in particolare, con la sanzione civilistica della costituzione del rapporto di lavoro in capo al committente. Le modalità di funzionamento del sistema sanzionatorio è quello predisposto dal Legislatore per la somministrazione irregolare, all’interno della quale, com’è noto, devono essere ricondotte tutte le ipotesi di appalto non genuino.

Il nucleo centrale dell’apparato sanzionatorio previsto per le ipotesi patologiche di appalto è costituito dall’articolo 29, comma 3-bis, D.lgs. n. 276/2003, che sanziona con l’invalidità l’appalto effettuato in violazione dei criteri di genuinità di cui al comma. La sanzione opera, dunque, nei casi in cui l’appaltatore risulti privo dei mezzi necessari per l’esecuzione dell’appalto, non avendo né assunto il rischio d’impresa, né esercitato il potere organizzativo e direttivo sui lavoratori impiegati nell’appalto. In presenza di un contratto d’appalto privo dei requisiti di cui all’articolo 29, comma 1, il lavoratore può chiedere al giudice la «costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze» dell’utilizzatore della prestazione, attivando un procedimento giudiziale anche soltanto nei confronti di quest’ultimo.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro rende noto che “la notificazione della diffida anche in capo al responsabile in solido rimane ferma anche in tutte le ipotesi in cui sia in corso un accertamento in ordine alla liceità o meno della fattispecie di esternalizzazione, accertamento che non può “interferire” con il provvedimento di diffida se non in relazione ai profili concernenti l’effettiva quantificazione dei crediti del lavoratore e rispetto ai quali si rinvia ai pregressi chiarimenti”.

L’INL, con nota n. 4539 del 15 dicembre 2020, ha offerto altre indicazioni sul potere di disposizione del personale ispettivo: “La disposizione potrà essere adottata in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano soggette ad apposite sanzioni penali o amministrative, ossia in caso di mancata o errata applicazione di obblighi normativi e contrattuali. Il riferimento agli obblighi contrattuali violati deve essere interpretato con riferimento al CCNL applicato anche di fatto dal datore di lavoro e in relazione alla parte normativa ed economica del CCNL; deve escludersi di norma, fatte salve le ipotesi già valutate positivamente e riportate in allegato, il riferimento alla parte obbligatoria dei CCNL (cfr. circolari INL nn. 9/2019 e 2/2020)”

Con Nota n. 62/2020 l’INL fornisce nuove precisazioni riguardo la possibilità di adottare la diffida accertativa ex art. 12, D.Lgs. n. 124/2004 ai datori di lavoro che operano nella Pubblica Amministrazione, sia come datori di lavoro diretti, sia in qualità responsabile solidale: “con nota n. 422 del 17 gennaio 2020, questa Direzione ha avuto modo di chiarire che le previsioni di cui all’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 “non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni”. Tale esclusione tuttavia non preclude ai lavoratori di fare ricorso alla tutela civilistica di cui all’art. 1676 c.c., agendo direttamente nei confronti dei soggetti committenti. Pertanto, nell’ipotesi in cui le amministrazioni pubbliche ricoprano il ruolo di responsabili solidali ai sensi del dettato di cui all’art. 1676 c.c., si ritiene possibile adottare il provvedimento di diffida accertativa per i crediti maturati dai lavoratori impiegati nell’appalto, “fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”. Va tuttavia ricordato che, ai sensi del D.Lgs. n. 50/2016, le stazioni appaltanti pubbliche sono abilitate al c.d. intervento sostitutivo nell’ipotesi in cui siano verificate inadempienze retributive da parte dell’appaltatore nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto. Nello specifico, il comma 6 dell’art. 30 stabilisce che “in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al personale di cui al comma 5 [ovvero il personale dipendente dell’affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi di cui all’articolo 105, impiegato nell’esecuzione del contratto], il responsabile unico del procedimento invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l’affidatario, a provvedervi entro i successivi quindici giorni. Ove non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine sopra assegnato, la stazione appaltante paga anche in corso d’opera direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’affidatario del contratto ovvero dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto ai sensi dell’articolo 105”. Pertanto, in considerazione di quanto sopra, si ritiene che nei confronti delle P.A. sia sempre preferibile far precedere l’eventuale notifica della diffida accertativa da una informativa rivolta alla stazione appaltante e all’appaltatore/datore di lavoro finalizzata all’attivazione delle citate procedure, con l’avvertenza che la mancata predisposizione delle misure previste dall’art. 30, comma 6, del D.lgs. n. 50/2016 entro un termine ragionevolmente contenuto comporterà l’adozione della diffida accertativa anche nei confronti della stazione appaltante”.

