Il potere di sospensione dei lavori edili in corso, attribuito all’Autorità comunale dall’art. 27, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha natura cautelare, in quanto è teso ad evitare che la prosecuzione dei lavori ritenuti abusivamente realizzati determini un aggravio del danno urbanistico, discendendo pertanto, dalla natura interinale e provvisoria del relativo provvedimento – volta ad evitare che il destinatario possa essere esposto sine die all’incertezza circa la sussistenza del proprio jus aedificandi – che, allo spirare del termine di 45 giorni dalla sua notificazione, l’ordine in questione perde ogni efficacia, trattandosi di un provvedimento dall’efficacia strettamente limitata nel tempo, avendo il solo scopo di impedire il procedere della costruzione, in modo da consentire alla pubblica amministrazione di potersi determinare con una misura sanzionatoria entro tale termine di efficacia della sospensione dei lavori
Pubblicato il 21/10/2019
N. 07099/2019REG.PROV.COLL.
N. 07799/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7799 del 2009, proposto dal Comune di Serra San Quirico, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Maurizio Miranda, elettivamente domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, Palazzo Spada, Piazza Capo di Ferro, 13,
contro
il signor Oliviero Secondo Giuliani, rappresentato e difeso dagli avvocati Maurizio Discepolo e Barbara Schiadà, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo a Roma, via Conca d’Oro, 184/190,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per le Marche, n. 669 del 27 maggio 2011, resa inter partes, concernente diniego di permesso di costruire e risarcimento del danno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 settembre 2019, il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 670 del 2004, proposto innanzi al T.a.r. per le Marche, il signor Oliviero Secondo Giuliani aveva chiesto quanto segue:
a) l’annullamento dell’ordinanza n. 43 del 4 giugno 2004, recante la sospensione dei lavori relativi alla realizzazione di un edificio destinato a civile abitazione, assentito con concessione edilizia, relativamente alla parte del fabbricato di altezza superiore a metri 7 (ovverosia le due unità abitative da realizzare al terzo piano della palazzina in costruzione);
b) la condanna del Comune di Serra San Quirico al risarcimento del danno nell’importo di € 57.573,83, derivante dall’incremento dei costi di costruzione che si è registrato per il periodo di illegittima sospensione del titolo edilizio, dalle spese di gestione del cantiere e dal mancato guadagno derivante dalla commercializzazione degli alloggi.
2. A sostegno della proposta azione, il ricorrente, avendo evidenziato che l’impugnato provvedimento si fonda sull’asserita necessità di verificare la compatibilità delle opere assentite con il PPAR delle Marche, sollevava i seguenti rilievi:
i) l’assenza del potere in capo all’Amministrazione di sospendere, peraltro sine die, l’efficacia di un titolo edilizio;
ii) la perfetta conformità delle opere al Piano paesistico ambientale regionale (PPAR) Marche.
3. Il Tribunale ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha accolto la domanda di annullamento dell’ordinanza di sospensione dei lavori;
– ha accolto la domanda di risarcimento dei danni derivanti dal provvedimento impugnato;
– ha condannato il Comune alle spese di lite (€ 3.000,00).
