Occorre anzitutto evidenziare quanto è pacificamente emerso nel corso della fattispecie in esame, ovvero che le due fasi della procedura (asta elettronica) si sono svolte a distanza di oltre quattro mesi l’una dall’altra, lasso temporale nel quale si è verificata una grave crisi del mercato dell’energia elettrica, con effetti di marcato e rapido rialzo del prezzo della materia prima.
A fronte di questa sopravvenuta criticità, segnalata dalla ricorrente alla Stazione Appaltante, per la prima volta, ancor prima dello svolgimento della seconda fase della procedura di gara, l’Amministrazione, senza mai assumere una puntuale posizione sulla problematica della sostenibilità effettiva dell’offerta della ricorrente, ha proceduto invece speditamente all’aggiudicazione della commessa. Sicché, sotto un primo aspetto, il contegno sostanzialmente silente dell’Amministrazione è stato ritenuto in aperta violazione dei canoni di buona amministrazione, i quali, alla luce della giurisprudenza elaborata in materia di silenzio amministrativo, impongono invece l’adozione di un espresso pronunciamento sulla questione sottoposta alla parte pubblica le quante volte, proprio in relazione al dovere di correttezza di quest’ultima, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle sue determinazioni (quali che siano) (vd., ex multis, C.d.S. n. 183/2020). L’Amministrazione, già per quanto detto, avrebbe dovuto innanzitutto farsi carico di una specifica valutazione della problematica indicata, dal momento che la stessa era sopravvenuta rispetto alla presentazione delle offerte: da qui il suo dovere di esprimersi sul punto, con particolare riferimento alla debita verifica di affidabilità dell’offerta della ricorrente alla stregua dei valori di mercato in essere al tempo dell’aggiudicazione.
Ed è in particolare il comma 6 dell’art. 97 d.lgs. n. 50/2016 ad introdurre il principio generale per cui “La stazione appaltante in ogni caso può valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”. Previsione, quest’ultima, che si raccorda con il primo comma del medesimo articolo di legge il quale, nel tracciare l’ubi consistam del giudizio tecnico di anomalia dell’offerta, specifica che esso mira a verificare la “congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità” dell’aggiudicanda offerta. Alla luce di queste coordinate normative la costante giurisprudenza amministrativa ha quindi da tempo chiarito che “obiettivo della verifica di anomalia è quello di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso, e nel suo importo originario, affidabile o meno”, in pari tempo evidenziando che “il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia quelli che militano a favore, sia quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme …” (C.d.S., n. 636/2012). Più di recente si è altresì precisato che, “per consolidato intendimento, nelle procedure di gara il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è finalizzato ad accertare l’attendibilità e la serietà dell’offerta, nonché l’effettiva possibilità dell’impresa di eseguire correttamente l’appalto alle condizioni proposte (cfr. Cons. Stato, V, 16 aprile 2019, n. 2496; Id., III, 29 marzo 2019, n. 2079; Id., V, 5 marzo 2019, n. 1538)” (cfr. C.d.S., n. 1874/2020). Da ultimo, la giurisprudenza di merito ha anche puntualizzato che “la valutazione sulla sostenibilità dell’offerta deve essere effettuata anche tenendo conto delle sopravvenienze di fatto e di diritto che incidono sulla sua tenuta economica, e ciò sia in caso di rivalutazione in melius che in peius per il concorrente” (T.A.R. Lazio, n. 13167/2021; n. 10021/2021).
Peraltro, secondo il Giudice Amministrativo il seggio di gara avrebbe dovuto comunque interrogarsi sulla fattibilità dell’offerta della ricorrente (come del resto delle altre eventuali partecipanti) al tempo dell’aggiudicazione, tant’è che pure l’art. 95, comma 12, del d.lgs. n. 50/2016 (rubricato “Criteri di aggiudicazione dell’appalto”), consente di “non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto”.
Ogni valutazione di idoneità dell’offerta è quindi comunque cristallizzata al decisivo momento dell’aggiudicazione, conferendosi all’Amministrazione un potere certamente discrezionale, il cui esercizio nella specie avrebbe dovuto essere attentamente valutato dalla Stazione appaltante sotto altri concorrenti aspetti suggeriti dalla norma da ultimo citata.
In primis appare illuminante il riferimento legislativo all’ “oggetto del contratto”, previsione che per i contratti ad effetti obbligatori quale l’appalto non può che riferirsi direttamente al concetto di “prestazione” (art. 1174 cod.civ.), imponendo quindi (a prescindere dalla reale sussistenza di un factum principis) un esame dell’idoneità della stessa a soddisfare gli interessi pubblici.
Con la conseguenza che, qualora la prestazione offerta non fosse da ritenersi atta a garantire effettivamente la possibilità di una sua esecuzione per tutta la durata dell’appalto, si andrebbe incontro ad una soluzione di continuità del servizio pubblico che l’Amministrazione, in via logicamente prioritaria e anche indipendentemente (ripetesi) da ogni questione di imputabilità del fattore sopravvenuto, avrebbe il dovere di prevenire, in quanto incompatibile con gli interessi dell’Amministrazione (e di certo non pienamente ristorabile “per equivalente”).
Sotto l’aspetto più marcatamente economico, poi, sarebbe inesatto pensare che quello dell’equilibrio contrattuale sia un tema circoscritto alla mera fase esecutiva del contratto, come tale involgente al più questioni di imputabilità di eventuali inadempimenti contrattuali.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti già chiarito che “l’equilibrio economico di una operazione contrattuale oggetto di una procedura ad evidenza pubblica non attiene solo alla fase esecutiva del contratto, bensì rappresenta anche una imprescindibile esigenza “a monte” della stipulazione del contratto, come dimostra la disciplina in tema di valutazione delle offerte anomale, volta proprio a far emergere quelle offerte che, siccome anormalmente basse, non sarebbero in grado di garantire la qualità del servizio, alla ricerca dell’equilibrio economico del contratto” (T.A.R. Sardegna, n. 554/2020). Ed a confermare la connessione tra le due fasi (procedimentale e negoziale) dell’attività contrattuale della pubblica Amministrazione vale, appunto, il rispetto del principio del c.d. “utile necessario”. Il medesimo richiede infatti che nei congrui casi venga vagliata l’effettiva sostenibilità economica non solo dell’offerta strutturalmente in perdita ab initio (la quale tradirebbe per ciò solo lo scopo di lucro e, in definitiva, la ratio essendi dei soggetti che dovrebbero operare sul mercato in una logica di profitto), ma anche di quella in pareggio, o che presenti un utile solo oltremodo modesto (cfr. T.A.R. Salerno, n. 536/2021).
Lo svolgimento di una valutazione sulla sostenibilità dell’offerta della ricorrente in funzione dell’affidamento della commessa, nella specie, era anche del tutto coerente con il criterio prescelto per l’aggiudicazione della fornitura, al prezzo più basso, ossia mediante un sistema che l’art. 95, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016 concepisce come legato direttamente alle condizioni “definite dal mercato”. Quindi anche in questo senso si imponeva ogni attenta valutazione di idoneità parametrata, al tempo dell’aggiudicazione, alle dinamiche di mercato, pena un’incoerenza con lo stesso criterio prescelto a monte per l’aggiudicazione della gara (così, TAR Campobasso, 14.02.2022 n. 41).
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