Il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) non impedisce agli Istituti e alle Casse Edili/Edilcasse il potere/dovere sanzionatorio e di riscossione coattiva, fino al pagamento del debito totale, anche attraverso lo strumento della Responsabilità solidale.

La normativa DURC on line attualmente vigente non risulta efficace per accertare la piena regolarità sostanziale di un’impresa, anche in vigenza di DURC in corso di validità. Come noto infatti, il DURC on line ha per oggetto la verifica dei pagamenti scaduti sino all’ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, mantenendo la validità per i successivi 120 giorni dalla data di effettuazione della verifica.

Nel caso di verifica negativa di regolarità o nel caso di assenza di DURC sussistono conseguenze procedurali e patrimoniali di rilevante importanza e inoltre, il DURC on line non è uno strumento sufficiente per evitare di incorrere in questi rischi.

La responsabilità solidale negli appalti rappresenta un fatto da tenere nella debita considerazione fin dalla fase di scelta del contraente. In ambito contrattuale le imprese hanno il diritto di tutelarsi.

L’appaltatore è tenuto a rispettare e a far rispettare le norme in materia fiscale, retributiva, contributiva, previdenziale e assicurativa contenute nelle disposizioni di legge e nel contratto collettivo nazionale e territoriale di riferimento. In ambito privato le imprese possono inserire nei contratti di appalto/subappalto clausole atte a chiedere l’esibizione di documenti probatori circa la regolarità contributiva e retributiva, subordinandone il pagamento. In ambito contrattuale risulta altresì indispensabile fare esplicito riferimento agli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro derivanti dall’applicazione del D.lgs. 81/2008 e s.m.i., tra cui la verifica dell’idoneità tecnico-professionale  dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori ai sensi dell’ Allegato XVII, (con verifica DURC), nonché agli obblighi relativi al controllo sul corretto versamento delle ritenute fiscali a cui sono tenuti l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori per i propri lavoratori dipendenti impiegati nell’appalto/subappalto, mediante la verifica di congruità delle deleghe di pagamento e delle informazioni relative ai lavoratori impiegati (con verifica DURF).

Risulta quindi opportuno che l’appaltatore dichiari di aver consegnato al committente tutta la documentazione necessaria per la verifica della propria idoneità tecnico professionale e, nel caso di opere la cui esecuzione sia affidata in subappalto, di impegnarsi ad effettuare la medesima verifica relativa al/ai subappaltatore/i. Sempre in ambito contrattuale è bene prevedere che l’appaltatore dichiari le posizioni previdenziali e assicurative INPS, INAIL e CASSA EDILE, e di applicare integralmente il Contratto collettivo nazionale e territoriale dell’edilizia. Risulta opportuno inserire i riferimenti ad appositi contratti di assicurazione per la RC “all risk” – C.A.R. ed a contratti di assicurazione suppletivi, nonché a garanzie fideiussorie rilasciate da istituti bancari o assicurativi, con finalità analoghe al settore dei contratti pubblici (ex art. 93, co. 3, D.lgs. 50/2016) da consegnare prima dell’inizio dei lavori, come  garanzia degli obblighi assunti in dipendenza del contratto, eventualmente impegnandosi a consegnare successivamente all’ultimazione dei lavori una polizza assicurativa decennale. E’ importante sottolineare che i committenti possono tutelarsi prevedendo contrattualmente la verifica DURC on line nei confronti di appaltatore/subappaltatore prima di procedere ai pagamenti. Diversamente, il pagamento potrebbe prefigurarsi incauto nel caso di situazioni di inadempienza da parte di quest’ultima e/o dei suoi subappaltatori.

Purtroppo non di rado accade, sia nell’edilizia pubblica che in quella privata, che vengano dichiarate maestranze in modo anomalo. Sebbene da un punto di vista formale niente possa venire eccepito, con la congruità emerge in tutta evidenza una palese contraddizione tra il costo complessivo dell’opera e l’incidenza del costo della manodopera impegnata per la sua realizzazione.

