Risarcimento danni – Danno da ritardo – Indennizzo – Art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 – Natura
Risarcimento danni – Danno da ritardo – Indennizzo – Art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 – Conseguenza del mero decorso del termine – Esclusione.
L’indennizzo per il ritardo della pubblica amministrazione è previsto a fronte di una attività illegittima della stessa Amministrazione, ossia in conseguenza alla violazione di un termine cogente (1).
La natura compensativa dell’indennizzo di cui all’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 e la circostanza che esso sia configurato quale rimedio ad una attività illecita della Pubblica amministrazione ostano a ritenere che il relativo diritto sorga solamente come conseguenza automatica della violazione del termine per provvedere, e cioè a prescindere dalla sussistenza di una lesione ad un interesse meritevole di tutela ulteriore e distinto da quello alla tempestiva conclusione del procedimento (2).
(1) Ha preliminarmente ricordato il Tar che l’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 riconosce al danneggiato dal ritardo della P.A. due azioni concorrenti tra loro, una avente ad oggetto il risarcimento del danno vero e proprio e l’altra relativa all’indennizzo per il “mero” ritardo. Quest’ultimo istituto è immediatamente applicabile alle fattispecie regolate dalla norma, anche se non risulta emanato il regolamento al quale lo stesso art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 consente di disciplinare modi e condizioni (atteso che la stessa norma rinvia prima di tutto “alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge”, rispetto alla quale l’emanazione del regolamento ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. 23 agosto 1988, n. 400 è dunque solo facoltativa).
Le due azioni dell’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 dipendono da un medesimo presupposto in fatto (ossia la violazione del termine di conclusione del procedimento) e condividono la medesima finalità compensativa (dato che l’importo dell’indennizzo, ove riconosciuto dal giudice, va detratto da quello del risarcimento, escludendosene dunque la cumulatività, cfr. anche Adunanza Plenaria, sentenza n. 1 del 2018, punto 6.3.2), differenziandosi solo quanto a presupposti ed ambito oggettivo dell’illecito risarcibile.
A tal proposito, si osserva che il termine “indennizzo” o “indennità” è utilizzato dal legislatore in significati diversi e non univoci, essendo talvolta sinonimi di risarcimento (come nel caso dell’art. 2045 cod.civ.), anche in rapporto a pregiudizi conseguenti ad un legittimo provvedimento di revoca (art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990), o comunque di attività legittime della PA (come nel caso delle della dipendenza da cause di servizio), altre volte di corrispettivo (come nei casi dell’espropriazione), o ancora di ristoro per un mancato esercizio di attività dovuta (come nel caso dell’art. 1381 cod.civ.) o necessitata per ragioni di protezione dell’agente (come nel caso dell’art. 2045 cod.civ.) e così via.
L’indennizzo è, dunque, un meccanismo che la legge predispone a fronte di attività legittime l’esercizio delle quali comporta il sacrificio di altri valori o interessi (ritenuti cedevoli) e che è rivolto ad assicurare un ristoro ed un parziale riequilibrio di questi ultimi per motivi di equità sostanziale.
Ma, nel caso di cui all’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990, non è possibile rinvenire i tratti caratteristici dell’istituto appena descritti, perché l’indennizzo per il ritardo è previsto a fronte di una attività illegittima della PA, ossia in conseguenza alla violazione di un termine cogente.
Non si è, dunque, in presenza dell’esercizio di una facoltà della parte pubblica (perché quest’ultima è titolare dell’obbligo a provvedere, che va esercitato nei termini previsti, a meno di non voler sostenere che l’Amministrazione abbia l’obbligo di concludere il procedimento entro il termine ed al contempo la facoltà di non rispettare quest’ultimo) e per tale ragione non si pone un problema di riequilibrio di interessi meritevoli di tutela in conflitto tra loro.
(2) Ha chiarito la Sezione che la natura compensativa dell’indennizzo di cui all’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 e la circostanza che esso sia configurato quale rimedio ad una attività illecita della P.A., ostano, dunque, a ritenere che il relativo diritto sorga solamente in consegua automatica della violazione del termine per provvedere, e cioè a prescindere dalla sussistenza di una lesione ad un interesse meritevole di tutela ulteriore e distinto da quello alla tempestiva conclusione del procedimento.
A ciò conducono due ordini di considerazioni.
Secondo un primo rilievo, laddove si affermasse, come prospettano i ricorrenti, il diritto all’indennizzo anche all’esito del provvedimento (tardivo ma) pienamente satisfattivo (ovvero il diritto ad un indennizzo in assenza di un interesse leso ulteriore e distinto rispetto a quello strumentale alla tempestiva conclusione del procedimento), la fattispecie di cui all’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 avrebbe natura sostanzialmente sanzionatoria, ma come tale sarebbe di dubbia compatibilità costituzionale perché la sanzione risulterebbe affidata al mero arbitrio del giudice (non essendo configurabile la sua commisurazione “secondo equità”, dato che la liquidazione ex art. 1226 del cod.civ. ha ad oggetto solo l’entità del pregiudizio risarcibile in funzione risarcitoria o compensativa).
