Con una decisione recente il TAR Lazio 826/2021 ha preso in esame un ricorso presentato da commercianti del centro urbano di Roma che lamentavano la mancata adozione del Piano di massima occupabilità del suolo pubblico.
A giudizio dei ricorrenti, il ritardo nell’adozione del provvedimento avrebbe causato un danno derivante, sia dalle contravvenzioni elevate a loro carico, sia nella limitazione nell’esercizio dell’attività commerciale.
Il TAR afferma, innanzitutto che “qualunque ristoro presuppone il previo completamento del procedimento di approvazione del PMO”. E una volta che il Comune ha approvato il nuovo Piano, si evidenzia che gli spazi antistanti ai locali degli istanti non rientrano nelle occupazioni consentite.
Ne consegue che, nella fattispecie, non può affermarsi il diritto delle istanti al risarcimento richiesto, risultando per tabulas che – con l’adozione del P.M.O. – alle stesse è stata denegata la sostanziale spettanza del bene della vita anelato, non essendo stata prevista la possibilità di concessione di OSP per i civici di pertinenza dei loro esercizi, il cui riconoscimento avrebbe invece costituito, come spiegato, il presupposto per la nascita dell’obbligazione risarcitoria, anche alla luce di quanto dedotto negli atti difensivi, per cui il danno coinciderebbe con le sanzioni elevate a carico delle ricorrenti per aver allestito delle OSP in difetto di concessione, a causa del ritardo nell’approvazione del P.M.O..
Né può ritenersi che il mero ritardo suddetto possa aver determinato simili scelte, pregiudizievoli per le ricorrenti, posto che risulta in atti (ed è riconosciuto dalle stesse ricorrenti) che l’Amministrazione nel tempo ha comunque più volte esternato – sia nelle schede tecniche che nei criteri generali, nonché nei provvedimenti adottati a fronte delle istanze di concessione di OSP presentate dalle singole società ricorrenti – l’impossibilità di concessione di un’occupazione per la via qui di interesse; di talché è da escludersi che per tali società si potesse formare un affidamento sul possibile raggiungimento del bene della vita anelato.
Ma aggiungono i giudici che è da considerare anche, che in conformità ai doveri di ordinaria diligenza nelle relazioni intersoggettive che informano l’ordinamento e che richiedono di responsabilmente attivarsi, nel limite di un apprezzabile sacrificio, al fine di evitare che la situazione produttiva del danno si aggravi con il passare del tempo, anche in tema di danno da ritardo occorre valutare non il solo comportamento dell’Amministrazione, ma anche la condotta del danneggiato, il quale è parte essenziale ed attiva del procedimento; e, in tale veste, dispone di capacità idonee ad incidere sulla tempistica e sull’esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giurisdizionali offertigli dall’ordinamento. L’indifferenza manifestata in ordine a tali rimedi rileva come comportamento causalmente orientato ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. (cfr. art. 30 c.p.a.) in ordine all’accertamento della spettanza del risarcimento, nonché alla quantificazione del danno risarcibile (cfr. tra le ultime Consiglio Stato n. 6351/2020, n. 1828/2020). A questo riguardo, pertanto, il Collegio deve rilevare che le ricorrenti hanno agito avverso l’inerzia soltanto dopo molteplici anni e che – soprattutto – non consta che le stesse abbiano nel tempo gravato i singoli provvedimenti di diniego adottati dall’Amministrazione, versati in atti, di cui pur lamentano l’illegittimità nell’odierno ricorso.
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