L’attuazione del sistema di congruità della manodopera rappresenta un’opportunità per far emergere il lavoro irregolare e per contrastare fenomeni di dumping contrattuale da parte di imprese che, pur svolgendo attività edile o prevalentemente edile, applichino contratti diversi da quello dell’edilizia, a danno della regolare concorrenza tra le imprese e delle tutele in materia di equa retribuzione, di formazione e sicurezza a favore dei lavoratori. La congruità mira a tutelare le imprese virtuose. Permette di evitare la concorrenza sleale e di prevenire conseguenze patrimoniali e procedurali per la filiera, attualmente non coperte dalla sola presenza di un DURC on line positivo. Le Parti sociali nazionali concordano sulla necessità che l’Istituto della Congruità sia accompagnato, a livello normativo, da disposizioni rigorose sull’obbligo della corretta applicazione, per tutti i lavori edili, della contrattazione collettiva dell’edilizia, in linea con quanto chiarito con la recente Sentenza della Corte di Cassazione, n. 9803/2020.

Negli Accordi delle Parti Sociali Nazionali del 10 settembre 2020 è stato ribadito che per le Casse Edili è un preciso obbligo attivarsi per recuperare il dovuto, in quanto i crediti rappresentano per la maggior parte salario differito dei lavoratori che solo convenzionalmente, per tramite del CCNL, viene accantonato presso le Casse Edili/Edilcasse. Risulta doveroso fare tutto ciò che è possibile per recuperare tali somme, anche per non creare elementi di concorrenza sleale tra le imprese. Anche durante la vigenza di un DURC on line regolare, la Cassa Edile/Edilcassa, laddove rilevi una irregolarità nelle denunce e/o nei versamenti delle contribuzioni, dovrà segnalare tale aspetto alle imprese, avviando la procedura stabilita nella Comunicazione n. 325 CNCE del 2007, prospettando anche lo strumento della rateizzazione, elemento bonario di recupero delle somme non accantonate a favore dei lavoratori.

Con Comunicazione n. 773 del 21 aprile 2021 la Commissione Nazionale paritetica per le Casse Edili ha reso noto che, dopo la sigla del Protocollo INL/CNCE dell’11 marzo 2021 (cfr. Com. CNCE n. 765/2021), si è tenuta il 12 aprile scorso la prima riunione del tavolo tecnico nazionale permanente di cui al protocollo stesso, alla presenza del Direttore Centrale Direzione Centrale Tutela, Sicurezza e Vigilanza del Lavoro (INL) e del suo staff e della Direzione e della Presidenza della CNCE. Con la Comunicazione in questione la Commissione Nazionale paritetica per le Casse Edili ha trasmesso prime istruzioni operative, per l’attuazione del Protocollo da parte delle rispettive articolazioni territoriali.

Stante, infatti, l’importanza che rappresenta la sottoscrizione del Protocollo INL/CNCE, si reputa fondamentale poter contare su una linea di indirizzo comune e su indicazioni operative che rendano il più possibile omogenei a livello territoriale gli interventi del caso, nel perseguimento degli interessi comuni della lotta al dumping contrattuale, della lotta ai fenomeni di irregolarità, per la promozione della trasparenza, della legalità e della correttezza degli operatori, affinché si garantisca una leale concorrenza sul mercato [  ]. La CNCE e l’INL hanno condiviso, inoltre, la volontà di attivare sin da subito le iniziative formative, di aggiornamento e di informazione reciproche di cui alla lettera d) del Protocollo d’intesa. A tal fine, ferme restando le iniziative formative che saranno sviluppate a livello locale, le parti condividono l’attivazione di iniziative congiunte in materia dumping contrattuale e di congruità nel settore dell’edilizia. In attuazione del punto 3 del Protocollo, il quale prevede campagne comuni di informazione e azioni in materia formativa, le parti si impegnano alla realizzazione di webinar su tematiche di comune interesse”.

Il tavolo tecnico nazionale si riunirà entro la fine dello stesso mese di luglio prossimo per l’analisi di quanto sopra.

Nessun tag inserito.

Torna in alto