Secondo un diverso ordine esegetico, sono decisive le differenze con la parallela disposizione di cui all’art. 28, d.l. n. 69 del 2013, conv. in legge, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98.
La giurisprudenza che se n’è occupata mostra, invero, di considerare fungibili le discipline delle due diverse disposizioni di legge, tanto da ritenere che l’azione di cui all’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 è esperibile anche in assenza del regolamento del comma 12 dell’art. 28 (salvo ritenerla soggetta all’onere della previa proposizione della procedura sostitutiva costituita dal comma 2 dell’art. 28, senza chiarire le ragioni di una siffatta estensione, specie se si considera che una procedura sostitutiva è prevista dall’art. 2, comma 9bis e 9 ter, l. n. 241 del 1990 ed il comma 2 bis non la richiama).
Tale impostazione, quindi, induce ad ingenerare il dubbio che anche l’indennizzo di cui all’art. 2 bis cit. – in parallelo all’indennizzo di cui all’art. 28 cit. – debba operare quale mero automatismo conseguente alla violazione del termine.
Tuttavia, è la stessa disposizione dell’art. 28, d.l. n. 69 del 2013 a fondare la necessità di una esegesi adeguatamente differenziata dell’istituto indennitario di cui all’art. 2 bis della l. 241/90, posto che quest’ultima norma è stata introdotta dalla prima in un testo ben differente (che non subordinata l’indennizzo ai medesimi presupposti di rito che sono disciplinati per l’azione ex art. 28 cit.) e tanto che se ne riconosce l’applicabilità anche in assenza del regolamento di cui al comma 12 (laddove si ritenesse diversamente, l’art. 2 bis, l. 241 del 1990 in nulla si differenzierebbe dalla previsione dell’art. 28, comma 1, d.l. n. 69 del 2013; dovrebbero quindi applicarsi anche alla domanda di indennizzo di cui all’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 i limiti quantitativi di 30 euro/giorno per un massimo di 2.000,00 euro; non avrebbe alcun senso ripetere una norma identica nella disciplina generale del procedimento amministrativo; neppure sussisterebbero ragioni per escludere le limitazioni della sfera di applicazione dell’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 previste dal comma 10 dell’art. 28 cit. per “le disposizioni del presente articolo”).
Chiarito che le due disposizioni operano su piani diversi, le differenze implicano che l’istituto di cui all’art. 28, d.l. n. 69 del 2013 è “speciale” rispetto alla norma di ordine generale di cui all’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 ed appresta una tutela semplificata in favore delle attività di impresa (mediante una forfetizzazione dell’indennizzo da ritardo, bilanciata da un onere procedimentale specifico), per le quali è non irragionevole ritenere il “tempo” e la certezza della conclusione del procedimento quale interesse meritevole di tutela; mentre, nell’ambito della disciplina ordinaria di cui all’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990, l’indennizzo (stante la mancata predeterminazione del suo importo) rimane ancorato alla ordinaria funzione compensativa-ripristinatoria e dunque presuppone la dimostrazione della sussistenza di un pregiudizio nel ritardo della conclusione del procedimento ulteriore e distinto rispetto al “bene tempo” (che per i soggetti diversi dagli operatori economici è un valore fortemente soggettivo e come tale esposto ad incerta quantificabilità sotto il profilo monetario).
In altri termini, nel caso dell’art. 28, d.l. 69 del 2013, l’indennizzo da ritardo sorge in quanto la lesione è presunta dalla legge, che infatti predetermina il valore dell’importo da liquidare; nel caso dell’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990, la lesione va invece allegata dal richiedente e (specie nell’assenza del regolamento meglio indicato nello stesso art. 2 bis) costituirà il referente oggettivo al quale il giudice dovrà agganciare la commisurazione dell’indennizzo così da poterlo ad essa parametrare per il tramite della liquidazione equitativa.
Attesa l’evidente unitarietà dell’area dell’illecito e dunque del presupposto oggettivo sia del risarcimento che dell’indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo, deve perciò affermarsi che l’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 ritaglia, entro il perimetro del danno risarcibile, una fattispecie di liquidazione semplificata per i pregiudizi riconducibili alla lesione di interessi non patrimoniali. La norma ripartisce i mezzi di tutela riservando all’azione di risarcimento del danno l’ordinario ristoro del pregiudizio patrimoniale (o patrimonialmente valutabile) che l’interessato subisce dal ritardato beneficio dipendente dall’azione della PA (con conseguente onere della prova a carico del danneggiato sia del pregiudizio che del suo ammontare, della sua riferibilità al ritardo, e della sussistenza della colpa o del dolo dell’Amministrazione nel non aver provveduto nei termini dovuti) e demandando all’indennizzo, strumento più agevole e di pronta liquidazione, la tutela della sfera non patrimoniale dell’interesse del richiedente (così che il danneggiato dovrà solo allegare il ritardo e la sussistenza dell’interesse leso).
Tar Lazio, II bis, 20 aprile 2021, n. 4597 – Pres. Stanizzi, Est. Gatto Costantino
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