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– “l’atto impugnato, nella parte in cui sospende in pratica sine die (seppure in parte) la concessione edilizia n. 27 /2000, si appalesa irrituale, visto che l’art. 27, comma 3, del T.U. n. 380/2001 limita temporalmente a quarantacinque giorni l’efficacia degli atti di sospensione dei lavori”;
– inoltre “non risulta che il Comune intimato, nel termine previsto dall’art. 27, comma 3, abbia adottato un provvedimento di autotutela nei riguardi della concessione edilizia n. 27/2000”;
– il T.a.r. è poi passato direttamente all’analisi della pretesa risarcitoria avanzata dalla parte ricorrente a seguito della parziale sospensione disposta due volte (con le ordinanze nn. 68/01 e 3/02), rilevando la presenza di una condotta colpevole dell’Amministrazione nell’aver causato al privato un danno patrimoniale nonché il nesso di causalità fra tale condotta e il danno subito dal privato e l’ingiustizia del danno;
– questi sono stati rilevati nel fatto che, a causa della reiterata sospensione, i lavori non sono stati ultimati nei tempi prefissati e che a nulla vale la circostanza che la sospensione fosse parziale dal momento che non era tecnicamente possibile realizzare la copertura dell’edificio e quindi completare le parti interne;
– il T.a.r. ha ravvisato il profilo soggettivo della colpa dell’Amministrazione nel fatto che un arco temporale di 3 anni costituiva uno spatium deliberandi sufficiente per uno studio completo ed esauriente della fattispecie, all’esito del quale l’Amministrazione avrebbe dovuto adottare un atto definitivo e chiarificatore;
– per quanto attiene, invece, all’ingiustizia del danno, il T.a.r. ha ritenuto che la stessa discende dal fatto che l’Amministrazione, adottando un atto illegittimo, ha indotto incertezza circa la legittimità dei lavori;
– il T.a.r., pur aderendo alle prospettazioni del Comune resistente, nel senso che l’eventuale formazione di un silenzio-rifiuto non impedisce all’Amministrazione di pronunciarsi anche successivamente, ha sottolineato però come non possano essere trascurati, da un lato, la tassatività del termine di cui all’art. 27, comma 3, e dall’altro, il fatto che, alla data di discussione del ricorso in primo grado, il Comune non aveva dimostrato di essersi definitivamente pronunciato sulla legittimità del titolo edilizio;
– il Tribunale ha inoltre osservato che, poiché gli elementi dell’illecito della p.A. vanno verificati al momento in cui il giudice deve pronunciarsi sulla domanda, il ricorrente, scaduti i termini di cui all’art. 27 comma 3, poteva sì proseguire i lavori in progetto, ma il pregiudizio subito dallo stesso deve essere ricollegato alla “perplessità che ha contraddistinto il complessivo operato del Comune, e quindi al fatto che la sospensione è stata ordinata per ben due volte e a distanza di tre anni. Pertanto a questi fini non rileva la mancata impugnazione dell’ordinanza del 2001”;
– ritenuti sussistenti tutti gli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale (l’elemento soggettivo, il nesso di causalità, l’ingiustizia del danno), il Tribunale ha ordinato al Comune, ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, di formulare una proposta risarcitoria che tenga conto: a) dell’incremento dei costi di costruzione; b) delle spese di gestione del cantiere; c) del mancato guadagno derivante dalla locazione o dalla vendita degli alloggi, calcolando le voci di danno sub a) e b) alla luce di: “la data di inizio dei lavori; lo stato di avanzamento dei lavori alla data di adozione del provvedimento impugnato; il termine finale indicato nella concessione edilizia n. 27/2000 (tre anni dall’inizio dei lavori)”.
5. Avverso tale pronuncia il Comune di Serra San Quirico ha interposto appello, notificato il 2 settembre 2009 e depositato il 5 ottobre 2009, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 6-15), quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale sarebbe incorso in una motivazione contraddittoria, in quanto, pur prendendo atto che l’ordinanza impugnata è stata emessa ai sensi dell’art. 27 del Testo unico edilizia, così risultando sottoposta alla statuizione legale che fissa la sua efficacia nel termine di giorni 45, ha ritenuto l’atto illegittimo per aver disposto la sospensione dei lavori sine die;
II) il Tribunale non avrebbe potuto configurare il danno in relazione ad atti pregressi mai impugnati e non avrebbe considerato che nessun pregiudizio può essere occorso dall’esecuzione dell’ordinanza nell’arco temporale di efficacia, normativamente previsto, di 45 giorni.
