Tra il giudizio relativo al provvedimento interdittivo e il giudicato formatosi in sede penale vi è un rapporto di autonomia.
CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA, Sezione giurisdizionale, 14/08/2023, n. 528
Tra il giudizio relativo al provvedimento interdittivo e il giudicato formatosi in sede penale vi è un rapporto di autonomia.
La misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di massima anticipazione della soglia di difesa sociale finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti effettuati in sede penale di carattere definitivo.
Questo quanto stabilito dal CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA, Sezione giurisdizionale, 14/08/2023, n. 528 nel respingere l’appello:
Il Collegio osserva quanto segue.
Tra il giudizio relativo al provvedimento interdittivo e il giudicato formatosi in sede penale vi è un rapporto di autonomia.
La misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di massima anticipazione della soglia di difesa sociale finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti effettuati in sede penale di carattere definitivo.
L’esistenza della contiguità del soggetto con organizzazione malavitose può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa sussistere il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.
“Il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere ad un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa” (Cons. St., sez. III, 21 giugno 2022, n. 5086).
Facendo corretta applicazione dei principi ora richiamati costituiscono certamente indizi (pur se non prove) le dichiarazioni del collaboratore di giustizia ………, utili a suffragare il giudizio prognostico negativo da formulare alla stregua del criterio del “più probabile che non”.
Allo stesso modo assurgono alla dignità di indizi le circostanze di fatto evincibili dalle intercettazioni telefoniche citate dal giudice penale.
La sentenza del Tar non si pone in contrasto con il giudicato del giudice penale. Tra il giudizio del giudice penale e quello del giudice amministrativo deve esserci non un rapporto di uniformità del giudicato, bastando che sia rispettato il principio di coerenza tra i due procedimenti che si celebrano innanzi le differenti giurisdizioni.
Coerente è il giudizio del giudice amministrativo che valuta alla stregua del principio “del più probabile che non” gli stessi fatti la cui esistenza non è negata dal giudice penale, ma che dallo stesso non sono stati dichiarati idonei a raggiungere la dignità di “prova piena”.
Occorre ribadire che “ciò che la disciplina primaria del potere di cui si tratta ha di mira non è infatti la dimostrazione della sussistenza di legami con la criminalità organizzata: ma l’esistenza di elementi fattuali dai quali si possa ragionevolmente inferire la probabilità che una infiltrazione (in termini di contiguità c.d. compiacente, ovvero soggiacente) possa verificarsi, avuto riguardo alle caratteristiche soggettive ed oggettive dell’impresa (non a caso si tratta di un potere di prevenzione antimafia)” (Cons. St., sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1065).
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