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L’accesso difensivo non può essere trasformato in uno strumento di ispezione popolare sull’efficienza di un soggetto pubblico o di un determinato servizio

di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
La recente sentenza tratta della tematica dell’ammissibilità di richieste di accesso agli atti e documenti per esigenze di difesa in giudizio del cittadino. L’istituto del c.d. “accesso difensivo” (o defensionale) trova la sua fonte principale nell’art. 24 comma 7, L. n. 241 del 1990, secondo cui “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”. La materia occupa la dottrina [Binda M., diritto di accesso cd. “difensivo” e segreto d’ufficio a tutela di interessi pubblici, Banca Borsa Titoli di Credito, 2/2015] e la giurisprudenza, in materia di appalti, di sanzioni amministrative etc.. Il valore della difesa in giudizio, costituzionalmente tutelato, è inteso in maniera ampia e il giudice dell’accesso non è il giudice del processo principale (anche perché al momento dell’accesso il processo potrebbe essere solo potenziale, T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, sent. n. 56 del 2019), essendo spesso sufficiente la mera enunciazione, da parte del richiedente, della finalità difensiva cui è preordinato l’accesso (T.A.R. Toscana, Sez. III, sent. n. 632 del 2019).
In materia di appalti e concessioni, l’accesso difensivo è attualmente disciplinato dall’art. 53 comma 6, D.Lgs. n. 50 del 2016 per cui la tutela del segreto tecnico o commerciale (del privato) recede a fronte della presentazione di un’istanza di accesso preordinata alla tutela giurisdizionale del richiedente. Affinché l’accesso defensionale prevalga sulla tutela del segreto tecnico o commerciale, tuttavia, è necessario che ricorra un’attuale e specifica esigenza difensiva e dunque siano stati impugnati gli atti della procedura di affidamento, ai fini di ottenerne l’annullamento e, comunque, il risarcimento del danno, anche in via autonoma (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, sent. n. 10738 del 2017). Per una tesi più mite si veda Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 6083 del 2018.
In materia di bilanciamento tra il diritto di difesa e il diritto alla riservatezza molto è stato scritto e vi sono due posizioni giurisprudenziali, una più vicina al diritto di difesa (Cons. Stato, Sez. III, sentt. n. 2890 del 2018n. 2574 del 2017 e n. 130 del 2015) e una più vicina alla tutela della riservatezza individuale (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 600 del 2014) nonché molte altre con varie sfumature intermedie (Cons. Stato, Sez. III, ord. n. 4600 del 2019).
La questione trattata dal TAR fiorentino riguarda l’esercizio del diritto di accesso documentale per esigenze difensive su cui è sorta contestazione in parte con riferimento ai presupposti (connessione e pertinenza dei documenti con la difesa in altro giudizio, peraltro già pendente) e in parte con riferimento alle modalità/entità della documentazione richiesta. Infatti, nel caso specifico, l’ente pubblico aveva opposto diniego alle numerose istanze di accesso documentale, ex L. n. 241 del 1990, non per carenza di interesse del richiedente ma prevalentemente per abnormità della documentazione richiesta in quanto riferita a una quantità indefinita di atti, non specificamente individuati (tutti gli atti relativi a…), afferenti a un numero altrettanto irragionevole di segnalazioni, diffide, richieste d’informazioni, esposti, ordinanze etc.; mentre come noto, l’Amministrazione, in sede di accesso, è tenuta a produrre documenti individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto, e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi, atteso che richieste generiche sottoporrebbero l’Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità degli uffici, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sent. n. 366 del 2016Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 68 del 2016).
Il TAR però non chiude la sentenza limitandosi a esaminare le richieste del cittadino alla luce della normativa in materia di accesso documentale (L. n. 241 del 1990) ma compie un’apertura a favore del richiedente profilando la possibilità per lo stesso di esercitare il proprio diritto di accesso civico, di cui al D.Lgs. n. 33 del 2013, sia mediante consultazione dei documenti sulle pagine web dell’ente, sia formulando richiesta di accesso civico generalizzato ma, anche in questo caso, non senza limiti oggettivi [Amodio A., Dall’accesso documentale all’accesso civico generalizzato: i nuovi paradigmi della trasparenza dell’azione amministrativa, su Giustamm.it, n. 5/2018]. Il TAR sottolinea che anche l’accesso generalizzato «dovrà essere utilizzato senza abusare dello stesso, bensì nell’ambito delle finalità partecipative perseguite dal legislatore e di un rapporto di leale collaborazione tra cittadini e Amministrazione». Sulla base di tali condizioni si dovrà concordemente pervenire alla corretta individuazione dell’oggetto dell’istanza di accesso civico, che, anche se libera da requisiti soggettivi legittimanti (motivazione), dovrà comunque identificare “i dati, le informazioni o i documenti richiesti” ex art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 33 del 2013; non potendo, da una parte, anche in base a tale disciplina, essere ritenute ammissibili richieste meramente esplorative, cioè volte semplicemente a scoprire di quali informazioni l’Amministrazione dispone, o manifestamente irragionevoli, tali cioè da dover comportare un carico di lavoro in grado d’interferire con il buon funzionamento dell’Amministrazione (come quella oggetto del presente giudizio); e dall’altra, dovendosi quest’ultima astenere dall’opporre preclusioni automatiche e assolute alla conoscibilità dei documenti richiesti, al di fuori dei casi previsti dall’art. 5-bis, comma 3, del citato D.Lgs. n. 33 del 2013. Il TAR ricorda che l’esistenza di un’indagine penale non è di per sé causa ostativa all’accesso ai documenti se quest’ultimi non sono confluiti nel fascicolo del procedimento penale e non rientrano tra gli “atti di indagine compiuti dal pubblico ministero”, di cui all’art. 329 c.p.p..
In tema di accesso civico generalizzato, è stato ritenuto legittimo il diniego avverso una istanza per ottenere tutte le determinazioni dirigenziali, con relativi allegati, adottate da tutti i responsabili dei servizi in un determinato anno; infatti, per come proposta, la suddetta istanza ostensiva non è altro che una manifestazione sovrabbondante, pervasiva e, in ultima analisi, contraria a buona fede dell’istituto dell’accesso generalizzato; la medesima istanza, inoltre, configura, in particolare, un’ipotesi di “richiesta massiva”, così come definita dalle Linee Guida adottate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) con determinazione del 28 dicembre 2016, che impone un facere straordinario, capace di aggravare l’ordinaria attività dell’Amministrazione, nonché di abuso del diritto (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, sent. n. 1951 del 2017) [Furiosi E., L’accesso civico “generalizzato”, alla luce delle Linee guida ANAC, su Giustamm.it n. 4/2017].

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