6. L’appellante ha conclusivamente chiesto, in riforma dell’impugnata sentenza, il rigetto del ricorso di primo grado.
7. In data 16 ottobre 2009, il signor Oliviero Secondo Giuliani si è costituito in giudizio, nella veste di appellato, con memoria di controdeduzioni, eccependo la necessità di integrare il contraddittorio nei riguardi della Regione Marche, ancorché non costituitasi nel giudizio di prime cure, ed evidenziando che la sospensione dei lavori, che ha di fatto comportato la revoca del finanziamento per la ricostruzione post terremoto, non è consentita rispetto ad opere già autorizzate e che alcun contrasto comunque si poneva con il PPAR. Ha allegato relazione tecnica ai fini della quantificazione del danno nell’importo di circa 392.000 euro.
8. Il Collegio, con l’ordinanza n. 5599 del 10 novembre 2009, ha respinto la domanda di sospensione degli effetti dell’impugnata sentenza, con la seguente motivazione: “Ritenuto che “prima facie” l’appello non risulta assistito da elementi di evidente fondatezza, in quanto la reiterazione di ordini di sospensione dei lavori in un arco di diversi anni, non assistita da alcuna determinazione in autotutela (pur preannunciata) sulla concessione edilizia già rilasciata, ha determinato lo snaturamento delle finalità tipicamente cautelari e interinali della potestà di sospensione dell’Amministrazione, privando a tempo indeterminato e ingiustificatamente l’odierno appellato della possibilità di proseguire le opere a suo tempo assentite”.
9. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
10. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 10 settembre 2019, è stato introitato in decisione.
11. Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato nei sensi e nei limiti di cui alla motivazione che segue.
11.1. Giova premettere, in termini generali, che una volta perfezionatosi e divenuto efficace il titolo edilizio rilasciato, l’attività del Comune deve necessariamente essere ricondotta nell’ambito di un procedimento di secondo grado, ex art. 21 nonies, della l. n. 241 del 1990, avente ad oggetto il riesame di un’autorizzazione che ha già determinato la piena espansione del c.d. ius aedificandi. Il potere residuale della p.A., pertanto, deve essere esercitato secondo i principi in materia di autotutela, con particolare riferimento alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole e, soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in considerazione. In questo contesto procedimentale ben può collocarsi il potere cautelare dell’Amministrazione ai fini della sospensione dell’efficacia del titolo già rilasciato, e ciò nell’interesse dello stesso destinatario del titolo, al fine precipuo di evitare di ordinare la demolizione delle opere nel frattempo edificate nel caso di rilevata illegittimità. Il potere di sospensione dei lavori edili in corso, attribuito all’Autorità comunale dall’art. 27, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha invero natura cautelare, in quanto è teso ad evitare che la prosecuzione dei lavori ritenuti abusivamente realizzati determini un aggravio del danno urbanistico, discendendo pertanto, dalla natura interinale e provvisoria del relativo provvedimento – volta ad evitare che il destinatario possa essere esposto sine die all’incertezza circa la sussistenza del proprio jus aedificandi – che, allo spirare del termine di 45 giorni dalla sua notificazione, l’ordine in questione perde ogni efficacia, trattandosi di un provvedimento dall’efficacia strettamente limitata nel tempo, avendo il solo scopo (giustappunto cautelare) di impedire il procedere della costruzione, in modo da consentire alla pubblica amministrazione di potersi determinare con una misura sanzionatoria entro tale termine di efficacia della sospensione dei lavori. La norma, quale espressione di un generale potere di vigilanza urbanistica che sottende il principio di buona amministrazione ex art. 97 della Costituzione ben può però estendere il suo ambito applicativo al caso in cui si tratti di lavori autorizzati, ma sorgano dubbi sulla legittimità dei titoli autorizzativi. Anche in tal caso il Comune può adottare un’ordinanza di sospensione dei lavori nelle more della definizione del procedimento di autotutela purché sia debitamente motivata circa le ragioni che ingenerano sospetti in ordine alla illegittimità del titolo edilizio e comunque, in applicazione analogica del ridetto art. 27, con un’efficacia temporale massima di 45 giorni. La riconduzione di tale potere interdittivo di lavori già autorizzati deve infatti confluire in schemi legali tipizzati, non essendo consentito adottare atti interlocutori atipici, in quanto, in materia edilizia, vige il principio generale per cui o un intervento è assentibile (eventualmente con prescrizioni e modifiche, imposte ad esempio dalle autorità competenti in materia paesaggistica) o non lo è. Se è vero, concludendo sul punto, che l’ordinamento oggi attribuisce all’Amministrazione un generale potere sospensivo dell’efficacia di atti già emanati, ex art. 21 quater l. n. 241 del 1990, lo strumento disponibile nel contesto ordinamentale, in materia edilizia, non può che essere quello ritraibile dall’art. 27, secondo comma, del T.U. ed.
