tratto da sentenzeappalti.it

Consiglio di Stato, sez. III, 07.01.2022 n. 65

Come chiarito da una consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, (Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2021, n. 6035; sez. III, 20 ottobre 2020, n. 6345), il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, in quanto la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e di libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, al principio euro-unitario di concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità”. Il principio di equivalenza è, dunque, finalizzato ad evitare un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2021, n. 4353).

Il principio di equivalenza è stato recepito del Codice dei contratti che, all’art. 68, prevede che la stazione appaltante non possa escludere un’offerta perché non conforme alle specifiche tecniche a cui ha fatto riferimento se il prodotto offerto non è “aliud pro alio”, incontrando il concorrente che voglia presentare un prodotto (o servizio) equivalente a quello richiesto il solo limite della “difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis”, configurante ipotesi di “aliud pro alio non rimediabile” (Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2019, n. 5258).

Il Codice dispone che le “caratteristiche previste per lavori, servizi e forniture” sono definite dalla stazione appaltante mediante l’individuazione di “specifiche tecniche” inserite nei documenti di gara (art. 68, comma 1), nel rispetto del canone pro-concorrenziale che garantisca in ogni caso il “pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione” senza comportare “direttamente o indirettamente ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza” (art. 68, comma 4) o generare artificiose o discriminatorie limitazioni nell’accesso al mercato allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici.

Il Collegio ben conosce e condivide l’arresto del giudice di appello secondo cui l’equivalenza del prodotto offerto a quello indicato nella legge di gara deve essere provata dall’interessato e non può essere demandata alla stazione appaltante, cui spetta, invece, di valutare l’effettiva sussistenza dell’equivalenza addotta dal concorrente. Ritiene però che tale principio vada letto e applicato considerando la tipologia di prodotto previsto in sede di gara ed offerto come equivalente, in ragione della sua complessità e, quindi, della possibilità per la Commissione di evincere con immediatezza tale equivalenza.

In altri termini, è certo che, ad esempio, per un macchinario sanitario che abbia alcune caratteristiche tecniche diverse da quelle richieste dalla lex specialis di gara deve essere il concorrente a dimostrare, all’atto della presentazione dell’offerta tecnica, l’equivalenza; invece, a fronte di prodotti comunemente presenti sul mercato e di utilizzo comune, ove corredati da una scheda tecnica che ne espliciti in modo chiaro le caratteristiche e le qualità, la Commissione può autonomamente valutare se, nonostante la difformità rispetto a quanto richiesto dalla legge di gara, l’articolo offerto possa essere comunque considerato equivalente.

[…]

Quanto alla valenza che assume la relazione del Verificatore, il Collegio ricorda che le valutazioni dallo stesso espresse non hanno efficacia vincolante per il giudice, che può legittimamente disattenderle attraverso una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata (Cons. St., sez. V, 11 ottobre 2018, n. 5867; id., sez. IV, 18 novembre 2013 n. 5454), dovendo l’organo giudicante indicare, in particolare, gli elementi di cui si è avvalso per ritenere non condivisibili gli argomenti sui quali il verificatore (o il consulente) si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del detto verificatore (Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 1999, n. 333; Cons. St., sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5454).

Ed invero, una volta che il Collegio ha ritenuto che le questioni sottese alla controversia hanno un carattere talmente tecnico da esulare dalla propria competenza e da richiedere l’intervento di un soggetto dotato di tali specifiche competenze, le conclusioni alle quali questi è pervenuto potranno dallo stesso Collegio essere superate solo a fronte di una manifesta erroneità, ictu oculi ravvisabile.

La presenza del Verificatore sta e cade, infatti, in relazione proprio ad un’esigenza di carattere tecnico di accertamento di fatti o di valutazioni tecniche, in questi limiti e in questo ambito giustificando l’assunto per cui le conclusioni cui l’organo perviene, nei confini del sindacato esterno del giudice amministrativo, si sottraggono alle censure di illogicità e di non corretto apprezzamento dei presupposti (Cons. St., sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 742; id., sez. III, 18 marzo 2013, n. 1571).

Nel caso in esame il Collegio ritiene che le argomentazioni del Verificatore – che si fondano su una approfondita istruttoria – non siano superabili perché non manifestamente illogiche e di fatto confermative del giudizio di equipollenza al quale era già pervenuta la Commissione di gara.

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