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Impossibile conciliazione tra anticorruzione e giurisdizione che difende l’intuitu personae

L. Oliveri (La Gazzetta degli Enti Locali 26/9/2018)

“Constatato che esistono davvero delle anime candide fortemente convinte che in Italia il concorso pubblico sia da sostituire col “curriculum ed il colloquio” e da contratti a termine, non si può che prendere atto che l’obiettivo di un sistema non inquinato da conflitti di interessi giganteschi nel reclutamento e nei rapporti tra pubblico e privato è di là da venire. Nonostante le molte norme “anticorruzione”, caratterizzate, purtroppo, da una lotta ai conflitti di interesse più di facciata che concreta, per quanto caratterizzata da migliaia di adempimenti fine a se stessi.

Diventa impresa più disperata che improba provare a tenere fuori dalla gestione l’inquinamento degli interessi collettivi con quelli privati, cioè la sostanza del conflitto di interessi combattuto dalla legge 190/2012, se è la giurisprudenza per prima a fornire interpretazioni incoerenti quando non bislacche sulle modalità di reclutamento nel settore pubblico e, comunque, nell’ambito di quei soggetti che gravitino, anche solo come “clienti” dei poteri pubblici.

Ne costituisce esempio la vicenda che riguarda l’assunzione di una persona da parte di una società operante nel campo degli appalti pubblici, “spinta” da uno dei componenti del Cda dell’allora Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, di cui si occupa la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione sesta penale n. 40344 del 11 settembre 2018.

La pronuncia degli ermellini annulla con rinvio la decisione della Corte di appello di assolvere l’imputato, componente del Cda dell’Avcp, che aveva fortemente raccomandato una persona perché venisse assunta dall’azienda, nel corso di una procedura volta ad esprimere un parere per la società destinataria della “spinta”, quale chiaro “incentivo” all’espressione del parere favorevole, poi in effetti espresso, così come in effetti anche l’assunzione richiesta venne effettuata, sia pure per breve tempo.”

QUI la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione sesta penale n. 40344 del 11 settembre 2018.

 

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