E’ legittimo il diniego di cittadinanza italiana per motivi di pubblica sicurezza, essendo emersi contatti con soggetti controindicati riconducibili al terrorismo islamico. Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 20 maggio 2021, n. 3896

L’art. 9, l. n. 91 del 1992 dispone che la cittadinanza italiana “può essere concessa”, sicché in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità il provvedimento di relativo diniego della concessione – pur sindacabile per i suoi eventuali profili di eccesso di potere – è insindacabile per i profili di merito della valutazione dell’Amministrazione.

Ebbene, come statuito dalla stessa Sezione terza, “l’ampia discrezionalità alla base del provvedimento di concessione della cittadinanza, irrevocabile una volta concessa, non rende irragionevole il diniego fondato sul sospetto di appartenenza ad organizzazioni eversive ovvero su di un pericolo per la sicurezza dello Stato, dal momento che lo stesso non potrebbe poi essere più espulso: non si tratta, infatti, di limitare diritti fondamentali della persona garantiti a livello costituzionale e comunitario, bensì della negazione di un beneficio la cui concessione è subordinata ad una valutazione di opportunità politico-amministrativa altamente discrezionale, rispetto alla quale la posizione soggettiva del richiedente ha consistenza di interesse legittimo, atteso che l’attribuzione del nuovo status di cittadino comporta l’inserimento dello straniero, a tutti gli effetti, nella collettività nazionale e l’acquisizione a pieno titolo, da parte dello stesso, dei diritti e dei doveri che competono ai suoi membri, tra i quali quelli connessi all’obbligo di concorrere alla realizzazione delle finalità che lo Stato persegue”.

Inoltre, il parametro della “motivazione sufficiente” non ha carattere rigido né assoluto, ma si presta ad essere adeguatamente calibrato in funzione, anche, della delicatezza degli interessi, pubblici e privati, coinvolti, che potrebbero ricevere pregiudizio già per effetto di un indiscriminato ed incontrollato palesamento dei fatti accertati dall’Amministrazione e degli strumenti istruttori utilizzati: sì da legittimare un assolvimento “attenuato” dell’obbligo esplicativo delle ragioni del provvedimento, da parte dell’Amministrazione, quando una più ampia disclosure, già nel contesto del provvedimento medesimo, dei dati e delle informazioni in possesso dell’Amministrazione potrebbe costituire, come nella specie, un attentato alla segretezza connaturata allo svolgimento di investigazioni particolarmente penetranti ed in ambiti estremamente rischiosi.

Da questo punto di vista, risulta ineludibile la distinzione tra motivazione del provvedimento di diniego, la cui estensione, ai fini della valutazione della sua sufficienza in concreto, deve essere perimetrata alla stregua dei principi che precedono, e sindacato di legittimità secondo il paradigma dell’eccesso di potere, al cui esercizio concorrono tutti gli elementi istruttori acquisiti ed acquisibili, anche (come avvenuto nella specie) nell’esercizio dei poteri istruttori spettanti al giudice amministrativo.

Trattandosi dell’esercizio di valutazioni di matrice squisitamente discrezionale, ai fini del cui compimento viene in rilievo l’interesse superiore dell’ordinamento a non attribuire lo status di cittadino a chi non offra piene garanzie di rispettare i valori fondamentali sui quali si fonda la comunità statuale, anche elementi meramente indiziari sono idonei a legittimare una conclusione di incompatibilità del riconoscimento con il superiore interesse alla sicurezza dello Stato, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. c), l. n. 91 del 1992.

Nel caso di specie, a seguito dell’istruttoria sono emersi elementi esplicativi sulla base dei quali, ragionevolmente, è stata negata la cittadinanza italiana per motivi di pubblica sicurezza, essendo emersi contatti con soggetti controindicati riconducibili al terrorismo islamico; nella relazione del Ministero, si pone l’accento sulla delicatezza della problematica, potendo sussistere ripercussioni nei rapporti internazionali a causa di atti commessi da un cittadino italiano nei confronti di Paesi terzi, e conseguente esigenza di utilizzare parametri rigorosi nell’accertamento della pericolosità del richiedente la cittadinanza.

Le ragioni addotte dal Ministero risultano serie e giustificano ragionevolmente, nell’ottica della prevenzione, il diniego di cittadinanza.

Neppure sussiste la contraddittorietà tra le determinazioni dell’Amministrazione in relazione all’avvenuto rilascio della carta di soggiorno, in quanto si tratta di condizioni non paragonabili tra loro: il cittadino straniero lungosoggiornante nello Stato può essere espulso ove ne ricorrano i presupposti; il cittadino italiano non è passibile di espulsione, non può essere soggetto a controlli e la sua condotta all’estero comporta ripercussioni per lo Stato italiano.

Ne consegue che il concetto di pericolosità viene declinato secondo modalità differente nel caso della carta di soggiorno rispetto alla cittadinanza italiana.

Consiglio di Stato, Sez. III, sent. del 20 maggio 2021, n. 3896

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