11.2. Fatta questa necessaria premessa, che afferisce al potere cautelare dell’Amministrazione in sede di esercizio del potere di ritiro di titoli edilizi, non può condividersi quanto osservato criticamente dall’appellante con il primo motivo, imperniato proprio sulla evidenziata soggezione ex lege al termine di 45 giorni di efficacia contemplato dall’art. 27 su citato. Tale critica, ancorché correlata ad una precisa ed indeclinabile statuizione normativa, non può essere condivisa, in quanto non può farsi a meno di contestualizzare l’atto impugnato in prime cure nella più ampia dinamica procedimentale nella quale si inserisce e che, come osservato dal Collegio in sede cautelare, si connota per la reiterazione nel tempo di plurimi atti sospensivi tali da impedire la prosecuzione delle opere per un arco temporale complessivo pertanto superiore ai ridetti 45 giorni.
Non è poi da trascurare la circostanza, correttamente evidenziata dal Tribunale, relativa alla mancata definizione del procedimento di autotutela che invece, per la necessaria contestualizzazione del potere sospensivo, era necessitata in quanto ragione giustificativa del potere d’intervento esercitato assumente carattere ostativo alla prosecuzione delle opere.
11.3. Da tanto deriva l’infondatezza anche del secondo motivo d’appello, anch’esso traente fondamento logico-argomentativo dalla rilevata temporanea efficacia dell’ordinanza sospensiva impugnata, essendo la condotta causativa del danno seguita alla reiterazione di analoghi provvedimenti sospensivi che rappresentano una non consentita deviazione dalla connotazione teleologica di atti coi quali l’Amministrazione “prende tempo” in attesa di assumere le determinazioni necessarie in ordine alla legittimità dei titoli edilizi precedentemente rilasciati, determinazioni come detto mai intervenute.
La vicenda quindi, riguardata nella sua potenzialità offensiva dell’interesse privato, si è tradotta nel caso di specie nell’emissione di uno specifico atto, ovverosia quello impugnato, in realtà dissociato dal necessario contestuale esercizio del potere di autotutela al quale, come detto, è correlata la sospensione cautelare di lavori già autorizzati, non potendosi di certo consentire la reiterata attivazione di procedimenti di secondo grado giammai conclusi.
12. L’appello è pertanto da respingere per quanto riguarda la parte impugnatoria perché il provvedimento di sospensione dei lavori è stato soltanto formalmente emesso nel contesto di un procedimento di secondo grado siccome preceduto dall’adozione di due precedenti ordinanze non seguite da alcun provvedimento di autotutela; l’Amministrazione, pur evocando la necessità di sottoporre a verifica di legittimità la concessione edilizia precedentemente rilasciata, ha dato vista di esercitare un potere cautelare ormai definitivamente dissociato dal potere di autotutela e di per sé insussistente rispetto ad opere già autorizzate; ne consegue che, sebbene l’efficacia dell’atto sia soggetta al termine legale di 45 giorni, cosa che sia il ricorrente sia il Tribunale non disconoscono, esso ben può risultare foriero di danno che il ricorrente ha lamentato e documentato nel giudizio di primo grado.
12.1. Transitando alle statuizioni risarcitorie della pronuncia di prime cure, si deve rilevare l’indebita estensione dell’arco temporale di riferimento ai fini della configurazione del danno risarcibile in maniera da ricomprendere anche gli effetti pregiudizievoli derivanti dalle ordinanze risalenti agli anni 2001 e 2002.
Invero, la successione cronologica di reiterati provvedimenti sospensivi può avere indotto nell’impresa una condizione di incertezza circa la regolarità delle opere così spingendola ad attendere le definitive determinazioni dell’Amministrazione circa la legittimità del titolo, in realtà mai intervenute, ma astenersi dall’esecuzione delle opere pur non essendone tenuti sul piano giuridico costituisce un’autonoma scelta imprenditoriale che non può ricadere sull’Amministrazione nei suoi riflessi pregiudizievoli. Oltretutto, come osservato dal Tribunale, causa efficiente di tale danno sarebbe costituito da atti amministrativi non censurati in sede giurisdizionale, non avendo l’appellata proposto impugnativa avverso le prime due ordinanze sospensive.
Ha, quindi, errato il Tribunale nel rapportare il danno all’intera vicenda che prende le mosse dai richiamati previi provvedimenti sospensivi già solo per il fatto che non si registra alcuna iniziativa giurisdizionale per neutralizzare i loro possibili effetti pregiudizievoli. Trattasi di una circostanza decisiva al fine di escludere ogni diritto al risarcimento, in quanto, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha statuito che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela specifici previsti dall’ordinamento a tutela delle posizioni di interesse legittimo, nel caso in cui essa avrebbe impedito la consolidazione di effetti dannosi, costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, elemento valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza (sentenza 23 marzo 2011, n. 3). Ciò in una logica che vede l’omessa impugnazione non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile. A tale riguardo si è ritenuto applicabile il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, a mente del quale non sono risarcibili i danni evitabili con un comportamento diligente del danneggiato.
Non va poi trascurato che il T.a.r., con l’ordinanza cautelare del 7 luglio 2004, aveva respinto la domanda di sospensiva dell’ordinanza n. 43 del 4 giugno 2004 proprio in considerazione della soggezione al termine di efficacia di 45 giorni, di cui quindi l’impresa ha avuto sempre esatta contezza peraltro senza articolare al riguardo alcuna contestazione nelle sue deduzioni; tanto più che la domanda risarcitoria articolata in prime cure è accompagnata dalla esatta quantificazione del danno nell’importo di € 57.573,83 che è ben inferiore all’importo indicato a mezzo del contributo peritale prodotto in questo giudizio commisurato alla più ampia estensione del perimetro temporale tracciato dall’impugnata sentenza.
12. In conclusione, l’appello in esame è fondato, e pertanto va accolto nei soli limiti del capo della sentenza impugnata relativa alla condanna al risarcimento del danno nella parte in cui estende il contesto temporale di riferimento ai fini della quantificazione del danno a decorrere dal primo provvedimento di sospensione, nn. 68/01, invece che ricondurlo esclusivamente alla impugnata ordinanza n. 43 del 2004 ed al relativo contesto temporale. Vanno invece confermate in questa sede le voci cui riferire il danno lamentato nei termini stabiliti dal Tribunale, avendo riguardo segnatamente: all’incremento dei costi di costruzione; alle spese di gestione del cantiere; al mancato guadagno derivante dalla locazione o dalla vendita degli alloggi.
13. La soccombenza parziale e reciproca giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 7799/2009), lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, limita la condanna al risarcimento del solo danno causalmente connesso all’ordinanza n. 43 del 2004.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Fulvio Rocco, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore
Carla Ciuffetti, Consigliere
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